“IL POPULISMO DI DESTRA IDENTIFICA IL FEMMINISMO CON LE DONNE DI SINISTRA” – LA SINDACA DI GENOVA SILVIA SALIS, DOPO AVER LETTO IN CONSIGLIO COMUNALE ALCUNI DEGLI INSULTI SESSISTI RICEVUTI SUI SOCIAL (“NON MI DICONO ‘SEI INCAPACE’ MA ‘SEI UNA PUTTANA”), PROPONE UN PATTO PER LE DONNE A MELONI E SCHLEIN E RILANCIA SULL’EDUCAZIONE AFFETTIVA NELLE SCUOLE ATTACCANDO IL CENTRODESTRA – MA CON TUTTI I PROBLEMI CHE ABBIAMO IN ITALIA, L’EDUCAZIONE SESSUALE E’ QUELLO PRINCIPALE? IL DAGOREPORT: "A 'OTTO E MEZZO' CI SIAMO RITROVATI, ANZICHÉ DAVANTI A UN FUTURO LEADER, DAVANTI A UNA DONNA CHE DAREBBE IL PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA ALL'AUTORE DE "IL MANUALE DELLA PERFETTA GINNASTICATA” - VIDEO
Simonetta Sciandivasci per “La Stampa” - Estratti
silvia salis legge gli insulti ricevuti sui social
Silvia Salis, sindaca di Genova da maggio di quest’anno, 4 mesi prima di compiere quarant’anni, due giorni fa è intervenuta in consiglio comunale, ha letto alcuni degli insulti che riceve ogni giorno (…) e ha detto: ecco perché serve l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole.
Perché c’è chi, da profili non anonimi, e in cui compare anche il posto in cui lavora, e tutta la sua famiglia, «ritiene normale dare alla sua sindaca della puttana: non mi ha detto incapace, ha detto puttana, perché alle donne questo si dice».
È successo altre volte che una politica abbia denunciato l’odio che le viene riversato addosso in rete, le diffamazioni, gli insulti, le minacce, ma non era mai successo che, nel farlo, quella politica dicesse: questa è una delle molte buone ragioni per le quali dobbiamo affrettarci a insegnare a scuola cos’è una relazione, cosa sono il rispetto, l’amore, il sesso, il genere.
Salis, perché non c’è un fronte comune sull’educazione all’affettività, così come c’è stato per l’introduzione del reato di femminicidio, approvato all’unanimità, e il Codice Rosso?
«Perché la politica è tifoseria. Nell’amministrazione precedente alla mia, la mia stessa assessora che si occupa di scuola, Rita Bruzzone, aveva proposto l’introduzione dell’educazione sessuo-affettiva a scuola e tutti avevano votato all’unanimità. Poi, però, il tema è diventato territorio di scontro politico e così anche a Genova la destra si è sfilata, allineandosi al dettato di Roma».
Non crede ci sia una resistenza culturale?
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«Se pure c’è nel Paese, non dovrebbe esserci nella politica, che ha la sindrome del taglio del nastro: agisce solo quando può vedere i risultati. Le politiche sociali e culturali, invece, hanno tempi lenti e il tempo è ciò che i governi non hanno: durano troppo poco.
(...) Se non sono abituato a gestire una donna di potere, allora, le do della puttana. Un’educazione sessuo-affettiva, almeno quella che io auspico, ti imporrebbe di domandarti perché apostrofi così quella donna, anziché dirle che non ti piace il suo lavoro: al posto di metterla in discussione, la delegittimi e basta, perché vuoi annientarla, e vuoi annientarla perché non la riconosci».
Cosa risponde a chi obietta che quella educazione è a carico delle famiglie e non dello Stato?
«Che tutte le parti di una società concorrono a formare la sensibilità e la cultura del futuro e del presente. Se un adolescente fa un’ora di educazione sessuale a scuola e poi, quando va a casa, sente suo padre umiliare sua madre, avrà più possibilità di mettere in discussione suo padre, capire che ha assistito a uno spettacolo ingiusto e indegno.
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Qualcuno deve spezzare la catena, e può farlo solo l’istituzione pubblica. Significa che agisce nel privato delle persone? Certo. Ma è un privato dal quale nascono comportamenti pubblici. Ogni strumento che prova a risolvere un problema ha delle difficoltà: cominciamo a usarlo, poi saremo in grado di capire come migliorarlo».
Tanti insegnanti hanno detto: non ce la sentiamo di tenere noi quei corsi, come previsto dal Ddl Valditara, nemmeno se verremo formati.
