MEGLIO FROCIO CHE FIGLIO DI PUTIN

Anna Zafesova per "La Stampa"

Più della metà dei russi prova nei confronti degli omosessuali «irritazione e disgusto», un terzo pensa che desiderare una persona dello stesso sesso sia il sintomo di una malattia e il 16% vorrebbe isolare i «diversi» dalla società.

In un Paese che da qualche mese punisce per legge la «propaganda dell'omosessualità», pubblicare nella modica tiratura di 999 copie una rivista che si rivolge dichiaratamente alle lesbiche è un atto di coraggio. Un magazine «di donne e per donne», spiega la direttrice Milena Cernyavskaya: «La comunità Lgbt russa vive in un black out informativo, e pensano di non poter essere felici perché incontrano solo abusi».

Perciò la rivista «Agens», oltre a dare consigli di lifestyle, presenta storie felici di donne che hanno deciso di vivere apertamente la loro omosessualità, sperando che le lettrici - «22-32 anni, con un lavoro, un reddito medio o sopra la media, istruite», è l'identikit che ne dà Cernyavskaya - possano seguire l'esempio.

Questo tentativo di rompere il silenzio segue di un mese un'altra iniziativa editoriale clamorosa, quando il settimanale «Afisha», la bibbia dei moscoviti trendy, ha pubblicato sotto una copertina arcobaleno 27 storie di omosessuali, con foto, nomi e cognomi, non solo personaggi dello spettacolo e «creativi», ma anche funzionari statali e operai.

Un atto senza precedenti, in un Paese dove perfino le star dello spettacolo e della moda dai comportamenti più stravaganti negano in pubblico la propria omosessualità, e dove due mesi fa il noto giornalista Anton Krasovsky è stato licenziato dalla tv dopo aver fatto outing in diretta. Peraltro qualunque dichiarazione di «gay pride» adesso può ricadere sotto la legge sulla «difesa dei minori dalla pedofilia», con supermulte fino a 12 mila euro. Perciò «Agens» esce con l'etichetta «vietato ai minori» e per ora si vende quasi solo nei gay club.

Un clima sempre più pesante, e i sondaggi del Levada Center testimoniano un drastico aumento dell'omofobia rispetto allo scorso decennio, dopo che la depenalizzazione dell'omosessualità nel 1993 (il regime comunista puniva i «sodomiti» con il carcere) aveva aperto nuovi orizzonti.

La svolta è incoraggiata dall'alto, con la terza presidenza Putin iniziata nel pieno della protesta di piazza, alla quale ha reagito con un giro di vite conservatore non solo politico ma anche morale.

La rivolta della giovane borghesia e intellighenzia delle grandi città ha reso «politici» comportamenti fino ad ora giudicati privati (come i comportamenti disinibiti di alcune delle Pussy Riot), mentre l'alleanza del «macho» Putin con la chiesa ortodossa, i militari, i dipendenti statali e delle grandi industrie ex sovietiche ha trasformato i vecchi pregiudizi in una sorta di dichiarazione di lealtà all'ordine e al potere.

E così, dopo aver approvato a livello federale la controversa legge di Pietroburgo sulla «propaganda dell'omosessualità», le autorità russe hanno respinto la richiesta ufficiale di una Pride House alle Olimpiadi di Soci. Il Gay Pride a Mosca, da sempre negato dalle autorità, a questo punto appare impossibile. Cernyavskaya ricorda che, «non tutti vogliono andare alle manifestazioni», e la sua rivista - unica pubblicazione cartacea destinata alla comunità Llgbt in tutta la Russia - vuole combattere «la paura che ciascuno prova» nella vita di ogni giorno.

 

poliziotto di Pietroburgo ferma un’attivista dei diritti degli omosessualisposi gayRUSSIA CONTRO I GAY matrimonio lesbo coppia lesbo coppia lesbo VLADIMIR PUTIN CON LA PISTOLA jpeg

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