IN RICORDO DI BETTINO - LUCA JOSI: “UN TEMPO SI LITIGAVA CON REAGAN PER LA SOVRANITÀ DEL PAESE, OGGI SI CONSEGNANO I MARÒ AL PRIMO INDIANO CHE PASSA”

Luca Josi per "il Tempo"

Craxi era un ladro.
Lo gridavano: un movimento di neobarbari che tra rutti e insulti si è poi distinto per acquistare diamanti, mutande e false lauree a spese della comunità; dei post fascisti che hanno terminato il loro ventennio con week end a Montecarlo (in appartamento di multiproprietà ancora un pochino, almeno moralmente, di proprietà del partito);

i post comunisti, gente talmente arguta da aver creduto per una vita nel pauperismo poveraccista, quando il capitalismo imperava, per poi scoprirsi, ora che il capitalismo affanna, amerikani a 18 carati. Poi gli passarono sotto gli occhi responsabilità storiche per eccidi, campi di concentramento e genocidi vari (ma come sempre, quelli cattivi, di genocidi, sono sempre quelli degli altri).

Infine lo gridarono, nemmeno tanto a bassa voce, quelli di Forza Italia. Erano il nuovo contro il vecchio.
Facevano il tifo per Mani Pulite con Emilio Fede e il suo TG, Gianni Vesigna e il Suo Sorrisi e Canzoni e tutte le altre corazzate berlusconiane. Craxi, come un Trotsky qualsiasi, scompariva a botte di photoshop dal libro dell'epopea del Cavaliere (che sentenziava: "Craxi? Decideranno i processi" e Craxi da Hammamet: " ... e i prossimi saranno i tuoi").

Tangentopoli durò un po' e fu come un antibiotico interrotto anzitempo: rafforzò la malattia.
Così a classi dirigenti bolse si sostituì una classe rimanente frutto di una selezione fondata non sulla competizione ma sull'adulazione (del padroncino di turno).
Craxi rubò sicuramente consensi a un mondo bloccato tra le due Chiese politiche; quella Comunista, appunto, e quella Cattolica, che essendo usa a prendere in giro Dio, non provava fatica a far di peggio con i suoi figli.

Si finanziava illecitamente. Lo facevano tutti. Anche ora, ma rimase solo lui sul rogo.
In parlamento stettero tutti zitti: quelli che avevano preso soldi dai Russi, quelli che li prendevano dagli Americani e quelli che li avevano presi dagli Italiani (entrambi).
Craxi voleva essere materialmente libero e aveva i suoi imprenditori. Oggi idem, a meno che il politico non sia egli stesso imprenditore.
Era occidentale, ma non prono agli americani.

Durò, politicamente, dal '76 al '93, meno del ventennio berlusconiano, meno di quello finiano, meno di quello bossiano in tempi più lenti e meno isterici dei nostri (il telefono aveva la rotellona e internet e le mail erano delle parole inglesi).

In vent'anni, il tempo in cui si porta un ovulo a una laurea breve, i grandi stregoni della rivoluzione neoliberista, postcomunista e neopopulista hanno prodotto colossali risultati: la quinta potenza mondiale della nefasta era craxiana è diventata l'ottava europea e veleggia, orgogliosa, verso la trentesima posizione del 2030.

Oggi discutono da circa vent'anni di salvifiche riforme istituzionali ed elettorali (quelle della Grande Riforma craxiana degli anni ottanta); mentre un tempo si litigava con Reagan e la Delta Force per difendere la sovranità del Paese, oggi si consegnano i Marò al primo indiano che passa, bambine a democrazie kazake e si riportano a casa rapiti del terrorismo a botte di milioni (di euro; Moro lo lasciammo accoppare: "non si tratta").

Eppure, noi, abbiamo fallito: quando sei al potere e lo perdi, qualcosa, hai decisamente sbagliato. Siamo stati garantisti, giustissimo, senza ricordare che esiste anche un garantismo delle vittime (Stato e comunità incluse); abbiamo inventato i tecnici trasformandoli in ministri e sindaci, dando il via a una corsia preferenziale di protetti estranea alla selezione politica; abbiamo inventato la "società civile" per intrupparla nelle grandi assemblee del consenso mute e osannanti; abbiamo pure dato il là alla questione morale nelle dispute politiche interne (leggi ENI-Petronim).

Abbiamo, purtroppo, lasciato perire i migliori e visto riciclare gli altri in ogni compagine così da far attecchire sul corpo dell'Italia idee che la stanno uccidendo. Si pensa che la politica sia unilateralmente corrotta e non si comprende che è il potere che corrompe e, per questo, va frequentato poco, con alternanza, cercando di agire così velocemente da cambiare le cose prima il potere cambi te.

Invece, abbiamo per anni convissuto con una generazione di acerbi settantenni che ha così ben compreso la crisi finanziaria da aver portato i banchieri al governo, facendosene commissariare (quelli che la Prima Repubblica lasciava al largo delle coste sul Britannia).
Quella classe politica non era schiava della finanza. Oggi, se non ne fa parte, la accarezza e ne è complice, prostituendosi alla bancarotta preferenziale (che avviene quando il debitore privilegia alcuni creditori anziché altri; come, per esempio, finanziando le banche anziché la ripresa del Paese).

Per andare incontro al Paese ora bisognerà deluderlo, evitando di usare il futuro come discarica e lasciando costruire a chi ci vivrà le ragioni del proprio domani.
L'imprevisto e l'imponderabile spesso producono l'irreparabile.
E a quel punto è lui che decide per te.
luca@josi.it

 

 

 

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