UNA “FAMILY” DA LEGA-RE - TRA TROTA, LAUREE A TIRANA E BMW, BOSSI A PROCESSO PER TRUFFA ALLO STATO - LA CADUTA DELL’UBIQUO COTA

1. "TRUFFA DA 40 MILIONI", BOSSI VERSO IL PROCESSO - PRONTO IL RINVIO A GIUDIZIO ANCHE PER I FIGLI RENZO E RICCARDO
Sandro De Riccardis per "la Repubblica"


Di fronte a una «contabilità del tutto inattendibile e in larga misura priva di documenti giustificativi», la procura di Milano ha lavorato per mesi per separare spese legittime per l'attività politica dalle appropriazioni indebite. Alla fine, sono dieci gli indagati nell'inchiesta sulla Lega Nord ai quali, ieri, il procuratore aggiunto Alfredo Robledo e i pm Roberto Pellicano e Paolo Filippini hanno notificato l'avviso di chiusura indagini in vista del processo.

Umberto Bossi, ex segretario e di nuovo candidato alla segreteria del Carroccio, dovrà rispondere di truffa e appropriazione indebita; i figli Renzo e Riccardo, solo di appropriazione indebita. A rischiare il processo anche l'ex tesoriere Francesco Belsito; la ex vicepresidente del Senato, Rosi Mauro, e gli imprenditore Stefano Bonet e Paolo Scala. Chiesta l'archiviazione per l'ex ministro Roberto Calderoli e la moglie del Senatur, Emanuela Marrone.

«Quest'inchiesta non mi aiuta di certo - ha commentato Umberto Bossi - esce proprio adesso che è partita la corsa per la segreteria del partito e mi lascia sconcertato».
Secondo il Nucleo di polizia tributaria della Gdf e i carabinieri del Noe, «attraverso rendiconti irregolari » presentati in Parlamento, Umberto Bossi in «qualità di legale rappresentante» del Carroccio avrebbe truffato lo Stato per circa 40 milioni. Una cifra risultante dai tre rendiconti che la Lega ha redatto dal 2008 al 2010. Secondo la procura, il partito avrebbe incassato soldi pubblici «in assenza di documenti giustificativi di spesa e in presenza di spese effettuate per finalità estranee agli interessi del partito politico».

LE SPESE DEL CERCHIO MAGICO
Tra ristrutturazioni edili, visite dal dentista, automobili, gioielli e decine di multe, Umberto, Riccardo e Renzo Bossi hanno speso più di 500mila euro di soldi pubblici. Secondo i calcoli dei pm, il Senatur dovrà rispondere di spese illegittime per 208mila euro, il primogenito Riccardo per 158mila, il Trota per 145mila. Tra le voci, 1.500 euro spesi per la casa di Gemonio, altri 33mila rubricati "casa Capo lavori", 81mila per la casa di Roma, 26mila per abiti, 1.500 per cure dentistiche.

È invece la passione per i motori a far lievitare il conto di Riccardo: 42mila euro per il leasing di una Bmw X5 e di una Mercedes Ml, 1.800 per decine di multe. Anche Renzo spende 48mila euro per un'Audi A6 e altri settemila in multe. Il Trota - e Rosi Mauro, per il suo bodyguard Pierangelo Moscagiuro - sarà processato anche per 77mila euro spesi per l'acquisto della laurea all'università di Tirana.

GLI OTTO MILIONI DI BELSITO
L'ex tesoriere del Carroccio Francesco Belsito deve rispondere di circa 2,4 milioni spesi in bar, ristoranti, negozi di elettronica, cartelle di Equitalia, e anche armi, munizioni e bonifiche anti intercettazioni. Decine anche i prelievi in contanti. A suo carico operazioni estere per 5,7 milioni: una con la società di Scala a Cipro; altri 4,5 bonificati con Bonet in Tanzania.

LE ARCHIVIAZIONI
Chiesta l'archiviazione per Calderoli e per Manuela Marrone, quest'ultima per i pm parte «del cerchio magico». La moglie del Senatur era indagata per i finanziamenti alla scuola Bosina. Per i pm, «non si può escludere che dei contanti per la scuola, la Marrone abbia profittato a titolo personale», ma l'ipotesi «non ha trovato riscontro». Calderoli, indagato per l'affitto di una casa a Roma, uscirà dall'inchiesta: quella spesa è per i pm «un impegno finanziario legittimo».

 

2. LA CADUTA DELL'UBIQUO COTA IL SOGNO DELLA MACRO-REGIONE INFRANTO DALLA GRANDE ABBUFFATA
Paolo Griseri per "la Repubblica"


Gli esegeti ancora s'interrogano, a quattro giorni di distanza dal fattaccio, su quale sia stato il passaggio dell'intervento di Mercedes Bresso che ha scatenato l'ira del consigliere dei Fratelli d'Italia Franco Maria Botta, figlio di Giuseppe, capocorrente della Dc torinese negli anni della Prima Repubblica.

Il Botta figlio (nomen homen) si è avventato sul microfono della Bresso, prontamente bloccato dai colleghi prima che il parapiglia si concludesse con la generale caduta a terra, plastica rappresentazione del livello raggiunto dall'istituzione regionale complessivamente intesa. È il crollo del mito del Territorio, la fine dell'idea ingenua che per il solo fatto di essere lontani da Roma si diventa onesti. E invece, nella terra del leghista Roberto Cota, si scopre che il palazzo della Regione è solo un bonsai della Montecitorio degli anni peggiori. Dalla macro-regione del Nord alla mega-abbuffata.

