CON MASSIMO PINI SE NE VA UN ALTRO GRANDE, GROSSO PEZZO DEL CRAXISMO, PONTE TRA PSI E IL POTERE ECONOMICO – AUTORE DI UN MONUMENTALE LIBRO SU BETTINO, FONDAMENTALE PER CAPIRE UN’EPOCA - QUANDO CRAXI GLI DISSE: “SE TORNO IN ITALIA MI AMMAZZANO CON UN CAFFE’ IN CELLA” - FU UNO DEI POCHI EX PSI A SCEGLIERE AN E NON FORZA ITALIA - DI PIETRO AGENTE DELLA CIA? “QUELLO CHE ACCADE OGGI È LA CONTINUAZIONE DI UN PROCESSO AVVIATO NEL 1992. E DIETRO C’È SEMPRE LUI”….

1- PINI, IL SOCIALISTA DELLA MUTAZIONE
Fabrizio d'Esposito per Il Fatto

All'imbrunire, il milanese Bettino Craxi aveva una liturgia per la serata, tra le mura dell'Hotel Raphael, la sua storica residenza romana. La doccia nell'appartamento all'ultimo piano dell'albergo, poi la discesa al bar, dove c'era la sua corte ad attenderlo. Il famoso decisionismo fletteva un po': "Allora, che si fa? Si cena qui da Spartaco o si va alla Majella". Di solito, l'ultima parola era dello stesso Spartaco, cioè Vannoni, ex comunista, comproprietario del Raphael e consigliere del leader socialista: "Resteremo per la cena in albergo e parleremo di politica".

Questa ed altre centinaia di scena sono state raccontate da Massimo Pini nella sua gigantesca biografia di Craxi, 737 pagine, pubblicata da Mondadori nel 2006. Pini è morto domenica scorsa a Milano. Aveva 75 anni. Si definì il "biografo necessario" del segretario del fu Psi morto in Tunisia, ad Hammamet. "Necessario" perché doveva una risposta a una tragica domanda che gli pose lo stesso Craxi: "Chi mi difenderà dopo la mia morte?".

Pini eseguì nelle 737 pagine, autointestandosi un valore storico, accademico e non giornalistico, e sperando in una riabilitazione imperitura del suo eroe: "Io penso che queste cose andrebbero insegnate a scuola: non solo la cronachetta scontata. D'altronde anche Mazzini morì in Italia sotto falso nome: lo ricorda Ferdinando Mar-tini, quando descrive gli ultimi giorni del fondatore della Giovane Italia. Era sotto falso nome perché ricercato dalla polizia; dopo qualche anno Mazzini è diventato quel grande che tutti noi conosciamo".

Ma Pini non è stato solo il cantore del craxismo. Ne fu anche l'emblema, da fedele braccio operativo, laddove il regime partitocratico della Prima Repubblica si spartiva potere, poltrone e affari: la Rai e la vecchia Iri. A viale Mazzini s'insediò da consigliere d'amministrazione nel 1975 e della sua esperienza ricavò un libro dal titolo chiaro: "Memorie di un lottizzato-e". La consacrazione a boiardo di Stato avvenne nell'Iri di Romano Prodi, negli anni Ottanta. Craxi lo sguinzagliò nel Comitato di presidenza come mastino che doveva fare la guardia al Professore, dopo l'affaire Sme-De Benedetti. Anche in questo caso un altro volume: "I giorni dell'Iri".

In pratica, Pini fu un protagonista di quella "mutazione genetica" del Psi che Riccardo Lombardi denunciò durante la gestione craxiana del partito. E riassunta così da Lombardi: "Craxi guida il partito secondo i criteri del Fuhrerprinzip, fa tutto di testa sua senza mai consultare i dirigenti di partito". A dire il vero, secondo Pini, un consigliere c'era, ma morì presto.

Scrive il cantore-biografo: "La perdita di Spartaco Vannoni fu per Craxi un colpo durissimo. Spartaco non gli aveva fatto soltanto da filtro contro le tentazioni cui un uomo solo poteva soggiacere in una città come Roma, ma gli aveva creato intorno, nel suo albergo, un'atmosfera quasi di seconda famiglia. Gli aveva costruito un nucleo autosufficiente in una capitale, dapprima indifferente o sprezzante, che ora si apprestava a conquistare l'Unno con tutti i mezzi di un'antica corruttrice.

