IL GOVERNO RESTA DIFFICILISSIMO. NON TANTO DA FARE MA CHE SOPRAVVIVA AL PRIMO VOTO SEGRETO (LA FIDUCIA È A VOTO PALESE) – VOTO A NOVEMBRE?

1. DAGOREPORT
Come si legge nell'articolo di "Repubblica", il governo resta difficilissimo. Non tanto da fare ma che sopravviva al primo voto segreto (la fiducia è a voto palese) e le commissioni saranno un vietnam. Previsione: si vota il 10 e 11 novembre. Forse con una nuova legge elettorale o forse solo abolendo il porcellum che porta automaticamente in vigore il mattarellum.

2-.IL GOVERNO DI RE GIORGIO: AMATO IN POLE PER PALAZZO CHIGI
Francesco Bei e Alberto D'Argenio per "La Repubblica"

In quel presidenzialismo di fatto in cui siamo finiti da sabato, i leader politici si chiedono smarriti cosa ne sarà di loro. Governo del Presidente? Larghe intese? «La verità - ammette un dirigente del Pd - è che, dopo aver implorato Napolitano di ricandidarsi, nessuno di noi è in grado di porre condizioni. Aspettiamo di sapere cosa ci dirà oggi. Sappiamo solo che ci prenderà a sberle».

La politica ha perso la voce e la capacità d'iniziativa. Oltretutto il timore, per dirla con il montiano Mario Mauro, è che «il capo dello Stato, se i veti impediranno la nascita del governo di larghe intese, ci saluti tutti e si dimetta. Altro che elezioni anticipate: precipiteremmo nel baratro senza più alcun paracadute».

Nell'attesa del discorso di insediamento, la domenica è passata tra intense consultazioni di tutti con tutti. Con effetti surreali, come la telefonata che c'è stata tra Mario Monti ed Enrico Letta, ovvero tra il possibile ministro degli Esteri e il possibile vicepremier del futuro governo. Monti: «Ciao Enrico, ma tu ci ha capito qualcosa di cosa farà Napolitano?».

Letta: «Purtroppo no, nemmeno noi sappiamo nulla». Si narra di un'altra ventina di telefonate di questo tenore tra i vertici di tutti i partiti. Con un'unica certezza: Napolitano punta ancora ad Amato premier, con Enrico Letta e Angelino Alfano come vice. Il problema è se il Pd riuscirà a reggere uno schema di questo tipo.

L'epicentro del sisma è infatti il partito democratico. In attesa di definire una linea politica,
partono i veti preventivi. Come quello di Rosi Bindi al governissimo con dentro Letta e Alfano. Un'ostilità condivisa anche dai giovani turchi: «Se si fa un governo di larghe intese - spiega Matteo Orfini - metà del gruppo non lo vota. Dobbiamo trovare un'altra soluzione».

Anche Dario Franceschini e Stefano Fassina, ancora sotto choc per le aggressioni verbali seguite all'elezione di Napolitano, ritengono che non ci sia il clima per un esecutivo che veda esponenti di primo piano del Pd e del Pdl seduti insieme nella sala verde di palazzo Chigi.

L'altra soluzione - la frontiera più avanzata dove un Pd spaccato potrebbe attestarsi - è il governo del Presidente, guidato da Giuliano Amato o da un'altra personalità più neutra (ma con la stessa autorevolezza all'estero) ma senza politici in vista al suo interno.

E tuttavia nel Pd non mancano quelli rassegnati all'idea che ormai si debba attraversare il guado, tanto il prezzo politico da pagare sarà comunque alto. Tra questi c'è il sindaco di Firenze Matteo Renzi, convinto che il Pd debba far parte del governo «con il massimo del coinvolgimento».

Su questa linea - governo politico, meglio se guidato da Enrico Letta - si è già attestato il centrodestra. Con la Lega che mantiene il suo veto su Giuliano Amato, la prima scelta di Napolitano. «Noi andremo al Colle insieme Berlusconi - anticipa Roberto Maroni - per dire no ad Amato e per chiedere un governo politico guidato dal Pd con il vicepremier del Pdl. Un governo del Presidente ma politico. Nomi non ne faremo ma, se Napolitano ci chiederà una preferenza, allora diremo Enrico Letta».

Anche per la composizione, il Pdl e la Lega hanno convenuto che ci debba essere un mix di ministri politici e tecnici. Quanto all'orizzonte temporale, si parla di un paio d'anni. Secondo il segretario del Carroccio, «le prossime politiche si potrebbero accorpare con le regionali del 2015». La soluzione di Enrico Letta come presidente del Consiglio sarebbe la migliore anche per Mario Monti che con il vicesegretario del Pd coltiva un ottimo rapporto personale.

Nonostante la stessa casella del premier sia piena di incognite, la domenica romana trascorre con le linee telefoniche che impazzano di toto-ministri. La casella più importante, tolto palazzo Chigi, è ovviamente quella del ministro dell'economia. Il capo dello Stato, vista la situazione di emergenza, vorrebbe andare sul sicuro pescando nel bacino della Banca d'Italia: il direttore generale Fabrizio Saccomanni oppure il "saggio" Salvatore Rossi, membro del direttivo di via Nazionale.

Ma c'è anche l'ipotesi che resti Vittorio Grilli per assicurare «continuità» al dicastero e offrire ai mercati la garanzia della quadratura dei conti pubblici. Sempre all'Economia, ma come viceministro, è accreditato come il leghista Giancarlo Giorgetti, il bocconiano che ha fatto parte dei dieci "saggi" del Quirinale.

Per il resto l'ossatura della squadra "tecnico-politico" che stanno cucinando al Colle sarebbe composta da molti dei dieci saggi che hanno redatto le proposte bipartisan per Napolitano. Con qualche vecchia conoscenza del governo Monti, come il ministro dell'Interno Cancellieri, a cui verrà chiesto di restare al suo posto.

 

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