«Hanno ragione. Non si capisce perché non possano entrare nelle scuole figure con competenze specifiche. Tutto quello che ha a che fare con la psicologia, le relazioni, le identità richiede studi scientifici al pari dell’ingegneria, ma c’è un tarlo culturale che ci impedisce di riconoscerlo, e così pensiamo che tutti possano educare all’affettività e alla sessualità, dopo qualche ora di formazione».
Il governo giustifica questa chiusura con la necessità di impedire a «sostenitori delle teorie gender» di entrare nelle scuole.
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«È una delle tante furbe semplificazioni. L’idea di fondo è che se di una cosa non parlo, non esiste. Le identità fluide esistono, e se non ne parliamo, non scompariranno. Anzi.
Le amministrazioni hanno il dovere di vedere i propri cittadini, e questo non significa propagandare una ideologia, ma riconoscere una diversità, come prescritto dalla Costituzione. Appena diventata sindaca, uno dei primi atti che ho fatto è stato riconoscere i figli di due madri.
Si aprì il cielo, mi accusarono di gettare via il mio tempo, come se poi firmare degli atti impedisca di occuparsi di servizio pubblico. Io, però, non stavo concedendo niente a nessuno: stavo adeguandomi a una sentenza della Cassazione. Alle persone dovremmo far capire che devono sentirsi rassicurate da uno Stato che sappia vedere, per farle tutelare, tutte le diversità».
Perché Giorgia Meloni denuncia la violenza sessista molto meno rispetto a quanto denuncia gli attacchi al suo operato?
«Perché il populismo di destra ha identificato il femminismo con le donne di sinistra. Incontro molte donne che rivendicano con orgoglio di non essere femministe, e tutte le volte vorrei chiedere loro cosa significa: sono felici che in Italia quasi una donna su due non lavori, e che questo le rende più esposte alla violenza domestica?
E poi incontro molti uomini che dicono: non sono né femminista né maschilista. Che è come dire: non sono né vegano, né socialista. Non è chiara nemmeno questa differenza fondamentale: il femminismo si batte per l’uguaglianza nella differenza, il maschilismo vuole la sottomissione delle donne».
Che differenza c’è tra un uomo e una donna?
«Alle donne è richiesto di fare di più, per fare le stesse cose, ed è lì l’ingiustizia».
Lancia un appello alle donne in Parlamento, da Meloni a Schlein?
«Certo. Affinché insistano per un fronte comune e, soprattutto, affinché coinvolgano i colleghi: questa battaglia riguarda tutti.
Bisogna iniziare ad avere la lungimiranza e il coraggio di trattare la parità di genere non solo come tema sociale ma anche economico: ci dobbiamo investire centinaia di milioni di euro perché finché ci sarà un Paese dove metà della popolazione andrà a un terzo della velocità a cui potrebbe andare, saremo un Paese affaticato e in ritardo».
E l’educazione affettiva rientra nell’investimento?
silvia salis legge gli insulti ricevuti sui social
«Eccome. È un investimento economico da fare oggi, anche se non darà risultati oggi. È una battaglia che le donne della politica, di tutti gli schieramenti, possono e devono portare avanti per il futuro. Perché è un’occasione: ognuna di noi arriva ai vertici per motivi legati a fattori diversi, perché non c’è una struttura. Io dico sempre che più che un ministero per le pari opportunità, ne servirebbe uno per le pari probabilità.
Le pari opportunità vogliono dire poco: ci mancherebbe che mi dici che non posso diventare amministratrice delegata, ma voglio vedere che probabilità ci sono che io lo faccia. Quello che manca alle donne oggi è la stessa probabilità di un uomo di accedere alle cariche più importanti, e allora ci vorrebbe un ministro che se ne occupi».
Lei ha mai denunciato le aggressioni che ha subito?
«Alcune sì. Molte altre volte, semplicemente, mi sono fatta prendere da altro. Ci vuole un tempo che non ho, che nessuna ha, per fare giustizia, e allora si lascia correre. Spero almeno che presto verrà deciso di collegare i profili social ai documenti d’identità».
Le aggressioni che subisce le hanno mai fatto pensare di lasciar perdere?
«Due giorni prima dell’inizio della campagna elettorale è morto mio padre, all’improvviso, e lui era un amore grandissimo della mia vita, un ex comunista iscritto al Pci che spesso mi diceva di essere troppo poco radicale, e troppo progressista. Ci sono stati molti momenti della campagna elettorale, che è stata violentissima e greve, in cui ho vacillato: avevo un bambino di un anno, un marito che lavorava a Roma. Però la squadra che avevo e ho intorno a partire da mio marito, ha fatto tanto».
silvia salis legge gli insulti ricevuti sui social
SILVIA SALIS - LANCIO DEL MARTELLO
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