SALLUSTI VUOTA IL SACCO DEI RICORDINI: “AL ‘CORRIERE’ ERAVAMO ETEROGUIDATI. COMBATTEVAMO PER IL PARTITO DEI GIUDICI”

Salvatore Merlo per "il Foglio"

"Quando pubblicammo l'avviso di garanzia che poi avrebbe fatto cadere il primo governo di Silvio Berlusconi, ero felicissimo. Era uno scoop pazzesco. E lo rifarei. Se entrasse nella mia stanza Gian Marco Chiocci (a proposito, il mio cronista da oggi è il nuovo direttore del Tempo) e mi dicesse, ‘guarda c'è questa storiaccia su Berlusconi', io la darei subito. Ma si tratta di capire perché certe notizie te le passano.

Al Corriere, col tempo, ho capito che eravamo eteroguidati, i nostri non erano solo colpi di bravura, combattevamo una battaglia politica mascherata, a favore del partito dei giudici, proprio come al Corriere fanno anche oggi. Alla fine me ne andai da Via Solferino". Quattordici anni dopo, nel 2010, Alessandro Sallusti è diventato direttore del Giornale, e martedì sera, a "Ballarò", ha avuto un cordiale scambio polemico con Paolo Mieli, il suo ex direttore, sulla storia del processo Mediaset, sul pezzo del Corriere che questa settimana forse, forse, ha contribuito a orientare la Suprema corte, che poi ha deciso di anticipare i tempi dell'udienza che determinerà, il 30 luglio, il destino politico e giudiziario del Cavaliere.

"Tu nel 1996 c'eri", ha detto Mieli, "sapevi tutto, non ti strappavi le vesti per Borrelli, e condividevi quello che favevamo". Da mielista a berlusconiano, dunque, e che berlusconiano, tosto, battagliero, compagno di Daniela Santanchè, la pasionaria, l'avvolgente Pitonessa del Pdl. "Sono rinsavito con l'età", dice Sallusti. Ma com'è avvenuta la trasformazione? Al Corriere si ricordano che Sallusti, prima cronista di grande abilità, poi caporedattore, era un mite e tormentato cattolico di sinistra.

"E' una leggenda", dice lui, sorprendendo l'intervistatore. "Deriva dal fatto che ho lavorato all'Avvenire e poi al Sabato. Non sono nemmeno sicuro di credere in Dio, vorrei, ma non ho incontrato la fede". Almeno eri di sinistra, questo sarà vero. "Mai stato di sinistra", sorride, "mio nonno fu fucilato a Salò dai partigiani, mio padre, che è stato prigioniero, era un uomo integralmente di destra, fascista, ma senza orgogli luciferini, senza fanatismi ideologici". E tu? "A diciott'anni votai Movimento sociale per onorare mio nonno e da allora in poi, finché è esistito, ho sempre votato Pli".

Adesso Sallusti, è lecito immaginarlo, vota per il Pdl. "Dal 1994, dalla discesa in campo. Al Corriere ero uno dei pochi che aveva il coraggio di dirlo in pubblico. Mieli, che è un uomo intelligente e spiritoso, mi guardava sornione, come dire, ‘ancora sei ragazzo e non capisci nulla', avevo trent'anni".

E dunque Sallusti votava Berlusconi, ma stava nella squadra di Mieli e ha guidato il pool di cronisti che nel 1994 fecero cadere il governo del Cavaliere. "Lì per lì ero esaltato da quello che stavamo facendo. Ma dietro la patina di terzietà, l'anima di quel quotidiano gemeva a sinistra, era schieratissimo".

Anche il Giornale è schieratissimo, sta con il Cavaliere, è di proprietà di Paolo Berlusconi. "Ma io lo dico, lo rivendico, la cosa è cristallina. Il grande insegnamento di Mieli è che non esistono i fatti separati dalle opinioni. Ma il problema del Corriere, ieri come oggi, è che fa finta di essere obiettivo, al di sopra delle parti.

