IL PUGNO FRANCESCANO ALLA CURIA: “IO NON SONO UN PRINCIPE RINASCIMENTALE CHE ASCOLTA LA MUSICA AI CONCERTI. HO TANTE COSE DA FARE, DEVO LAVORARE”

1 - IL PONTEFICE DISERTA IL CONCERTO: "NON SONO UN PRINCIPE RINASCIMENTALE"
Carlo Tecce per "Il Fatto Quotidiano"

A poche ore dal concerto in Vaticano per l'Anno della Fede, aula Paolo VI, papa Francesco rinuncia. Manda un messaggio di saluti che viene letto da monsignor Rino Fisichella, che guarda un po' imbarazzato la sala affollata di porpore, di cardinali e vescovi.

In quel momento, Jorge Bergoglio sale in camera a Santa Marta, la residenza ufficiale dopo aver "chiuso" il palazzo apostolico, e si lascia andare: "Io non sono un principe rinascimentale che ascolta la musica ai concerti. Ho tante cose da fare, devo lavorare".

C'è il viaggio (rischioso) in Brasile da preparare, gli appuntamenti diplomatici da sbrigare e la curia da riformare. La versione vaticana è un po' vaga, ma nemmeno morbida: "Non partecipa perché ha un'incombenza urgente e improrogabile a cui deve far fronte". Si diffonde la voce che il pontefice stia poco bene o sia semplicemente affaticato.

Allora la Santa Sede si preoccupa di far notare: il medico personale di Bergoglio siede nelle prime file e c'è anche il fedele segretario. Nessuna malattia improvvisa. Soltanto un pontefice che detesta i rituali. Questo concerto l'aveva organizzato Benedetto XVI, un anno fa, ma poi si è dimesso. Nonostante in Vaticano ci siano due papi, gli orchestrali hanno suonato per i cardinali.


2 - GESTI SEMPLICI DIVENTATI UNO STILE DI GOVERNO
Alberto Melloni per "Corriere della Sera"

Papa Francesco ha segnato la fine dei primi cento giorni di ministero con un gesto che suona come un rintocco solenne, severo. Che Francesco non amasse la fatale mondanità di eventi come quello disertato ieri era cosa facile a capirsi, anche prima di posizionare la sua poltrona bianca: queste cose celebrano momenti, ma anche relazioni, e su questo la mite intransigenza di Bergoglio è stata proverbiale da sempre.

Che Francesco abbia da prepararsi o difendersi da ciò che accompagnerà l'annuncio delle prime decisioni di governo è ragionevole: il Papa ha in cantiere le prime nomine importanti nella curia e nella chiesa - ed ha anche in serbo i primi «amoveatur» (alcuni senza il rituale «promoveatur») - e le tiene in serbo non come uno che attenda di trovare consenso, ma come uno che vuole solo comunicare a tutti che lui non ha fretta: perché sa tutto di tutti.

Che ci sia qualcosa di molto personale che ha avuto la precedenza, è possibile. Ma è altrettanto evidente che lasciando vuota la sua sedia in un evento che celebrava la fede e qualche vanità, peraltro non insolita fra i grandi personaggi della curia, il Papa ha fatto un gesto di cui comprendeva la durezza.

Quel gesto d'altronde, è stato coerentissimo con lo stile che ha connotato questi primi cento giorni, come sempre illuminanti e predittivi di un intero sviluppo pontificale. Infatti se si dovesse dire cosa è centrale in questi giorni si dovrebbe proprio parlare dello stile-Francesco (nel senso che dà al termine stile il grande teologo gesuita, Christoph Theobald). Lo stile-Francesco è stato fatto d'un uso preciso del tempo, dello spazio e del governo.

Francesco prende il tempo in un modo inusuale per un pontefice: per prepararsi a predicare e per predicare. Semina predicazione anziché produrre magistero: da cento giorni. Come mostrò Congar il «magistero ordinario» (distinto dagli atti di governo e dalla «lectio divina») è stato l'arma della lotta contro la modernità.

I due pontificati precedenti avevano concordemente ritenuto che quella fosse ancora la questione e che lo spazio pubblico fosse il terreno su cui battersi, con un magistero almeno «definitivo».

Francesco ha abbandonato tutto ciò: non s'è applicato a fare un corso di teologia a puntate e s'è ben guardato dal farsi dettare gli Angelus dall'agenda dei parlamenti, pur senza dimenticare di guardare a tragedie come quella siriana e a vicende pericolose come quelle dei vescovi ortodossi rapiti. Ha dato l'esempio di come un vescovo si dedica alla costruzione dell'edificio interiore e della apertura spirituale, piuttosto che al monitoraggio della legislazione e della comunicazione politica.

Predica, Francesco, come uno che ha in mente un tempo nel quale il governo si assottiglia e lascia posto ad una omiletica (l'arte e lo studio della predicazione) nella quale sembra che spuntino da una immaginaria lista i temi che voleva toccare: povertà, perdono, concilio, Ior, collegialità, confessione, santità, peccato, ascesi, battesimo, comunione, eccetera.

«Il papa si ripete» dice chi gli vuole bene: senza accorgersi che il papa lo sa e usa il tempo per ripetersi, quasi volesse ipnotizzare la nevrosi dei record e dei virtuosismi. E quando predica dà l'impressione che la sua parola non voglia chiudere una discussione sui nodi della vita cristiana, ma intenda aprire un tempo di dialogo fraterno al quale la chiesa non è preparata.

Lo stile di Francesco ha un uso peculiare dello spazio. Ha privato della quotidianità «L'Appartamento». L'edificio in cui tutto era simbolo di un potere è ora una centrale dismessa, nel quale egli entra rimanendone incontaminato e privando la corte di usi e protocolli che non erano la tradizione, ma solo anticaglie.

Entra invece nello spazio più difficile: quello dei povericristi che affollano le sue udienze, e anziché occuparlo come un sovrano talmente potente da chinarsi perfino sui poveracci, svanisce nel loro abbraccio. Che i gentiluomini fossero destinati a sparire da questo doppio spazio era cosa nota fin dalla vigilia della liturgia del 18 marzo: e diventa norma quando già è stata messa fuorigioco dalle cose.

Lo stile di Francesco è anche uno stile di governo e di non-governo. Per cento giorni Francesco ha tenuto la chiesa impegnata nella prima parte di un lungo corso di esercizi spirituali. Francesco ha dedicato questo primo tempo del suo ministero a mostrare di avere la calma di chi non deve legger nessun dossier segreto per sapere i segreti di Pulcinella della Roma ecclesiastica e di chi sa di aver innanzi un pontificato breve, ma non per questo condannato alla precipitazione.

Ha annunciato ad un organo che costituisce la prima (prima) espressione di collegialità «ad gubernandam ecclesiam» senza nemmeno fare una bolla. Non ha fatto grandi nomine, ma prepara il ricambio in Segreteria di Stato ed in alcuni dicasteri chiave, nel quadro di una riforma della curia che verrà: senza nevrosi e senza paura di dare segni forti, come dimostra la sedia vuota di ieri.

In cento giorni Francesco ha imposto questo stile: e ha avuto una risposta affettuosa, ma anche facile come quella dei tassisti che «a me 'sto papa me piace»; di certo quello stile consola tanti, che vorrebbero avere un parroco così; nutre tanti preti e vescovi, un po' per faciloneria un po' per santa emulazione. Ma è uno stile esigente: e quel che s'è visto in questi primi cento giorni, fino al rintocco di una sedia vuota, dice che il papa lo sa e non arretra.

 

 

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