“HO IMPARATO CON MIO PADRE A TRATTARE CON PERSONE EGOCENTRICHE CHE HANNO BISOGNO DELLO SCONTRO COME NANNI MORETTI” – MARGHERITA BUY RACCONTA 40 ANNI DI CARRIERA: "LA DEFINIZIONE DI ATTRICE NEVROTICA OGNI TANTO MI HA DATO FASTIDIO. SONO NATA COSÌ, CON UNA TIMIDEZZA PATOLOGICA, NON PARLAVO, ARROSSIVO COME UN PEPERONE, MA QUELLI CHE NON HANNO ANSIE SONO PAZZI" – LA FIGLIA CATERINA CHE FA L’ATTRICE E CARLO VERDONE: “LO RINGRAZIERÒ PER SEMPRE PERCHÉ…”
Fulvia Caprara per lastampa.it - Estratti
«Avevo appena finito l’Accademia, nel film recitava il nonno di Louis Garrel, io interpretavo la parte di una ragazza che riscaldava il cuore a un vecchio signore. La cosa buffa era che le riprese si svolgevano a 5 chilometri da casa mia, in Toscana, vicino Montecatini.
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La sera finivo di recitare e tornavo a casa». Il film era La seconda notte di Nino Bizzarri, l’anno era il 1986, e la protagonista era Margherita Buy, esordiente con «una vita ancora in famiglia», «tante incertezze» e anche qualche colpo di testa: «Il produttore Lucio Ardenzi mi aveva proposto una lunghissima tournée teatrale, gli risposi di no, mia madre mi disse che ero pazza. L’idea di stare in giro per tutti quei mesi mi spaventava. Ardenzi, con molta semplicità, mi fece sapere che mi avrebbe rovinato per sempre la carriera, urlava come un pazzo, mi sembrava un uomo cattivissimo. Poi, naturalmente, non è successo niente, però è stato allora che ho capito di voler fare più cinema che teatro».
Presidente di giuria al festival Luoghi dell’anima, diretto da Paola Poli e Steve Della Casa, tra Rimini e Sant’Arcangelo di Romagna, dove ha ricevuto ieri sera il premio Speciale dell’Eccellenza, Margherita Buy ha raccontato, nell’arco di quasi 40 anni di carriera, diretta dai registi più importanti del nostro cinema, l’evoluzione delle donne italiane, tra conquiste e nevrosi, ironie e fragilità.
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Se guarda indietro, come si sente?
«Soddisfatta, soprattutto per aver scelto le cose giuste per me, quelle che mi piacevano, senza cedere alle tentazioni di inseguire un successo più ampio e popolare, insomma senza farmi corrompere da proposte diaboliche. Non ho rimpianti, né pentimenti, e questo mi da tranquillità».
Per anni è stata catalogata come attrice nevrotica, dal carattere difficile. Le è pesato?
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«Non più di tanto, so bene che la gente è abituata a metterti un cartellino al collo e a giudicarti in base a quello. Sì, ogni tanto mi ha dato fastidio, soprattutto quando lo hanno fatto gli addetti ai lavori che avrebbero dovuto conoscermi meglio e magari proteggermi da giudizi superficiali».
È nella ristretta cerchia delle attrici predilette da Nanni Moretti. Come si resiste alla corte di re Nanni?
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«Abbiamo fatto cose bellissime insieme, mi ha dato tantissime opportunità, anche all’estero. Se i progetti sono interessanti, le difficoltà si superano. Forse, nel rapporto con Nanni, mi ha aiutato il fatto di aver avuto un padre molto simile, molto duro, molto giudicante. Un padre con dodici “p”. Sono abituata a trattare con quel tipo di persone che, per raggiungere qualcosa, hanno bisogno dello scontro, persone con un modo di fare egocentrico. Poi Nanni mi ha fatto anche molto ridere, lo apprezzo tanto, gli voglio molto bene».
Con Carlo Verdone come è andata?
«Lo ringrazierò per sempre, mi ha dato una fiducia enorme offrendomi, in Maledetto il giorno che t’ho incontrato, un personaggio meraviglioso. Ricordiamoci che in quel periodo al cinema le attrici erano quasi sempre utilizzate come spalle, una cosa di cui ho sofferto e che mi ha spinto a dire dei no. Con Carlo, invece, eravamo protagonisti alla pari».
In Vita da Carlo sua figlia, Caterina De Angelis, interpreta la parte della figlia di Verdone. Come ha preso la sua scelta di fare l’attrice?
«Con filosofia. Sono una madre e sono naturalmente preoccupata, anche se Caterina sta facendo un suo percorso valido, è lucida, non si fa abbindolare, ha le sue doti. E poi i figli bisogna lasciarli in pace, liberi di scegliere, anche perché i ragazzi di oggi prendono il lavoro in maniera diversa da come facevamo noi».
Cioè?
«Hanno la forza di cambiare direzione, senza vivere i mutamenti come traumi o fallimenti, in questo sono più bravi di noi. Del cinema, per esempio, fanno parte tante cose, non c’è solo la recitazione, si può pure decidere di dedicarsi alla produzione, alla scrittura, insomma restando nello stesso ambito si possono fare cose diverse».
Come reagirono, invece, i suoi genitori alla scelta di diventare attrice?
«Mio padre non l’ha mai presa bene, non ci credeva proprio, la mia non è stata una scelta condivisa. Mai. Forse alla fine ha capito, ma molto tardi. Oggi non c’è più, credo di aver cercato, per tutta la carriera, di piacergli, anche facendo ruoli che in qualche modo potessero avvicinarmi a lui».
Ha recitato diretta da Marco Bellocchio, in Esterno notte è stata Eleonora Moro. Che cosa le ha dato quell’esperienza?
«Bellocchio è stupendo, un capitano con il timone fra le mani, un comandante gentile, garbato, rispettoso. Ha un carattere particolare, ma anche i suoi momenti bruschi sono belli, umani».
La sua timidezza è tutta vera oppure fa parte del suo personaggio?
«Sono nata così, con una timidezza patologica, non parlavo, arrossivo come un peperone, a scuola è stato terribile, non rispondevo alle domande, non riuscivo a mettere insieme nemmeno le poche cose che sapevo. Gli insegnanti non mi capivano, forse solo uno, un professore di disegno, ci è riuscito, mi disse che, secondo lui, l’unico modo per vincere la timidezza poteva essere proprio fare l’attrice».
Che tipo di alunna era?
«Folle, come tutti i timidi avevo momenti di pazzia totale e diventavo aggressiva, esageravo, strillavo, facevo cose strane, mi cacciavano spesso dalla classe, era il mio modo di ribellarmi a quel mondo accademico che mi appariva odioso. Con le mie compagne di allora ne rido ancora adesso».
È vero che, secondo lei, l’ansia è salutare?
«Sì, è uno stato d’animo che aiuta a capire i pericoli, significa stare in campana, avere un’attenzione maggiore. Quelli che non hanno ansie sono pazzi».
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