RENZI RIUSCIRÀ A LANCIARE LETTA ALLA COMMISSIONE EUROPEA? - SE IL NEGOZIATO SULLA PRESIDENZA FINISCE IN STALLO, MATTEO PROVERÀ IL NOME DEL PREMIER PUGNALATO, CHE PUÒ FAR FELICI DEMOCRISTIANI E SOCIALISTI - MA SARÀ DURA CON DRAGHI ALLA BCE: TROPPI ITALIANI

Alberto D'Argenio per ‘La Repubblica'

Sotto una pioggerella autunnale i leader dell'Unione si ritrovano a Bruxelles per fare il punto dopo il voto europeo, drammatico in molti paesi per la vittoria dei populisti e della destra. Non in Italia, dove Matteo Renzi ha portato il Pd ad essere il primo partito dell'Unione.

E ora traccia la strategia per andare all'incasso, per portare a casa una poltrona di peso per l'Italia: a partire dalla carica di ministro degli Esteri dell'Unione. Matteo Renzi arriva intorno alle cinque del pomeriggio, diserta il pre-vertice dei leader socialisti e insieme a Elio Di Rupo e a Francois Hollande sotto un cielo plumbeo va a rendere omaggio al museo ebraico, teatro della strage della scorsa settimana.

Quindi corre al Justus Lipsius, sede dei vertici Ue, per tracciare con il suo staff la strategia con la quale condurre il negoziato che nelle prossime settimane occuperà la politica europea, quello per l'assegnazione delle presidenze delle istitutioni Ue: Commissione, Consiglio, Parlamento ed Eurogruppo. Riunione interrotta giusto da una telefona di Barack Obama, che si complimenta per la vittoria elettorale e poi discute con il premier italiano - come ha fatto con la Merkel e Cameron - del ritiro delle truppe alleate dall'Afganistan. Ma a Bruxelles si parla di poltrone e tutto ruoterà intorno a quella di maggior peso, la guida della Commissione dopo il decennio di Barroso.

Le famiglie politiche di Strasburgo prima delle elezioni avevano stretto un accordo, accettato senza entusiasmo dai capi di Stato e di governo, che chi fosse uscito vincitore dal voto avrebbe portato il suo candidato di punta a Bruxelles: per i popolari il lussemburghese Juncker, per i socialisti il tedesco Schulz.

Il Ppe ha vinto di misura e ora tocca a Juncker, che per ottenere la maggioranza all'Europarlamento ha bisogno dei socialisti. I quali al momento mantengono il patto. Ma se i laburisti britannici si sfileranno, la maggioranza dell'ex premier del Granducato sarebbe risicata, ci vorrebbe un accordo anche con i liberali.

Alla cena di ieri sera i leader hanno dato mandato all'uscente Van Rompuy di sondare se Juncker avrà i voti necessari. Ma le cose per lui si complicano, visto che diversi premier non vogliono lasciare che la scelta sia presa da Strasburgo. E ieri sono usciti allo scoperto. David Cameron, contrario a cedere poteri all'Europa, ha bocciato Juncker: «No a nomi del passato».

Lo svedese Reinfeldt, l'olandese Rutte e l'ungherese Orban sono stati ancora più espliciti. La Merkel in pubblico sostiene tiepidamente Juncker, ma nemmeno lei vuole farsi sfilare dal Parlamento la prerogativa di scegliere l'uomo forte di Bruxelles. Partita che potrebbe durare settimane, e la strada per Juncker potrebbe rivelarsi in salita.

E qui si apre la partita di Renzi. Il premier entra nella stanza del summit e riceve i complimenti dei colleghi per avere portato il Pd sul tetto d'Europa. La Merkel allarga le
braccia ed esclama: «Ecco il Matador!». C'è chi scherza, «dobbiamo brindare a prosecco, non a champagne». Hollande incassa. Nel suo intervento Renzi spinge perché l'Unione guardi a crescita e occupazione. Sulle poltrone non si sbilancia, fa capire che «nomina sunt consequentia rerum, prima mettiamoci d'accordo sul programma poi decidiamo i nomi».

Ma il premier prende le misure, parlotta con gli altri leader per dare forma al piano che ha preparato nelle 48 ore successive al voto. La sensazione è che né Juncker né Schulz riusciranno ad ottenere la Commissione. In questo caso, spiegano a Palazzo Chigi, se si dovesse riaprire il negoziato, forte della vittoria del Pd, partito con più voti in Europa, l'Italia la giocherebbe da protagonista, sfidando i candidati che più o meno velatamente si sono già proposti: il polacco Tusk, il finlandese Katainen e l'irlandese Kenny.

Se il negoziato davvero andrà in stallo non si esclude di poter giocare la carta di Enrico Letta per la presidenza della Commissione europea. Ma sarà dura, così come sembra difficile ottenere la guida dell'Eurogruppo con Pier Carlo Padoan. Dunque il secondo bersaglio di Renzi - così detta la strategia, pronta a cambiare all'aprirsi di nuovi spiragli - è la carica di Alto rappresentante della politica estera dell'Unione, oggi in mano a Catherine Ashton.

Un posto di prestigio al quale il premier vede bene sempre Letta, ma che è ambito anche da Massimo D'Alema, che potrebbe però andare all'Onu come inviato per la Libia.
Se all'Italia andasse invece un portafoglio "comune" all'interno della Commissione, il premier sceglierebbe l'Agricoltura, materia di esclusiva competenza europea che gestisce miliardi di euro di fondi. Il candidato ideale sarebbe l'ex ministro del governo Prodi, Paolo De Castro. Ma a quel punto l'Italia reclamerebbe la presidenza dell'Europarlamento con Gianni Pittella.

C'è un'altra partita che Renzi segue con attenzione, quella interna al Partito socialista europeo. Un match del tutto slegato da quello delle nomine, ma che a Palazzo Chigi viene considerato comunque strategico. I socialdemocratici del Nord Europa imputano ai socialisti francesi di avere condannato il Pse all'immobilismo e ora guardano a Renzi per svecchiarlo.

Musica per le orecchie del premier, che vuole sfruttare l'occasione anche per ottenere la prestigiosa carica di capogruppo del Pse all'Europarlamento, mai andata all'Italia. Scontata la candidatura di Roberto Gualtieri, che nell'ultima legislatura ha lavorato ad alti livelli, anche se Renzi alla fine potrebbe optare su Simona Bonafè: oltre a essere donna, è stato il candidato che ha preso più voti alle europee.

 

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