L’OMBRELLONE DI RE GIORGIO SUI PROBLEMI GIUDIZIARI DEL BANANA

Francesco Verderami per "Il Corriere della Sera"

Nella discussione su formule di governo, riforme costituzionali e ricette economiche, c'è un non detto che da due mesi sottintende ogni analisi dei dirigenti di Pd e Pdl, e che rischia di incidere in modo determinante sulle decisioni a cui sono ora chiamati i due maggiori partiti: è la ventennale ipoteca giudiziaria sulla politica, «un'insidia» - come la definisce il democratico Epifani - che è posta sulla strada di quel governo a cui lavora Napolitano.

Cosa accadrebbe infatti se, dopo il varo di un gabinetto di larghe intese, Berlusconi fosse condannato e magari interdetto, o se la magistratura presentasse in Parlamento una richiesta di autorizzazione a procedere contro di lui?

È questo il bivio dinanzi al quale si trovano Pd e Pdl, di questo si discute nelle riunioni riservate, perché oltre i temi dell'Imu e del semipresidenzialismo c'è una variabile indipendente che potrebbe costringere le due forze a cambiare strategia in corso d'opera. È vero che la nascita del governo sarebbe posta al riparo dal problema, ma «l'insidia» nel giro di pochi mesi potrebbe manifestarsi.

Che farebbero allora i democratici, sotto la pressione della piazza e della rete, dopo che autorevoli esponenti si sono già espressi a favore dell'ineleggibilità e dell'arresto di Berlusconi? E quali margini di manovra avrebbe il Cavaliere, quando ormai sarebbe sfumata la possibilità di andare al voto anticipato per rompere l'assedio?

La questione non è stata mai affrontata pubblicamente. Solo una volta è emersa, proprio la sera dell'incontro tra Bersani e Berlusconi, quando il pd Fassina - in un'animata discussione televisiva con il pdl Gasparri - sbottò dicendo che la grande coalizione non si sarebbe mai potuta fare, perché «i problemi giudiziari» del leader di centrodestra «sono un macigno», un «elemento ostativo insormontabile» per arrivare a un'intesa.

Ora che Napolitano è stato rieletto al Colle, quel «macigno» è superato? O resta quel non detto che i dirigenti democratici colsero nella frase pronunciata dal segretario all'atto del congedo? «Non so se un mio successore potrà fare quello che io non ho potuto fare», sussurrò Bersani, senza aggiungere altro.

Di qui le difficoltà del Pd, che è chiamato a scegliere tra linea riformista e linea movimentista sul terreno più accidentato: quello del berlusconismo. Il veltroniano Verini prova a tener chiusa quella porta, spiegando che «noi non è che dovremo appoggiare un governo Berlusconi ma un governo di Napolitano».

E anche il responsabile giustizia del partito, Orlando, prova a tener separato il nodo politico di un accordo con il Pdl, «difficile a meno che non sia Renzi a fare il premier», dal nodo giudiziario: «Perché la questione andrebbe rovesciata. Qualora Berlusconi venisse condannato, bisognerebbe vedere come reagirebbe il Pdl: andrebbe a bruciare i tribunali o accetterebbe le sentenze? Nel qual caso, non ci sarebbero problemi».

Più che una dichiarazione distensiva, è una dichiarazione di guerra, una sfida per verificare il grado di solidità (e solidarietà) del Pdl verso il proprio leader. Non a caso il tema in queste ore è elemento di discussione ai vertici del partito, ed evoca nel gruppo parlamentare quanto accadde nel '93, nel giorno di battesimo del governo Ciampi, quando le richieste di autorizzazioni a procedere contro Craxi - respinte dalla Camera prima del voto di fiducia - portarono alle dimissioni dei ministri di area Pds. Di qui l'indecisione del centrodestra (e di Berlusconi), diviso tra l'istinto di muovere verso le urne e il desiderio di collaborare alla riuscita del governo «di Napolitano».

Ma proprio «il discorso d'insediamento del capo dello Stato - secondo il deputato di Scelta civica Dambruoso - si è steso come un ombrello protettivo sul futuro governo, rispetto a eventuali rigurgiti di questioni che potrebbero minare i rapporti di maggioranza». Non è dato sapere se il parlamentare montiano, già noto magistrato, abbia ragione, mentre si discute sulla figura che si insedierà al ministero di Giustizia.

