LA RIMOZIONE DI PENATI NON SARÀ INDOLORE: NON CI STA A FARE IL CAPRO ESPIATORIO, ACCUSATO DAI SUOI STESSI EX COMPAGNI

Paolo Bracalini per "Il Giornale"

Il Pd è avvertito, la rimozione di Filippo Penati non sarà indolore e nemmeno semplice. L'ex braccio destro di Bersani in Lombardia, a processo per corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti (i Ds), non ci sta a fare il capro espiatorio, accusato dai suoi stessi ex compagni.

I Ds si sono infatti costituiti parte civile al Tribunale di Monza, dov'è imputato Penati per la presunta mazzetta da 2 milioni di euro dal costruttore Pasini per l'ex area Falk di Sesto San Giovanni (di cui Penati è stato sindaco) e dall'imprenditore Pino di Caterina per l'affare Milano-Serravalle. Insomma il partito in cui Penati ha militato, fino ai massimi livelli, si prepara a chiedergli i danni in caso di provata colpevolezza.

Il bello è che Penati ha chiamato, come testimone per difendersi dalle accuse, l'ex leader dei Ds, Massimo D'Alema. Una faida (tra le numerose nel pianeta Ds-Pd), che stavolta si consuma sui banchi di un Tribunale. L'ex vicepresidente del Consiglio regionale lombardo non ha digerito la scelta del suo partito.

I suoi legali stanno formulando una contestazione formale rispetto alla costituzione di parte civile dei Ds, ma il nodo è ancor più politico. «Politicamente giudico la loro decisione inutile e immotivata - ha detto Penati - Non c'è nulla negli atti processuali che motivi questa loro scelta. Se sarà accolta vorrà dire che avranno un posto in prima fila il giorno della mia assoluzione».

Ma l'amarezza si trasforma in un avvertimento, un «pizzino» ai vertici Pd. «La storia dei Ds è anche la mia - dice al Corriere della sera - sbaglia chi pensa che io sbatta la porta. Anche a me sta a cuore custodire la buona immagine dei Ds. La scelta di costituirsi parte civile prima di una eventuale condanna è un'azione a sostegno della tesi accusatoria».

D'Alema è stato tirato in ballo dall'architetto Renato Sarno, definito dai pm «il collettore di tangenti per conto di Penati», nell'ambito dell'operazione di acquisto da parte della Provincia di Milano del 15% della milano-Serravalle del gruppo Gavio, ad un prezzo gonfiato. «Io ho dovuto comprare le azioni di Gavio - ha detto Sarno ai pm - Non pensavo di spendere una cifra così consistente ma non potevo sottrarmi perché l'acquisto mi venne imposto dai vertici del partito della persona di Massimo D'Alema».

Circostanza smentita totalmente dall'ex premier («non mi sono mai interessato alla vicenda della Milano-Serravalle»), come da Penati. Ma l'ironia del destino vuole che in Tribunale ci saranno da una parte Penati e D'Alema e dall'altra, come parte civile, il loro partito.

Lo scontro coi Ds sembra aver pesato molto nella scelta di Penati di rinunciare (così ha detto di voler fare) alla prescrizione incombente per il reato di concussione. Cioè l'ex presidente diessino della Provincia di Milano intende andare allo scontro coi Ds, che negano di aver mai ricevuto i soldi delle presunte tangenti, incassate - secondo l'accusa - proprio per finanziare il partito.

Nel dibattimento Penati vuole chiarire la sua posizione, e forse togliersi qualche sassolino: «Forse a qualcuno farebbe comodo non celebrare alcun processo sulle aree Falk di Sesto», ha detto al Qn l'ex segretario dei Ds a Milano. A chi si riferiva? Ha qualche asso nella manica da tirare fuori nella difesa processuale? Riguarda i Ds? È per questo che Penati vuole andare a processo e rinunciare alla prescrizione?

