CIAK, SI PORPORA! CHI È, CHI NON È, CHI SI CREDE DI ESSERE MONSIGNOR DARIO VIGANÒ, IL FRECCERO DEL VATICANO, INCARICATO DI PROIETTARE L’IMMAGINE DEL PAPA IN MONDOVISIONE E IN 3D

Luca Telese per ‘Il Foglio'

Ci sono migliaia di persone che, dall'anno di grazia 1593 a oggi, si sono inerpicate per scalare i cinquecentotrentasette scalini che a San Pietro dividono la base dell'edificio e "la lanterna" della cupola. Ma, a parte i manovali che negli ultimi concitati lavori del XIV secolo si spinsero, con temerario spirito di sacrificio e imbracature rudimentali, per issare la croce sulla vetta più alta mai costruita nella cristianità, fino a 133 metri di altezza non era mai arrivato nessuno.

Per questo monsignor Dario Viganò, uomo solitamente compassato, per un secondo diventa quasi euforico quando racconta che da lunedì scorso una telecamera del Centro televisivo Vaticano è attivata a quella quota per trasmettere in mondovisione e avvicinare la prospettiva di vista dei fedeli al punto di confine più estremo tra umano e soprannaturale.

Una telecamera radiocomandata, per la prima volta, entrerà nello spazio sacro in cui il potere temporale e il regno dei cieli a San Pietro quasi si toccano: "Documenteremo una cerimonia irripetibile con gli strumenti tecnologici più evoluti e con il massimo sforzo ideativo. Quella telecamera non è che uno strumento per costruire una prospettiva di racconto mai immaginata fino a oggi". Gli chiedo se qualcuno in Vaticano si sia opposto a un progetto così ardito. Risponde subito: "No, perché mai?". Poi fa una piccola pausa e aggiunge: "C'è interesse e rispetto per il lavoro che stiamo facendo".

Quindi con il viso attraversato dall'ombra impercettibile di un sorriso, si diverte a spiazzarmi con questo aneddoto: "Paradossalmente l'unico limite nel nostro progetto di riprese ci è arrivato dalla gendarmeria delle guardie svizzere: noi avevamo pensato di far volare sopra tutta la piazza un drone equipaggiato con un microtelecamera per le riprese aeree in diretta.

Ci è stato impedito di farlo. Non per obiezioni di ordine religioso, come forse immagina lei, ma solo per comprensibili motivi di sicurezza: era troppo pericoloso". Straordinaria metafora del cammino parallelo di fede e immagine, quella della telecamera montata in cima alla Cupola su cui si sono esercitati e sfidati i migliori architetti del Cinquecento, da Donato Bramante a Raffaello Sanzio, da Michelangelo (che lasciò un modello ma non un progetto definitivo) a Giacomo Della Porta e Domenico Fontana (i primi che riuscirono a portare a termine l'opera, quasi trent'anni dopo la morte di Buonarroti). Perché se quella di Papa Francesco è davvero una rivoluzione, non c'è dubbio che sia anche comunicativa.

Come il talento di Sergej Eisenstein accompagnò la mitografia dell'Unione sovietica, anche l'estro sperimentale e la capacità organizzativa di monsignor Viganò stanno diventando uno dei tratti distintivi di un Pontificato mediatico. Dario Viganò, ha 52 anni, anche se ne dimostra almeno dieci di meno.

E' sudamericano come Bergoglio (è nato in Brasile da genitori italiani emigrati oltreoceano), ha trascorso i primi anni dell'infanzia a Rio, giocando sulla spiaggia di Copacabana, poi si è trasferito in Lombardia, ha preso i voti, è cresciuto nella curia di Milano. Si è specializzato presso i gesuiti ma ha studiato le dottrine della comunicazione presso i salesiani, è stato ordinato sacerdote da Carlo Maria Martini.

Oggi è professore ordinario di Teologia della comunicazione, preside dell'Istituto pastorale Redemptor hominis presso la Pontificia università Lateranense di Roma. Ma la sua folgorante carriera in Vaticano è resa unica dall'incontro con il cinema e i nuovi media: si forma nella gestione e nel rilancio dello storico circuito delle sale parrocchiali, viene chiamato a far parte di una giuria della critica persino al Festival del cinema di Venezia, stupisce molti registi esprimendo posizioni controcorrente nella commissione per la Cinematografia del ministero dei Beni culturali (dove rappresenta il Vaticano).

