CHI DI DONNA FERISCE, DI DONNA PERISCE – IL VERO AVVERSARIO DELLA RIMONTA DEL CAINANO, NON SONO MICA BERSANI E MONTI, BENSI’ ILDA BOCCASSINI - PER EVITARE LA CONDANNA PRIMA DEL VOTO SILVIO HA BUTTATO GIU’ IL GOVERNO, MA ILDA CORRE PIU’ VELOCE DI LUI - QUELLA RIUNIONE CON LETTA, ALFANO, VERDINI E GHEDINI – ‘’REPUBBLICA’’ SCRIVE LA SENTENZA: SEI ANNI DI GALERA E INTERDIZIONE DAI PUBBLICI UFFICI…

1. "LA BOCCASSINI ANDREBBE PROCESSATA"
Corriere.it - Violento l'attacco al procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini, che regge l'accusa nel processo sul Rubygate che lo vede imputato: «La Boccassini andrebbe processata per aver istruito un processo utilizzando risorse dello Stato su di un'accusa inconsistente», ha detto Berlusconi.

Francesco Bei per "la Repubblica"

«E questo incontro secondo voi non sarebbe un legittimo impedimento? La "signora" di Milano adesso sostiene che fare campagna elettorale, per un leader politico, non sia legittimo impedimento, capite l'enormità?». Ora di pranzo a palazzo Grazioli. Finita la riunione del mattino (opportunamente spostata dalla sede del Pdl a casa Berlusconi, per rendere più credibile la richiesta di legittimo impedimento al processo Ruby), il Cavaliere invita a colazione tutti i presenti.

Capi e capetti regionali del Pdl. Si dovrebbe discutere di liste elettorali, ma la notizia del giorno, appena arrivata, è che il Tribunale di Milano va avanti come un treno e ha respinto l'ennesimo tentativo dilatorio di Ghedini e Longo. Dunque il processo continua. E per Berlusconi non potrebbe esserci notizia peggiore. «Mi vogliono inchiodare a questa storia - protesta - proprio ora che stiamo risalendo nei sondaggi ».

Camicia nera e giacca nera, in tono con il suo umore, il Cavaliere lo ripete quindi in maniera accorata, guardando uno a uno i presenti: «Ve lo giuro ancora una volta sui miei figli e sui miei sette nipoti: in quelle serate non accadeva assolutamente nulla di cui mi debba vergognare». Il giuramento produce una sequela di dichiarazioni di solidarietà e sdegno. Sandro Bondi propone di appellarsi a Napolitano come garante di una non interferenza della magistratura nella campagna elettorale, ma il suggerimento non viene raccolto.

C'è anche chi rimette in circolazione la vecchia idea di una manifestazione «oceanica» in caso di condanna. Il Cavaliere tuttavia non raccoglie e si chiude in silenzio.
La verità è che, con la decisione del tribunale di Milano, è crollata in un giorno la strategia architettata dai consiglieri del leader Pdl. Lasciandolo nudo ed esposto a una sentenza che il Cavaliere vede come già scritta. Una condanna a sei anni per concussione e prostituzione minorile, con l'aggiunta dell'interdizione dai pubblici uffici.

Un macigno che potrebbe arrivare a dieci-quindici giorni dalle elezioni. Terrorizzato da questa prospettiva, temendo un definitivo isolamento internazionale, Berlusconi ormai da settimane ha modellato il calendario politico su quello processuale, in una affannosa corsa contro il tempo. Per arrivare alle elezioni prima che la procura arrivi a una condanna. «Perché un conto - spiega uno dei frequentatori di Arcore - è essere condannati dopo aver ricevuto il voto di un terzo degli italiani. Altra cosa è essere sfregiati da una sentenza a pochi giorni dalle urne».

Nel braccio di ferro ingaggiato contro i pm, Berlusconi non ha esitato a far saltare il governo Monti prima del tempo pur di arrivare ad anticipare il voto. La svolta è maturata il primo dicembre dello scorso anno ad Arcore, in un summit ristretto con Verdini, Ghedini, Letta e Alfano. La querelle sulle primarie Pdl oscurò la vera decisione maturata quella sera: andare subito al voto, provocando se necessario la crisi di governo, per evitare la condanna.

Da qui la richiesta di un election-day che, nei piani iniziali di Berlusconi, avrebbe dovuto tenersi il 10-11 febbraio. Una data molto ravvicinata che, unita all'opportuna assenza di Ruby per una lunghissima "vacanza" all'estero (la teste della difesa si è resa irreperibile per un mese), avrebbe fatto slittare la camera di consiglio a dopo le elezioni.
Stabilito il sabato sera il piano d'attacco, i protagonisti ci si sono attenuti in maniera ferrea. Così il giovedì successivo, cinque giorni dopo, Angelino Alfano alla Camera "staccava la spina" al governo Monti provocandone la caduta.

Una decisione che in quelle ore lasciò di stucco lo stesso premier. «Ho l'impressione - confidò Monti a un parlamentare del centro dopo aver ascoltato il discorso del segretario Pdl - che la politica c'entri poco con questa giravolta». Ma l'operazione ha sottovalutato la capacità di reazione della procura, che ieri ha opposto due rifiuti pesanti alle richieste dei difensori: no allo stop per il procedimento e no al legittimo impedimento per il Cavaliere.

Si va avanti. Per l'ennesima volta la scelta di Ghedini e Longo di difendersi "dal" processo invece che "nel" processo si è risolta in un fiasco.
Ora l'ultima chance è provare a politicizzare la decisione, mettendo in un unico frullatore la Boccassini, Ingroia, Di Pietro, persino Piero Grasso. Con il refrain dei «pm politicizzati», della «giustizia a orologeria», della «criminalizzazione dell'avversario». L'ultima tesi a cui si aggrappano i berlusconiani è che un'eventuale condanna servirà a mobilitare i vecchi elettori del Pdl, che torneranno a stringersi attorno al leader «perseguitato». Una speranza più che una convinzione.

 

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