QUEI MACELLAI DI AL QAEDA COL PASSAPORTO AMERICANO - I TERRORISTI DEL WESTGATE MALL SONO UNA INTERNAZIONALE DEL SANGUE

Vincenzo Nigro per "La Repubblica"

Nella notte di pioggia sottile, davanti al Westgate Mall tra i giornalisti delle tv e i parenti degli ostaggi si fa strada una notizia che getta nuova luce sull'attentato. Ci sono sicuramente tre jihadisti con passaporto americano fra i terroristi che hanno assaltato sabato il centro commerciale di Nairobi. Un sito di intelligence aggiunge altri 3 americani-jihadisti.

Con loro un britannico, un canadese, un finlandese oltre ad arabi e somali. Insomma una vera internazionale del terrorismo allevata e addestrata in Somalia per colpire qui in Kenya. Alle 7 di sera l'esercito del Kenya inizia i preliminari dell'assalto finale. Il blitz sarà devastante.

Non solo perché i terroristi spareranno fino all'ultima cartuccia, ma perché quei 15 militanti di Al Shabaab (i "ragazzi"), fra cui almeno tre donne, che hanno conquistato l'emblema del capitalismo africano di Nairobi sono imbottiti di esplosivo. Con l'aiuto di consiglieri americani e israeliani, i kenyoti hanno iniziato a scandagliare il mall con telecamere e visori termici, per capire come si sono divisi i terroristi, in quanti negozi o ristoranti sono, e con quanti ostaggi.

Alcuni movimenti lasciano pensare che potrebbero avere cassette di esplosivo già piazzate per far saltare in aria chiunque si avvicini. Ma già prima della mezzanotte le forze di sicurezza fanno sapere d'avere tratto in salvo la maggior parte degli ostaggi, e d'avere preso il controllo di quasi tutto l'edificio.

Il ciclo della violenza di Al Qaeda fa dunque una nuova tappa a Nairobi. La saga voluta da Osama Bin Laden venne avviata proprio qui, nella capitale dell'Africa orientale, colpendo l'ambasciata americana nel 1998 con un attentato che fece 200 morti. Oggi il nuovo simbolo da abbattere è ancora qui, il Westgate Mall, che in questo specchio d'Africa è l'emblema del capitalismo, dei consumi, della vita occidentale.

I terroristi della Al Qaeda somala che il Kenya ha contribuito a sconfiggere nel loro Paese sono asserragliati con tutto il loro arsenale. Con gli ostaggi divisi in piccoli gruppi nei bar, ristoranti e negozi. Il presidente del Kenya, Uhuru Kenyatta, dopo una giornata passata al telefono con Barack Obama, col segretario generale dell'Onu, con i leader dei governi che hanno avuto o hanno ostaggi nel Westgate, ha parlato con i capi della polizia. Tra i morti ci sono anche un suo nipote con la fidanzata.

I kenyoti vogliono chiudere l'assedio nella notte. I consulenti di sicurezza israeliani che aiutano la polizia (alcuni fra i proprietari del Mall sono israeliani) hanno offerto i loro suggerimenti per provare a limitare i danni. La Croce rossa ha aggiornato il
numero delle vittime: sono 68, saliranno ancora, e negli ospedali ci sono 200 feriti, anche molto gravi.

I terroristi hanno agito senza pietà. Sabato mattina per entrare sono passati attraverso i tavolini all'aperto di un Artcafè: «Appena hanno visto la guardia della sicurezza non hanno perso tempo, gli hanno sparato in fronte, e poi immediatamente hanno sparato ai bianchi, donne, vecchi, bambini», dice un testimone che ha schivato di pochi millimetri un proiettile.

I morti avevano da 2 a 78 anni d'età, innanzitutto kenyoti, poi somali, francesi, canadesi. Due donne francesi, una mamma e la figlia, sono state assassinate con crudeltà: hanno mirato alle teste, hanno continuato a sparare inseguendole mentre quelle cadevano e provavano a nascondersi.

Gli Shabaab l'avevano scritto chiaramente su Internet: erano pronti al "martirio". Su Twitter, alla polizia che li aveva contattati per un aprire negoziato, loro hanno replicato: «Non ci sarà negoziato di nessun tipo, dovete solo pagare». Con i loro telefonini i terroristi hanno inviato ad altri in Somalia le foto dei civili uccisi, per poi postare quelle foto sui siti jihadisti, che in mezzo mondo hanno inneggiato alla carneficina.

«L'attacco al Westgate è una frazione molto piccola di quello che i musulmani in Somalia hanno sperimentato per mano degli invasori kenyoti», hanno scritto gli shabaab su Twitter. «A lungo abbiamo condotto la guerra contro i kenyoti sulla nostra terra, ora è tempo di portare la guerra nella loro terra».

Al Shabaab si riferisce al fatto che dopo anni di instabilità, terrorismo, violenza, quando i jihadisti somali iniziarono a sconfinare in Kenya per mettere a segno rapimenti di occidentali, anche il Kenya (dopo l'Etiopia) decise di intervenire con l'esercito. Per mesi l'esercito kenyano, sicuramente il migliore dell'Africa orientale assieme a quello etiopico, attaccò gli Shabaab in profondità in Somalia.

Ordinò sbarchi di marines a Chisimaio, nel Sud, fece inseguire dagli elicotteri i convogli di tecniche di terroristi in fuga nella savana. In pochi mesi, come spesso avviene quando entrano in campo gli eserciti tradizionali, i guerriglieri di Shabaab furono costretti a disperdersi, a lasciare le città della Somalia.

Ma, appunto, si dispersero, non vennero eliminati del tutto. E oggi dalla Grande Alleanza del terrore di Al Qaeda ricevono tutto: armi, finanziamenti, addestramento, adepti, in campi e rifugi clandestini piazzati ovunque nell'Africa a cavallo del Sahel. E sono pronti a continuare la loro guerra asimmetrica in Kenya. Pronti a immolarsi da kamikaze nel Westgate di Nairobi assieme ai civili innocenti che hanno voluto trascinare nel loro inferno.

 

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