
IL RITORNO DI ''NEVER TRUMP'' - NON GLI PARE VERO AI REPUBBLICANI SFANCULATI E SURCLASSATI DA DONALD DI AVERE UNA SCUSA PER SCARICARLO: 200 BIG DEL PARTITO VOLTANO LE SPALLE AL CANDIDATO, DA MCCAIN A RUBIO, DA CRUZ A BUSH. TUTTA GENTE CHE È STATA COSTRETTA A DARGLI L'ENDORSEMENT - ALLA CLINTON VA PURE IL PRIMO ENDORSEMENT DI ''FOREIGN POLICY''
1. USA2016: A CLINTON IL PRIMO ENDORSEMENT DI 'FOREIGN POLICY'
(ANSA) - Per la prima volta nei quasi 50 anni della sua storia, il Foreign Policy magazine ha deciso di dare il suo endorsement ad un candidato alle presidenziali Usa: Hillary Clinton. In un articolo dal titolo "Hillary Clinton for President of the United States", il magazine sottolinea che "in quasi mezzo secolo" sin dalla sua nascita "non ha mai dato il suo endorsement ad un candidato politico", ma allo stesso tempo afferma che "una presidenza Donald Trump è tra le maggiori minacce di fronte all'America" e definisce una tale prospettiva "grottesca e profondamente inquietante".
il secondo confronto tv tra trump e hillary clinton
"La sequela di ragioni per cui Trump pone una tale minaccia è così lunga che è, in effetti, scioccante che egli sia il candidato di un importante partito per la presidenza. Il recente furore per il suo vile comportamento con le donne illustra la straordinaria natura della sua inidoneità, come il suo ripudio da parte di tanti membri del suo stesso partito", scrive ancora il magazine definendo quindi Hillary Clinton "tra i migliori e più qualificati candidati che questo Paese abbia mai prodotto sin dalla seconda guerra mondiale" ed è "indiscutibilmente ben preparata per guidare questo Paese".
2. “NON POSSIAMO PIÙ VOTARLO” DUECENTO BIG REPUBBLICANI VOLTANO LE SPALLE AL TYCOON
Federico Rampini per “la Repubblica”
L’establishment repubblicano è nel panico, la lista dei disertori si allunga: proclamano alto e forte che non possono più votare per Donald Trump dopo l’ultimo scandalo a base di insulti sessisti, volgarità e allusioni oscene. Di più: c’è un fronte che ormai invoca apertamente il ritiro di Trump e la sua sostituzione in extremis come candidato alla Casa Bianca, a soli 30 giorni dal voto.
il secondo confronto tv tra trump e hillary clinton 9
Lui reagisce sprezzante: «Sono ipocriti benpensanti, gente senza sostegno di massa, politici di professione che vanno a picco nei sondaggi».
L’elenco degli anti-Trump si allarga ad almeno 200 notabili della destra – senatori, deputati, governatori, ex esponenti di governo – e coincide col pronunciamento di massa per il ritiro della candidatura. Si va dall’ex segretario di Stato Condoleezza Rice al senatore dell’Arizona John McCain (lui stesso candidato alla Casa Bianca nel 2008 contro Barack Obama).
david letterman john mccain 2008
Si aggiungono tra i “disertori” quasi tutti i candidati che Trump sconfisse durante le primarie, da Ted Cruz a Marco Rubio, da Jeb Bush a John Kasich. Spunta tra i pentiti perfino Arnold Schwarzenegger, la star di Hollywood nonché ex governatore della California: amico di lunga data di Trump, pluri-divorziato e lui stesso accusato di molestie sessuali in passato, Schwarzy era stato una specie di proto-Trump, un esperimento che il tycoon newyorchese aveva studiato prima di lanciarsi in politica.
È una vera insurrezione contro Trump, una rottura senza precedenti storici a così poca distanza dall’appuntamento elettorale dell’8 novembre. Il Grand Old Party si sente minacciato nella sua stessa esistenza. Non c’è solo la Casa Bianca in palio. Un tracollo di Trump può avere un effetto di trascinamento sulle altre votazioni, l’8 novembre si rinnovano anche molti seggi tra Camera, Senato, governatori degli Stati.
Donald Trump (s), Ted Cruz (c) e John Kasich
L’implosione di Trump può costare cara ad altri repubblicani la cui rielezione era già in bilico. E tuttavia la rivolta dell’ultima ora è un fenomeno prevalentemente di élite. Sono i membri dell’establishment a voltargli le spalle, invocando perfino la sua sostituzione. Trump lo sa, si difende denunciando l’ultima congiura degli “insider”, e appellandosi all’appoggio della sua base.
“Quelli che mi criticano adesso – dice il candidato – sono gli stessi che hanno sempre dubitato di me. Pensano solo al proprio futuro politico, non al futuro del paese. Io ho vinto le primarie contro l’establishment, senza appoggi dagli insider, e vincerò l’elezione sempre senza di loro”. Trump intuisce una debolezza del fronte avversario: è una galleria di ritratti di notabili, proprio quei politici di professione che la base ha sfiduciato. Manovre per costringerlo al ritiro ce n’erano già state alla vigilia della convention, sempre fallite. Ora il fronte anti- Trump si è allargato, ma non basta.
Lo scenario del ritiro è fanta-politica se non altro perché arriva troppo tardi. A un mese dal voto i giochi sono fatti. Il ritiro del candidato significherebbe far seguire allo scandalo anche un suicidio politico collettivo. C’è anche un ostacolo tecnico formidabile: in molti Stati sono già cominciate le votazioni per corrispondenza, a quest’ora milioni di repubblicani hanno già inoltrato le loro schede con il nome di Trump.
Non a caso, a leggersi bene le dichiarazioni dei maggiorenti repubblicani in queste ore, la condanna delle parole sessiste del candidato è dura e unanime, ma viene seguita nel caso del suo vice Mike Pence da un sostegno al numero uno; nel caso dei due notabili repubblicani più altolocati (Paul Ryan numero uno alla Camera e Mitch McConnell suo omologo al Senato) non c’è il minimo accenno alla possibilità di cambiare cavallo. E del resto, chi mettere al posto di Trump?
trump e mike pence circondati da famigliari
Il candidato vice, l’ex governatore dell’Indiana, è ancora un illustre sconosciuto. La sua prestazione al duello tv contro il democratico Tim Kaine è stata buona, ma da qui a proiettarlo verso la Casa Bianca ce ne vuole. E poi ammettere che Trump è inadeguato a 30 giorni dal voto è una constatazione di fallimento. La campagna delle primarie è durata più di un anno, se si risale all’annuncio delle candidature. Il popolo della destra si pronunciò in modo inequivocabile.
Chi era Trump lo sapevano tutti già allora: perché né Cruz né Rubio né Bush seppero usare contro di lui gli scandali fiscali o sessuali? Nessun personaggio ha avuto una vita più “pubblica” di lui. Con l’eccezione della dichiarazione dei redditi, tutto Trump era alla luce del sole, compreso il suo sessismo. L’ipotesi di mettere al suo posto uno sconosciuto – o peggio, magari un ex candidato sconfitto alle primarie – agli occhi di molti elettori di destra sarebbe l’ennesima rivincita dell’establishment. Aumenterebbe il tasso di astensionismo a destra, senza sfondare in altre fasce di elettori.