“LE DISEGUAGLIANZE SONO INTOLLERABILI, GIUSTO PENSARE DI TASSARE I MILIONARI” – ROMANO PRODI SALE SUL CARRO DI MAMDANI, TIRA UNA BORDATA AL PIANO DA MILLE MILIARDI DI DOLLARI DI MUSK (“E’ UNA COSA DEGNA DELL’UMANITA’?”) E AFFERMA: “SONO NECESSARIE POLITICHE DI REDISTRIBUZIONE DEL REDDITO, RISCHIAMO FRATTURE A LIVELLO GLOBALE” - POI PARLA DELL’EUROPA SCHIACCIATA TRA USA E CINA: “TRUMP TRATTA L'UE IN MODO INCREDIBILE. SE FINISSE IL VOTO ALL'UNANIMITÀ, AVREMMO GIÀ RIFATTO L'EUROPA. QUANDO UNA STRUTTURA POLITICA NON PUÒ DECIDERE, È FINITA…”
Giuseppe Bottero per “la Stampa” - Estratti
«La vittoria di Mamdani porta un vento nuovo: per la sua storia personale, per il tipo di campagna che ha fatto, per i suoi programmi», spiega Romano Prodi, preoccupato perché le diseguaglianze stanno crescendo a un ritmo «intollerabile.
Si parla di grandi cambiamenti, di intelligenza artificiale. Bisogna promuoverla, lavorarci su, però se non stiamo attenti comporterà nuove divisioni tra ricchi e poveri». Ecco perché, dice, pensare a politiche di redistribuzione è «assolutamente necessario».
L'ex presidente del Consiglio, che incontra i giornalisti a margine del Global Forum di Lugano, non vuole entrare nel dibattito politico italiano.
Piuttosto, punta il dito contro un sistema economico che si muove impazzito: «Pensi al piano di remunerazione che Tesla ha approvato a Musk: mille miliardi di dollari. Ma ci rendiamo conto? È una cosa degna dell'umanità?». Se spingiamo gli squilibri a questi livelli, «creiamo la frattura del mondo».
franco reviglio, romano prodi e gianni agnelli foto lapresse
Dunque, bisogna tassare i super patrimoni?
«Musk è soltanto un esempio. Ma per quanto riguarda le diseguaglianze, il discorso fatto dal nuovo sindaco di New York va nella direzione giusta. Ho dei grandi dubbi che gli strumenti che propone siano realistici, anche perché non so se avrà la capacità di tassare nella quantità voluta per venire incontro alle promesse che ha fatto. Si troverà di fronte a un dilemma notevole, ma ha cominciato a scegliersi collaboratori capaci. Mi sembra che rappresenti il nuovo, anche se non il nuovissimo».
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Nel suo intervento al Forum ha detto che «l'Europa è schiacciata fra una Cina sempre più forte e gli Stati Uniti, divenuti negli anni — prima ancora della presidenza Trump — sempre meno filo-europei». In questo scenario geopolitico così instabile, la costruzione di una difesa comune può diventare la via per uscire dall'angolo? I Paesi membri sono pronti?
«Non è una via d'uscita: di fronte ai cambiamenti che si stanno verificando nel mondo è una necessità assoluta.
Non è necessario avere un esercito, ma almeno un luogo in cui si decida insieme. Sul fatto che gli Stati siano pronti, penso di no. C'è un inizio di collaborazione industriale, ma la difesa comune significa che qualcuno prende decisioni valide e accettate da tutti».
Lei è stato tra i protagonisti della stagione in cui l'Unione europea si è costruita politicamente e istituzionalmente. Oggi Bruxelles sembra bloccata: ha ancora gli strumenti per reagire alle crisi?
«Devo dire con orgoglio che durante la mia Commissione abbiamo messo in atto l'euro, abbiamo fatto l'allargamento… e poi c'è stata la bocciatura del progetto di Costituzione da parte della Francia.
Lì è cominciata la decadenza della capacità di decidere.
Il potere è passato dalla Commissione al Consiglio, il diritto di veto ha cominciato a essere la regola. È evidente che, quando l'Europa non decide nulla, la gente smette di amarla».
In che modo si può ripartire? Da dove ricominciare per ricostruire un'Europa capace di pesare sul piano globale?
«Trump sta trattando l'Ue in modo incredibile. Proprio per questo bisogna reagire. Pensate all'episodio più recente: il presidente degli Stati Uniti dice ai Paesi europei "Voi non dovete più comprare gas dalla Russia, però l'Ungheria può farlo, perché Orban è mio amico". Intervenire nella politica interna selezionando tra amici e nemici del Paese con cui tratta è qualcosa che non abbiamo mai visto nella storia».
romano prodi e massimo d alema foto mezzelani gmt09
Esattamente come Draghi, considera il diritto di veto un nodo cruciale. Perché è così determinante superarlo?
«Se finisse il voto all'unanimità, avremmo già rifatto l'Europa. Unanimità, cioè il voto uguale di tutti, vuol dire impedire le decisioni.
Quando una struttura politica non può decidere, è finita. Ci vorrebbe poco, ma ci sono alcuni Paesi che non ne vogliono sapere.
Non solo l'Ungheria. Anche l'Italia non vuole superare l'unanimità, perché pensa che l'interesse nazionale lo si difenda più da soli che insieme, e questo è proprio sbagliato».
Guardando invece al piano economico: che cosa serve oggi al Vecchio Continente per essere davvero competitivo?
«L'Europa è competitiva, la bilancia commerciale non è assolutamente male. Però lo è in un modo diverso dagli altri. Certo, sull'hi-tech siamo proprio indietro: servirebbe un grande sforzo comune.
Ma nella media tecnologia l'Europa è una realtà. Gli Stati Uniti lamentano la concorrenza cinese, ma se pensiamo alla meccanica e alla chimica intermedia, l'Europa è molto più avanti dell'America».
la action figure di romano prodi - meme
SLEEPY DONALD TRUMP