Chissà che cosa avrebbe pensato, nel momento della fatidica caduta dopo la baruffa sabauda, il Botta padre, buonanima. Uomo d'altri tempi, quando i notabili democristiani venivano accusati di corruzione perché prendevano le mazzette dai signori dell'autostrada di Aosta. Del figlio sappiamo invece che è accusato di aver speso il denaro del contribuente principalmente a tavola e che ama il pesce.

In due anni s'è letteralmente mangiato 41mila euro, 56 al giorno, al ristorante «La Gola», uno dei sette peccati capitali. Quando nella campagna elettorale del 1948 il Pci accusava la Dc di sperperare il denaro pubblico, scriveva sui manifesti "Via il regime della forchetta" ma tutti sapevano che si trattava di una metafora. Nella Prima Repubblica, si lucrava sulle grandi infrastrutture: il reparto alimentari era considerato disonorevole.

Nel febbraio del 1968 il sindaco democristiano di Torino, il professor Giuseppe Grosso, ritirò le deleghe al suo assessore al personale perché non lui ma il segretario aveva accettato tre forme di provolone da un padre riconoscente per l'assunzione del figlio. Oggi invece Giuseppe Novero, consigliere leghista, detto «barba Toni», zio Toni, resiste imperterrito sul suo scranno anche se è accusato di aver acquistato con il denaro pubblico notevoli quantitativi di gorgonzola. Repubblica che vai, formaggio che trovi.

Lo stupidario delle spese pazze del Piemonte è bipartisan con la vistosa eccezione del gruppo del Pd, non si sa se perché davvero più onesto degli altri o se dotato di una segreteria amministrativa più efficiente. Plausibilmente sono valide ambedue le spiegazioni. «La realtà - dice una fonte interna - è che il gruppo del Pd è formato da gente con una certa esperienza».

Accade che i neofiti siano ingenui. Andrea Stara, infatti, eletto nel gruppo di Mercedes Bresso e un passato nei Comunisti Italiani, non sa come sia possibile che per la sua attività politica la collettività abbia dovuto acquistare un tosaerba, una sega circolare e i Dragon Ball. Disboscare gli antichi privilegi della casta è certamente un'opera meritoria ma non era questo il senso dell'espressione. In ogni caso il consigliere Stara dice di non sapersi spiegare l'accaduto (che è effettivamente abbastanza inspiegabile). Se ne deduce che ha acquistato una sega circolare a sua insaputa.

Triste è il destino dell'avvocato Roberto Cota, il leghista dal volto umano che presiede la giunta. Nel 2010 era calato a Torino dalla fatal Novara per far assaggiare ai rammolliti salotti torinesi la rabbia della provincia gonfia di rancore. Non gli è andata bene. Ancor prima che fosse certificata la truffa della lista di pensionati che lo fece vincere senza averne i requisiti (una storia di firme false) è andata in crisi la sua operazione politica.

Il primo assessore alla sanità è stato travolto da uno scandalo con incredibile velocità. Al suo posto Cota ha sistemato un manager Fiat, il novarese Paolo Monferino. Animato dalle migliori intenzioni, Monferino ha resistito fino al marzo scorso quando è stato sbalzato di sella come il cowboy nel rodeo, per l'evidente impossibilità di portare a termine la sua riforma. Non è la stessa cosa costruire i camion all'Iveco o organizzare l'acquisto delle flebo: la politica è un mestiere.

Rimane il buco nel bilancio, eredità, a dire il vero, di una lunga gestazione, iniziata negli anni delle giunte a guida Dc, proseguita con gli scandali della giunta del forzista Enzo Ghigo, transitata senza sensibili miglioramenti per la giunta di sinistra di Mercedes Bresso e miseramente schiantatasi con l'amministrazione Cota. «In tre anni il federalismo in versione leghista ha fatto salire l'indebitamento da 4,5 miliardi a oltre 9», spiega il capogruppo del Pd, Aldo Reschigna. Altro che Roma ladrona. Il biellese Quintino Sella piangerebbe di disperazione scoprendo che mentre cresceva un simile buco, l'assessore leghista al bilancio, Giovanna Quaglia, acquistava tisane e cappotti a spese del contribuente.

Così, sull'onda dello scandalo, il centrosinistra piemontese, sconfitto nel 2010, prepara la riscossa e tenta la spallata con le annunciate dimissioni di massa. Ieri 170 esponenti delle istituzioni locali hanno chiesto il ritorno in campo di Sergio Chiamparino, oggi alla guida della Compagnia di San Paolo.

Il governatore, invece, si dice «sereno» e, naturalmente, scarica sulla segretaria. Cota appoggia Matteo Salvini nella gara in discesa alla conquista della segreteria leghista. Ma il sostenuto non sembra apprezzare: «Cota? Lo stimo. Le mani sul fuoco ho smesso di metterle quando avevo sei anni, la volta che il mio migliore amico mi rubò il pallone». Un trauma. Si ruba anche al Nord. E fin dalla più tenera età.
(1 - continua)

 

 

Umberto Bossi e sua moglie Manuela Marrone RICCARDO BOSSI IN PISTA jpegRENZO BOSSI CON LA MAGLIETTA DEL TROTARENZO BOSSI - TROTARENZO BOSSI - TROTAUMBERTO BOSSI E BELSITO PIER MOSCA FRANCESCO BELSITO E ROSY MAURO ROSI MAURO CON PIERANGELO MOSCAGIURO jpegRosy Mauro Pier MoscaUMBERTO BOSSI E ROBERTO COTA Cota tira la fune COTA GNAM Bossi versa l'acqua del Po in testa al figlio Renzo, a sinistra CotaCOTA CALDEROLI TREMONTI BRAMBILLA BOSSI MINISTERI A MONZA BOSSI COTA CALDEROLI

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