Craxi rimase nella fortezza del Raphael, ma ormai le porte dell'albergo non erano più sorvegliate dagli occhi mobilissimi del maestro". Nani, ballerine e tangentisti presero il sopravvento. Il Psi si suicidò negli anni Novanta, ma per Pini fu complotto. Dal pool di Mani Pulite agli Stati Uniti. Frase di Craxi raccolta da Pini: "Per questo non torno in Italia, altrimenti mi uccidono".

Tangentopoli non risparmiò Pini: nel 1994 finì a domiciliari per un'inchiesta sulla corruzione della Guardia di Finanza. Una verifica fiscale morbida alla casa editrice Cosmopoli, di cui Pini era azionista di maggioranza. Da editore, però, il craxiano senza tessera (non fu mai iscritto al Psi, un po' come Gianni Letta, braccio destro del Cavaliere, non è mai stato di Forza Italia e Pdl) fu noto per le edizioni Sugar.Co.

La sua esperienza di boiardo di Stato (quando l'Iri arrivò al capolinea, divenne consigliere per le privatizzazioni dell'allora premier Giuliano Amato) la mise poi a frutto come manager a disposizione Salvatore Ligresti, le cui fortune iniziarono da palazzinaro nella Milano di Craxi e Pillitteri. Nella galassia Ligresti è stato presidente della Milano assicurazioni, consigliere di Impregilo e rappresentante nel patto di Rcs. Non senza aver tentato l'impegno diretto in politica, alle elezioni del 2001.

Pini fu un socialista che non scelse Forza Italia (a differenza dell'ex moglie, Margherita Boniver) ma Alleanza Nazionale. Merito dell'ex vicepresidente dell'Iri in quota repubblicana Pietro Armani, poi deputato di An nel 1996. Ma Pini non ce la fece alle politiche del 2001, sconfitto in un collegio lombardo. Fu ricompensato con un posto nel cda di Finmeccanica su designazione del ministro dell'Economia Giulio Tremonti. Quando Craxi morì nel gennaio del 2000, da latitante ad Hammamet, Pini era lì a comporre il feretro. Con una certezza: "Craxi è morto per colpa di Ciampi. Craxi si attendeva un qualche riconoscimento per la sua malattia da parte dell'allora capo di Stato. Quando Bettino constatò il silenzio del Quirinale si lasciò andare e morì".

2- CRAXIANI PER SEMPRE! PARLA MASSIMO PINI, EX QUINTA COLONNA ANTIPRODI DI BETTINO NELL'IRI
Sergio Rizzo per "il Corriere della Sera" - 12 maggio 2003

Era uno dei grandi ritorni più attesi, dopo la vittoria elettorale di Silvio Berlusconi. Ma per un motivo o per l'altro la rentrée di Massimo Pini era stata sempre rimandata. Il suo nuovo partito, Alleanza nazionale, l'aveva candidato in Lombardia alle elezioni politiche del 2001, ma il suo avversario del centrosinistra aveva prevalso. Come risarcimento della sconfitta sembrava quindi destinato alla prestigiosa, quanto decorativa, presidenza dell'Enel. Ma anche in quella corsa era stato superato dal presidente del comitato di liquidazione dell'Iri, Piero Gnudi. Alla fine, però, una poltrona l'ha avuta.

E anche se non è come quello di presidente dell'Enel, il posto nel consiglio di amministrazione della Finmeccanica, su designazione del ministro dell'Economia Giulio Tremonti, non è certo da buttare via. La storia di Massimo Pini è simile a quella di tanti altri socialisti che dopo la diaspora del 1993 hanno cercato con ostinazione di tornare a galla. Ma nella sua vicenda non manca un pizzico di originalità, elemento che del resto ha sempre fatto parte del suo carattere.

E' infatti uno dei pochissimi socialisti di fede craxiana che invece di scegliere la strada di Forza Italia, ha imboccato senza esitazioni quella di Alleanza nazionale. E chissà se anche per questo motivo il suo ritorno sulla grande scena non sia stato tanto a lungo rinviato. Su un piccolo palcoscenico locale, quello della Provincia di Roma era salito già nel 1999. Esattamente da quando il presidente Silvano Moffa, esponente di An, lo nominò suo consigliere insieme a don Pierino Gelmini, all'ex direttore degli istituti di pena ed ex avvocato di Craxi, Niccolò Amato, e all'ex ministro dell'Agricoltura Walter Lucchetti.

