IL VATICANO NON RISPETTA I “PATTI”: PAOLO GABRIELE TORNA IN CELLA! - A QUESTO PUNTO, PERSO PER PERSO, IL “CORVO ESPIATORIO” DEVE PARLARE: CHIAMA NUZZI E SPUTTANALI TUTTI! - IL COMUNICATO DELLA SANTA SEDE E’ PIU’ DURO DEL PREVISTO - PER OTTENERE LA GRAZIA, PAOLETTO DOVRA’ ABIURARE! (MAGARI IN CAMPO DEI FIORI?) - E LE PROMESSE DI PERDONO? AH SAPERLO…

Gian Guido Vecchi per il Corriere della Sera

Torna in cella il "corvo" Paolo Gabriele. Scaduti i termini per i ricorsi in appello, la sentenza di condanna a 18 mesi è diventata definitiva e il Promotore di giustizia, e cioè il "pm" vaticano, su mandato del presidente del Tribunale ha disposto la reclusione in una delle celle della Gendarmeria.

RISCHIO LICENZIAMENTO - A questo punto si apre pure la procedura di licenziamento. Arrestato il 23 maggio, da luglio l'ex maggiordomo del Papa era rimasto ai domiciliari. La carcerazione era annunciata, ma la cosa più importante è il comunicato della Segreteria di Stato che ha accompagnato il provvedimento. Perché conferma l"eventualità" della grazia ma aggiunge secco: «Essa tuttavia presuppone ragionevolmente il ravvedimento del reo e la sincera richiesta di perdono al Sommo Pontefice e a quanti sono stati ingiustamente offesi».

«NON MI SENTO UN LADRO» - Durante il processo, Paolo Gabriele non aveva certo scelto una linea di difesa remissiva. Il suo legale ha contestato le modalità della perquisizione, sostenuto che nei primi giorni la cella era troppo piccola e la luce sempre accesa. Ma soprattutto, l'ex maggiordomo ha sempre mantenuto il punto: «Se lo devo ripetere, non mi sento un ladro», aveva ripetuto prima della sentenza, considerandosi responsabile solo di aver "tradito la fiducia" del Papa.

«La cosa che sento forte dentro di me è la convinzione di avere agito per amore esclusivo, direi viscerale, per la Chiesa di Cristo e per il suo capo visibile». In casa gli avevano trovato 82 scatoloni di documenti, più di mille carte riservate. E non è che ci fossero solo le carte fotocopiate nell'Appartamento del Papa «a partire dal caso Viganò», come ha sempre sostenuto Gabriele, «dagli anni 2010-2011».

I DOSSIER - No, il maggiordomo ha cominciato subito ad accumulare dossier, fin da quando nel 2006 iniziò a lavorare nell'appartamento del Papa: e s'era preso pure degli originali, come le carte vistate personalmente dal pontefice e sulle quali Benedetto XVI aveva scritto di suo pugno «zu vernichten», da distruggere. C'erano anche documenti "riguardanti la totale privacy e la vita familiare del Santo Padre", foto e video.

«OFFESA PERSONALE AL PAPA» - La nota della Segreteria di Stato sembra voler mettere i puntini sulle "i", il tono è duro: «La sentenza del processo contro Paolo Gabriele, ora passata in giudicato, mette un punto fermo su di una vicenda triste, che ha avuto conseguenze molto dolorose. È stata recata un'offesa personale al Santo Padre; si è violato il diritto alla riservatezza di molte persone che a Lui si erano rivolte in ragione del proprio ufficio; si è creato pregiudizio alla Santa Sede e a diverse sue istituzioni; si è posto ostacolo alle comunicazioni tra i Vescovi del mondo e la Santa Sede e causato scandalo alla comunità dei fedeli.
Infine, per un periodo di parecchi mesi è stata turbata la serenità della comunità di lavoro quotidianamente al servizio del Successore di Pietro». Si ricorda poi che «l'imputato è stato riconosciuto colpevole al termine di un procedimento giudiziario che si è svolto con trasparenza, equanimità, nel pieno rispetto del diritto alla difesa».

IL PROGETTO CRIMINOSO - E che nel dibattimento è stato "appurato" che «Gabriele ha messo in atto il suo progetto criminoso senza istigazione o incitamento da parte di altri, ma basandosi su convinzioni personali in nessun modo condivisibili. Le varie congetture circa l'esistenza di complotti o il coinvolgimento di più persone si sono rivelate, alla luce della sentenza, infondate». Dopodiché si passa al licenziamento: «Si apre a suo carico la procedura per la destituzione di diritto, prevista dal Regolamento Generale della Curia Romana».

Il che significa che non potrà lavorare né in Vaticano né in organismi della Santa Sede. Finora l'ex maggiordomo ha sempre continuato a ricevere lo stipendio. In Vaticano si tiene conto del fatto che abbia moglie e tre figli. A pare le modalità dell' "eventuale" grazia, comunque, c'è sempre la possibilità - si fa sapere - che gli si trovi un lavoro in una istituzione che formalmente non è vaticana. «Rimane l'eventualità della concessione della grazia, che, come ricordato più volte, è un atto sovrano del Santo Padre", chiarisce quindi la Segreteria di Stato. Purché ci sia il «ravvedimento» e «la sincera richiesta di perdono». Del resto, si conclude, «se rapportata al danno causato, la pena applicata appare al tempo stesso mite ed equa».

 

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