«Ho letto in un libro che il rinvio a giudizio è quella parte del processo che spetta all'accusa. Ora arriva la metà della difesa. Ora tocca a me». Un processo - prossima udienza il 26 giugno - a Penati, che però ha tutta l'aria di voler processare i Ds.

 

FILIPPO PENATIFilippo Penati Giuseppe Pasini PENATI BERSANI E MATTEO MAURI Massimo Dalema arch. Renato Sarno

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni ursula von der leyen donald trump dazi matteo salvini

DAGOREPORT – LA LETTERINA DELL’AL CAFONE DELLA CASA BIANCA È UNA PISTOLA PUNTATA ALLA TEMPIA DEI LEADER EUROPEI, CUI È RIMASTA UNA SOLA VIA DI USCITA, QUELLA COSIDDETTA “OMEOPATICA”: RISPONDERE AL MALE CON IL MALE. LINEA DURA, DURISSIMA, ALTRIMENTI, ALLE LEGNATE DI TRUMP, DOMANI, ALL’APERTURA DELLE BORSE, SI AGGIUNGERANNO I CALCI IN CULO DEI MERCATI. LA CINA HA DIMOSTRATO CHE, QUANDO RISPONDI CON LA FORZA, TRUMP FA MARCIA INDIETRO - SE LA “GIORGIA DEI DUE MONDI” ORMAI È RIMASTA L’UNICA A IMPLORARE, SCODINZOLANTE, “IL DIALOGO” COL DAZISTA IN CHIEF, NEMMENO LE CIFRE CATASTROFICHE SULLE RIPERCUSSIONI DELLE TARIFFE USA SULLE  AZIENDE ITALIANE, TANTO CARE ALLA LEGA, HA FERMATO I DEMENZIALI APPLAUSI ALLA LETTERA-RAPINA DA PARTE DI MATTEO SALVINI – ASCOLTATE JOSEPH STIGLITZ, PREMIO NOBEL PER L’ECONOMIA: “TRUMP NON AGISCE SECONDO ALCUN PRINCIPIO ECONOMICO, NON CONOSCE LO STATO DI DIRITTO, È SEMPLICEMENTE UN BULLO CHE USA IL POTERE ECONOMICO COME UNICA LEVA. SE POTESSE, USEREBBE QUELLO MILITARE’’

steve witkoff marco rubio sergei lavrov

RUBIO, IL TAJANI STARS AND STRIPES – IL SEGRETARIO DI STATO AMERICANO NON TOCCA PALLA E SOFFRE IL POTERE DI STEVE WITKOFF, INVIATO DI TRUMP IN MEDIO ORIENTE CHE SE LA COMANDA ANCHE IN UCRAINA. IL MINISTRO DEGLI ESTERI USA PROVA A USCIRE DALL’ANGOLO PARLANDO DI “NUOVA IDEA” DELLA RUSSIA SUI NEGOZIATI IN UCRAINA. MA IL MINISTRO DEGLI ESTERI DI PUTIN, LAVROV, SUBITO VEDE IL BLUFF: “CONFERMIAMO LA NOSTRA POSIZIONE” – TRUMP AVEVA OFFERTO DI TUTTO A WITKOFF, MA L’IMMOBILIARISTA NON HA VOLUTO RUOLI UFFICIALI NELL’AMMINISTRAZIONE. E TE CREDO: HA UN CONFLITTO DI INTERESSE GRANDE QUANTO UN GRATTACIELO...