Una funzione che Pini ricopre ancora oggi. Originario di Udine, 66 anni, è stato uno degli uomini più potenti e controversi dell'epoca di Bettino Craxi. Fondatore delle casa editrice SugarCo, sposò Margherita Boniver, socialista come lui, che dopo la fine del Psi ha aderito al partito di Berlusconi ed ora è sottosegretario agli Esteri. Nel 1981 Pini fu nominato nel consiglio di amministrazione della Rai. E nel 1986 venne catapultato nel comitato di presidenza dell'Iri, per sei anni ruggenti.

Arrivò subito dopo che la cessione della Sme alla Buitoni di Carlo De Benedetti era appena sfumata, per volontà di Craxi. Ma i miasmi di quella vicenda aleggiavano ancora nel palazzo di via Veneto. E non fu certamente per caso che proprio in quel momento nel comitato di presidenza della grande holding pubblica il segretario socialista avesse spedito una persona di assoluta fiducia. Da allora Pini fu per il presidente dell'Iri Romano Prodi un'autentica spina nel fianco. Molto di più di quanto non si fosse dimostrato in quel ruolo il suo predecessore Mario Schiavone.

«E' il mio principale avversario», commentò Prodi in pubblico più volte. L'avventura dell'Iri si esaurì con la trasformazione in società per azioni degli enti pubblici, in quel torrido 1992, che spazzò via il comitato di presidenza. Tuttavia Pini non uscì completamente di scena. Venne infatti nominato consigliere per le privatizzazioni del presidente del Consiglio Giuliano Amato. Incarico piuttosto singolare, visto che il rappresentante socialista nel consiglio dell'Iri non si era mai mostrato un acceso sostenitore delle cessioni ai privati delle aziende di Stato.

Poi tutto cambiò, d'improvviso. Il governo Amato cadde. Craxi fu travolto dalle inchieste giudiziarie. Alla fine del 1993 Pini decise di vendere la SugarCo. E come accadde in quegli anni a molti esponenti del partito socialista, finì anche lui nei guai giudiziari. Il 23 settembre del 1994, durante il primo governo di Silvio Berlusconi, Pini finì per qualche giorno agli arresti domiciliari nell'ambito di una inchiesta sulla corruzione della Guardia di Finanza, in quanto azionista di maggioranza della casa editrice Cosmopoli, i cui responsabili avrebbero versato 20 milioni di lire alle Fiamme Gialle in occasione di una verifica fiscale risalente al 1990.

Nell'occasione il presidente della commissione Cultura della Camera, Vittorio Sgarbi, lo difese a spada tratta: «La realtà dell'editore è nell'immagine. Possono esserci mille ragioni per inquisirlo, ma quando l'arrestano ne distruggono l'immagine. E' un comportamento, perciò, profondamente anticulturale». Quella storia non ha lasciato tracce apparenti. Come il passaggio ad Alleanza nazionale non ha compromesso i rapporti di Pini con gli ex compagni di partito.

Né con gli imprenditori che sono sempre stati considerati vicini a Craxi. Per esempio, Salvatore Ligresti: il 29 aprile l'assemblea della compagnia assicurativa Fondiaria-Sai, controllata dalla famiglia Ligresti, lo ha nominato vicepresidente. Nemmeno, a causa della sua scelta politica, si sono raffreddati i rapporti con Craxi. Anzi. Legatissimo all'ex segretario del Psi, era un assiduo frequentatore della sua casa di Hammamet, in Tunisia. Quando Craxi è morto era fra i fedelissimi che hanno composto il feretro. Pini è rimasto legato anche alla famiglia dell'ex segretario del Psi e soprattutto al figlio Vittorio Craxi, detto Bobo.

Con il quale ha anche vissuto, quattro anni fa, una coincidenza a dir poco inquietante: nello spazio di due giorni le loro automobili vennero incendiate da ignoti. E la fiducia che Craxi padre aveva in Pini si è trasferita, immutata, anche in Craxi figlio. Come dimostra un episodio apparentemente insignificante. Nel 1998 Pini è stato incaricato di liquidare la Campiglia srl, una società agricola controllata all'84% da Bobo Craxi e di cui l'ex sindaco di Milano Giampaolo Pillitteri, cognato di Craxi, e suo figlio Stefano detenevano il 16%.

2 - MASSIMO PINI: «CRAXI TEMEVA DI ESSERE UCCISO CON UN CAFFÈ IN CELLA»
Marco Nese per il "Corriere della Sera"

«Se torno in Italia, mi uccidono». A Massimo Pini che andava a trovarlo ad Hammamet, Bettino Craxi confidava i suoi timori. «Era convinto che in Italia lo avrebbero gettato in un carcere in modo umiliante. E prima o poi gli avrebbero somministrato una tazzina di caffè. Nelle loro mani, diceva, sarò assassinato».