Io l'ho capito col tempo, pensavo davvero che Mani pulite fosse una grande operazione di rinnovamento e di pulizia, e la raccontavo anche con enfasi, senza lesinare gli aggettivi, anche se non arrivavamo a fare i titoli di Vittorio Feltri. Una volta titolò così su Craxi, ‘Preso il cinghialone'". Militavi, eri per il pool di Borrelli, Mieli ha ragione. "Sì, ma sbagliavo, ero giovane e non avevo gli strumenti per capire come funzionava il sistema, il gioco grosso. Quello che invece Mieli capiva benissimo". E come funzionava? "I giudici attaccavano tutti, tranne il Pci".

Ma non è che addomestichi il passato? "No, no, era esattamente così. E noi del Corriere stavamo con i giudici. Quando nel 1993 venne inquisito Primo Greganti, feci questo titolo di prima pagina, io, con le mie mani: ‘Arrestato il cassiere del Pds. Ecco, quel titolo era inesatto, perché Greganti tecnicamente non era il cassiere del partito, anche se tutti sapevano che faceva proprio quello di mestiere, gestiva i denari e i finanziamenti illeciti. La nostra era un'imprecisione come tante, andavamo un po' con l'accetta in mano, contro il Psi, e contro la Dc, soprattutto. Ma solo per questa storia di Greganti, per quel titolo, ci dovemmo scusare. Credo che Mieli quel giorno rischiò il posto".

Ma va. "E quando Berlusconi pose il problema della finta laurea di Di Pietro? Poco prima mi avevano mandato fino a Santo Domingo per seguire le tracce di un tangentista latitante, si chiamava Luigi Manzi. Allora quando esplose questa storia di Di Pietro io proposi di costituire un pool di cronisti per indagare, era una vicenda grossa. Sai cosa mi fu risposto?". Cosa? "‘Ma che ce ne frega!'. Ecco, a poco a poco, negli anni, cominciai a capire, era il 1995. Ma sin dai tempi di Mani pulite il Corriere aveva due direttori, Mieli e Francesco Saverio Borrelli, il procuratore capo di Milano".

Esagerato! "Ci passavano le notizie, con una tempistica che serviva a favorire le loro manovre. Mi ricordo bene la notte in cui pubblicammo l'avviso di garanzia a Berlusconi. Fu una giornata bestiale, Mieli a un certo punto, nel pomeriggio, sparì per delle ore, a fare delle verifiche perché noi non riuscivamo e lui non era convinto. Poi piombò all'improvviso nella mia stanza, fece chiamare Goffredo Buccini e Gianluca Di Feo, che firmavano il pezzo, e ci disse, pur con una certa dose di insicurezza, di scrivere tutto, che lo avremmo pubblicato. Parlava con un tono grave, teso.

Quella notte, poi, ci portò in pizzeria, ci disse che aveva già scritto la lettera di dimissioni, se quello che avevamo non era vero sarebbero stati guai seri. Diceva di aver parlato con Agnelli e poi anche con il presidente Scalfaro. Ma poi ho ricostruito che non era così, non li aveva nemmeno cercati, secondo me lui pendeva direttamente dalla procura di Milano". E' un'intuizione, un sospetto. "So molte cose. E d'altra parte noi del Corriere, in quegli anni, eravamo gli unici ad avere accesso alle stanze di alcuni pm".

Poi sei entrato nel mondo del Cavaliere. "In quello di Feltri. Fondammo Libero, e Berlusconi non l'avevo mai visto né sentito in vita mia. Un giorno il Cavaliere chiamò per un pezzo durissimo che aveva scritto Vittorio, ma lui non c'era in redazione. E lo passarono a me, ero preoccupato. ‘Avete scritto che non so nuotare, è un'infamia, non è vero!'".

 

Alessandro Sallusti Paolo Mieli Angelo Borrelli Berlusconi e Di Pietro a colloquioProcura di Milanotribunale di milano jpegVITTORIO FELTRI E DANIELA SANTANCHE

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