Di sicuro il Cavaliere - come il Pd - è atteso a una parola definitiva sul non detto che tiene in sospeso le sorti del governo e della legislatura. Ancora ieri il capo del centrodestra alla Camera ha fatto mostra di non curarsene, concentrandosi sui «problemi dell'Italia». L'atteggiamento ha colpito il vicepresidente del Csm, Vietti, che incrociando il pdl Lupi in Transatlantico, gli ha sussurrato: «Silvio è diventato un democristiano».

 

BERLUSCONI NAPOLITANO SILVIO BERLUSCONI Napolitano - BerlusconiPIERLUIGI BERSANI MATTEO RENZILuciano Violante GIULIANO AMATO

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni elly schlein

DAGOREPORT - COME DESTABILIZZARE IL NEMICO PIÙ INTIMO? SEGUITE IL METODO MELONI: AD OGNI INTRALCIO CHE SI INVENTA QUEL GUASTAFESTE DI SALVINI, LA MINACCIA DELLA DUCETTA È SEMPRE LA STESSA: ANDIAMO AL VOTO ANTICIPATO E VEDIAMO QUANTO VALE NELLE URNE ‘STO CARROCCIO - QUESTO RITORNELLO MELONIANO DI ANTICIPARE DI UN ANNO LE POLITICHE 2027, PERCHÉ NON LO FA SUO ANCHE ELLY SCHLEIN? ANZICHÉ STAR LÌ A PIAGNUCOLARE DI “SALARIO MINIMO”, DI “POLITICA INDUSTRIALE CHE NON C’È” E DI “CETO MEDIO IMPOVERITO”, SE L’ITALIA VA A PUTTANE, METTA L'ARMATA BRANCA-MELONI IN DIFFICOLTÀ: SI TOLGA L’ESKIMO DA GRUPPETTARA E LANCI LEI A GRAN VOCE UNA BELLA CAMPAGNA FATTA DI SLOGAN E FRASI AD EFFETTO PER CHIEDERE LO SFRATTO DEL GOVERNO, LANCEREBBE COSI' UN GUANTO DI SFIDA ALL’ARROGANZA DELLA DUCETTA, METTENDOLA IN DIFFICOLTÀ E NELLO STESSO TEMPO RIUSCIREBBE A TRASMETTERE AL POPOLO DISUNITO DELL’OPPOSIZIONE UN SENTIMENTO FORTE, AFFINCHE' IL SOGNO DI MANDARE A CASA GIORGIA MELONI POSSA DIVENTARE REALTÀ - SE OGGI, LA STORIA DEI NUOVI MOSTRI POLITICI SI FONDA SULL’IMMAGINARIO, COSA ASPETTA ELLY SCHLEIN A CAMBIARE MUSICA?

orazio schillaci marcello gemmato paolo bellavite ed eugenio serravalle

DAGOREPORT – I DUE NO-VAX NOMINATI NEL COMITATO TECNICO SUI VACCINI SPACCANO FRATELLI D'ITALIA: MONTA IL PRESSING PER FAR DIMETTERE EUGENIO SERRAVALLE E PAOLO BELLAVITE DALL’ORGANISMO – IN MOLTI RITENGONO CHE IL RESPONSABILE POLITICO DELL’IMPROVVIDA DECISIONE SIA MARCELLO GEMMATO, FARMACISTA E POTENTE SOTTOSEGRETARIO ALLA SALUTE MELONIANO – IL MINISTRO ORAZIO SCHILLACI È FRUSTRATO DAI CONTINUI BLITZ POLITICI CHE LO PONGONO DI FRONTE A DECISIONI GIÀ PRESE: NON CONTA NULLA E TUTTI PRENDONO DECISIONI SULLA SUA TESTA. ORA SAREBBE INTENZIONATO A REVOCARE L’INTERO GRUPPO DI LAVORO SE I NO-VAX NON SLOGGIANO. ENTRO 48 ORE…