Editore, ex alto dirigente di Iri e Rai, oggi vicepresidente di Fondiaria-Sai, Pini è stato amico e biografo di Craxi. E ora che si riparla dell'ex leader socialista a dieci anni dalla scomparsa, è la persona giusta a cui chiedere se, come sostiene Rino Formica, Tangentopoli fu un complotto di palazzo. Lo fu, secondo Pini, anche se oggi «molti personaggi fanno finta di non ricordare».

Il Craxi da lui conosciuto era «un leader anticonservatore, deciso a rompere la cappa distesa sull'Italia da Dc e Pci. Alcuni suoi comportamenti si ritrovano in Berlusconi, che come Craxi è un leader anomalo, non uomo dell'establishment. Craxi era più uomo del popolo, ma tutti e due manifestano un forte spirito nazionalista, un grande amore di patria».

L'ipotesi avanzata da Formica che Di Pietro non agisca di sua iniziativa ma «sia utilizzato» è, secondo Pini, «molto convincente perché quello che accade oggi è la continuazione di un processo avviato nel 1992. E dietro c'è sempre lui. Se facessimo una ricostruzione storica e scientifica di quello che è successo dal '92 in poi ci accorgeremmo che Craxi subì pesanti attacchi esterni.

L'ala guerrafondaia degli Stati Uniti lo mise nel mirino dopo l'episodio di Sigonella». Si fece nemici gli israeliani, perché disse che Mazzini aveva addestrato terroristi con uno scopo rispettabile, quello di liberare la sua patria. Era un assist formidabile ai palestinesi. «Si era esposto molto, il leader israeliano Peres insorse». Nemmeno gli inglesi lo amavano. «Il ministro del Tesoro Brittan diceva che l'Italia era un Paese da abbandonare al suo destino. E i giornali britannici lanciavano accuse pesanti. Come oggi contro Berlusconi. Stessa situazione che si ripete».

Bisognerebbe capire, secondo Pini, in questi attacchi prima contro Craxi e ora contro Berlusconi come si inserisce Di Pietro. «Non abbiamo ancora capito bene chi è veramente Di Pietro. E credo che Veltroni abbia fatto un danno enorme al Pd prendendoselo come alleato, un errore da dilettante. Come è possibile credere che Di Pietro sia un partner affidabile per una strategia politica di lungo termine?». Se il presidente della Repubblica deciderà di ricordare Craxi, nessuna sorpresa «perché fra i due c'era un dialogo, Napolitano era allora capo dell'ala migliorista del Pci e manifestava interesse per l'azione politica di Bettino, anche se non poteva farlo apertamente: avrebbe spaccato il Partito comunista».

Se vorrà ricordare l'ex leader socialista, «credo che lo farà con un approccio realistico e storico, non certo per una riabilitazione, non solo perché Craxi non ne ha bisogno, ma soprattutto perché quella parola, riabilitazione, è infausta, la usa-vano in Unione Sovietica, quando avevano distrutto un avversario, dopo la morte lo riabilitavano». Nonostante l'eventuale ricordo del capo dello Stato, nonostante la via o il giardino che gli dedicherà la Moratti a Milano, Claudio Martelli ritiene difficile «una riconciliazione a sinistra» sul nome di Craxi.

Ma Pini ribatte che «se per riconciliazione s'intende una grande alleanza di centrosinistra, non ha più senso perché i socialisti sono passati quasi tutti con Berlusconi, uno come Brunetta sarebbe incompatibile con un governo conservatore, non a caso anche Cicchitto, che viene dalla sinistra di Lombardi, sta con Berlusconi, l'unico che ha dimostrato di voler scardinare un sistema bloccato».

Pini andava spesso a trovare Craxi ad Hammamet. «Si sentiva abbandonato. Ma non voleva parlare del passato. Gli interessava capire cosa stava accadendo. L'ultima volta l'ho visto poco prima che morisse. Aveva deciso di scrivere un'autobiografia. Io dovevo aiutarlo a raccogliere il materiale. Documenti che poi ho usato per la biografia da me scritta per Mondadori. È una storia dell'uomo Craxi». All'ingresso della sua casa di campagna, in Toscana, Pini ha attaccato una targa di marmo con la scritta «Lo statista Bettino Craxi fu ospite in questa casa 1973-1992». La prima volta ci andò appunto nel '73, nei giorni in cui in Cile cadeva Salvador Allende.

 

 

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