diletta leotta ilary blasi stefano sala pier silvio berlusconi

FLASH – IL BRUTALE AFFONDO DI PIER SILVIO BERLUSCONI SU ILARY BLASI E DILETTA LEOTTA (“I LORO REALITY TRA I PIÙ BRUTTI MAI VISTI”), COSÌ COME IL SILURAMENTO DI MYRTA MERLINO, NASCE DAI DATI HORROR SULLA PUBBLICITÀ MOSTRATI A “PIER DUDI” DA STEFANO SALA, AD DI PUBLITALIA (LA CONCESSIONARIA DI MEDIASET): UNA DISAMINA SPIETATA CHE HA PORTATO ALLA “DISBOSCATA” DI TRASMISSIONI DEBOLI. UN METODO DA TAGLIATORE DI TESTE BEN DIVERSO DA QUELLO DI BABBO SILVIO, PIÙ INDULGENTE VERSO I SUOI DIPENDENTI – A DARE UNA MANO A MEDIASET NON È LA SCURE DI BERLUSCONI JR, MA LA RAI: NON SI ERA MAI VISTA UNA CONTROPROGRAMMAZIONE PIÙ SCARSA DI QUELLA CHE VIALE MAZZINI, IN VERSIONE TELE-MELONI, HA OFFERTO IN QUESTI TRE ANNI…

giorgia meloni elly schlein luca zaia vincenzo de luca eugenio giani elly schlein elezioni regionali

PER UNA VOLTA, VA ASCOLTATA GIORGIA MELONI, CHE DA MESI RIPETE AI SUOI: LE REGIONALI NON VANNO PRESE SOTTOGAMBA PERCHÉ SARANNO UN TEST STRADECISIVO PER LA MAGGIORANZA – UNA SPIA CHE IL VENTO NON SPIRI A FAVORE DELLE MAGNIFICHE SORTI DELL’ARMATA BRANCA-MELONI È IL TENTATIVO DI ANTICIPARE AL 20 SETTEMBRE IL VOTO NELLE MARCHE, DOVE IL DESTRORSO ACQUAROLI RISCHIA DI TORNARE A PASCOLARE (IL PIDDINO MATTEO RICCI È IN LEGGERO VANTAGGIO) – IL FANTASMA DI LUCA ZAIA IN VENETO E LE ROGNE DI ELLY SCHLEIN: JE RODE AMMETTERE CHE I CANDIDATI DEL PD VINCENTI SIANO TUTTI DOTATI DI UN SANO PEDIGREE RIFORMISTA E CATTO-DEM. E IN CAMPANIA RISCHIA LO SCHIAFFONE: SI È IMPUNTATA SU ROBERTO FICO, IMPIPANDOSENE DI VINCENZO DE LUCA, E SOLO UNA CHIAMATA DEL SAGGIO GAETANO MANFREDI LE HA FATTO CAPIRE CHE SENZA LO “SCERIFFO” DI SALERNO NON SI VINCE…

marina pier silvio berlusconi giorgia meloni

NULLA SARÀ COME PRIMA: PIER SILVIO BERLUSCONI, VESTITO DI NUOVO, CASSA IL SUO PASSATO DI RAMPOLLO BALBETTANTE E LANCIA IL SUO PREDELLINO – IN UN COLPO SOLO, CON IL COMIZIO DURANTE LA PRESENTAZIONE DEI PALINSESTI, HA DEMOLITO LA TIMIDA SORELLA MARINA, E MANDATO IN TILT GLI OTOLITI DI GIORGIA MELONI, MINACCIANDO LA DISCESA IN CAMPO. SE SCENDE IN CAMPO LUI, ALTRO CHE 8%: FORZA ITALIA POTREBBE RISALIRE (E MOLTO) NEI SONDAGGI (IL BRAND BERLUSCONI TIRA SEMPRE) – NELLA MILANO CHE CONTA IN MOLTI ORA SCOMMETTONO SUL PASSO INDIETRO DI MARINA DALLA GESTIONE “IN REMOTO” DI FORZA ITALIA: D'ALTRONDE, LA PRIMOGENITA SI È MOSTRATA SEMPRE PIÙ SPESSO INDECISA SULLE DECISIONI DA PRENDERE: DA QUANTO TEMPO STA COGITANDO SUL NOME DI UN SOSTITUTO DI TAJANI?