trump zelensky putin donald volodymyr vladimir

DAGOREPORT – ARMATI DI RIGHELLO, GLI SHERPA DI PUTIN E TRUMP SONO AL LAVORO PER TROVARE L’ACCORDO SULLA SPARTIZIONE DELL’UCRAINA: IL 15 AGOSTO IN ALASKA L’OBIETTIVO DEL TEPPISTA DELLA CASA BIANCA È CONVINCERE PUTIN AD “ACCONTENTARSI”, OLTRE DELLA CRIMEA, DEL DONBASS, RITIRANDOSI PERO' DALLE REGIONI UCRAINE OCCUPATE DALL'ESERCITO RUSSO: KHERSON E ZAPORIZHZHIA (CON LA SUA CENTRALE NUCLEARE) - TRUMP POTREBBE AGGIUNGERE LO STOP ALLE SANZIONI E CHISSÀ CHE ALTRO – PRIMA DI UN INCONTRO PUTIN- ZELENSKY, TRUMP PORTERA' I TERMINI DELLA PACE ALL'ATTENZIONE DEGLI ALLEATI EUROPEI DI KIEV - PER GARANTIRE L'EX COMICO CHE MOSCA NON SGARRERA', MACRON, MERZ E COMPAGNI PROPORRANNO L'INGRESSO DELL'UCRAINA NELL'UNIONE EUROPEA (CHE FA SEMPRE PARTE DELLA NATO) - PER L’ADESIONE UE SERVE L’OK DEI FILO-PUTINIANI ORBAN E FICO (CI PENSERÀ LO ZAR A CONVINCERLI) - UNA VOLTA FIRMATA, DOPO 6 MESI DEVONO ESSERE APERTE LE URNE IN UCRAINA - LA GAFFE: "VENERDI' VEDRO' PUTIN IN RUSSIA...": TRUMP SULLA VIA SENILE DI BIDEN? OPPURE....

antonio decaro michele emiliano roberto fico giuseppe conte elly schlein vincenzo de luca

DAGOREPORT - SCHLEIN E CONTE FANNO CAMPOLARGO (MA SOLO PER LE REGIONALI, PER ORA): DOPO GIANI IN TOSCANA E RICCI NELLE MARCHE, E' FATTA ANCHE PER I 5STELLE ROBERTO FICO IN CAMPANIA E PASQUALE TRIDICO IN CALABRIA (DOVE NON CI SONO CHANCE DI VITTORIA) - L'ULTIMO OSTACOLO RESTA VINCENZO DE LUCA, CHE CHIEDE DI NOMINARE IL FIGLIO, PIERO, SEGRETARIO DEL PD REGIONALE. MA ELLY NON VUOLE FARE LA FIGURA DA PERACOTTARA: FU LEI A COMMISSARIARE IL PARTITO, COME ATTO OSTILE NEI CONFRONTI DEL "CACICCO" DE LUCA, E A FAR FUORI SUO FIGLIO DA VICECAPOGRUPPO ALLA CAMERA - IN PUGLIA, QUEL CROSTONE DI EMILIANO È INDIGESTO A ANTONIO DECARO PER LA VECCHIA STORIELLA DELL'INCONTRO CON LA SORELLA DEL BOSS CAPRIATI, "PADRINO" DI BARI VECCHIA, RACCONTATA DAL GOVERNATORE URBI ET ORBI - VIDEO!

matteo salvini luca zaia alberto stefani luca de carlo

DAGOREPORT - VIA COL VENETO: LISTA ZAIA? E GIORGIA MELONI S'INCAZZA! - SE IMPORRA' IL SUO CANDIDATO, IL FRATELLONE D'ITALIA LUCA DE CARLO, SI RITROVERÀ UN LISTONE "DOGE" CHE PORTEREBBE VIA UN FIUME DI VOTI (E AVREBBE LA MAGGIORANZA DEI SEGGI, COMMISSARIANDO DI FATTO IL GOVERNATORE MELONIANO) - MATTEO SALVINI SPINGE FORTE SUL GIOVANE ALBERTO STEFANI, MA LA DUCETTA NON MOLLA L'OSSO DI CONQUISTARE LA RICCA REGIONE VENETA - IN BARBA AL SUO GROSSO BOTTINO DI CONSENSI, LA FIAMMA NON HA IN TASCA ALCUNA REGIONE DEL NORD (IN LOMBARDIA NON TOCCA PALLA: E' ROBA DI LA RUSSA...)