Tra gli addetti ai lavori fa scalpore - nel 2002 - il suo voto a favore de "L'ora di religione" di Marco Bellocchio, che alcuni membri laici della commissione volevano vietare ai minori di 18 anni per la celebre scena della bestemmia rivolta da un personaggio minore a Sergio Castellitto: "Noi non siamo una commissione censura: le opere di valore artistico, anche quelle controverse, si discutono ma non si vietano". Il punto di arrivo di un curriculum così eclettico non poteva che essere la televisione: "Non so se la definizione più corretta per noi sia quella di network.

Ma se siamo un network non c'è dubbio che per numero di spettatori contattati siamo il più grande network del mondo". Ma Viganò, oltre a essere un cinéphile, è apprezzato, persino dai peggiori nemici che ha nella Curia, per le sue indubbie capacità tecniche e manageriali: per la cerimonia dei due papi il suo Ctv è riuscito a collegare nove satelliti, garantendosi il monopolio assoluto delle immagini.

A costo zero - per giunta - ha contrattato e ottenuto da Sky che realizzasse a spese proprie delle sofisticate e costose riprese con telecamere 3D: l'azienda di Rupert Murdoch le può trasmettere in diretta nel suo canale tridimensionale per i decoder, ma la proprietà e i diritti restano in mano al Vaticano, che in contemporanea le girerà a un circuito di cinema che possono trasmettere l'evento nelle loro sale (a spettatori attrezzati con occhialini) a patto di rispettare un unico, semplice vincolo: "Le ottengono gratis solo se le proiettano gratis". Folle? Macché: da ex esercente monsignor Viganò assicura di conoscere i meccanismi di convenienza degli amministratori: "Siamo stati sommersi di richieste... Il loro ritorno economico avviene su un altro terreno.

E noi portiamo il Vaticano e il Santo Padre in mondovisione e in 3D senza aumentare i costi del nostro budget di un centesimo". Con la stessa determinazione il direttore del Ctv ha cancellato qualsiasi accordo di co-produzione che il Vaticano aveva con la Rai, ancora in virtù di alcune reminiscenze del Concordato del 1984: "Per me è un vero motivo di orgoglio che oggi non ci sia più un solo fotogramma - a parte le dirette dei cronisti, che ognuno ha il diritto di fare come vuole - che non sia prodotto e distribuito da noi". Al Ctv ti spiegano che il pontificato mediatico è diventato il motore planetario di una nuova, enorme domanda di mercato: da al Jazeera alla Cnn tutti vogliono più Papa e più Vaticano, per più tempo.

Una richiesta di trasmissioni senza precedenti, ore e ore di diretta che devono essere sostenute con standard qualitativi sempre più sofisticati: "Il principio che applico però è sempre molto semplice: anche per i satelliti che utilizziamo non abbiamo pagato un euro. Scambiamo immagini con servizi".

Gli spettatori hanno avuto la prima percezione intuitiva che qualcosa stava cambiando quando monsignor Viganò e la sua squadra hanno realizzato il loro primo "kolossal" nella memorabile cerimonia di addio di Papa Ratzinger. Il primo segnale visibile di questo strappo era la citazione (voluta), nell'ultima parte della diretta, della prima sequenza della "Dolce Vita" di Federico Fellini, che si apre con il viaggio dell'enorme statua di Cristo sui cieli di Roma.

Per trasformare in un racconto cinematografico lungo come un film il viaggio di Papa Ratzinger verso la residenza di Castel Gandolfo, occorreva un altro elicottero che - proprio come aveva fatto Fellini - riprendesse in movimento il tragitto ("Per scegliere i tagli e le inquadrature migliori abbiamo fatto una prova di regia in volo prima della diretta").

E per trasformare in racconto una cerimonia complessa come quell'addìo, occorreva disseminare di telecamere fisse tutto il percorso dell'auto di Benedetto XVI, posizionando lenti grandangolari persino nelle aiuole spartitraffico: alcune giustificavano la propria collocazione solo per pochi secondi di ripresa, ma con una prospettiva molto suggestiva, che inquadrava la berlina del Pontefice dimissionario in movimento, ripresa dal livello del suolo, o nel campo largo della veduta aerea.

Ma guai a sottovalutare questo lavoro di preparazione, o anche il senso di una singola inquadratura. Monsignor Viganò, per esempio, ha spiegato che nelle riunioni preparatorie al Ctv avevano molto discusso sul se e sul come riprendere il decollo dell'elicottero, fino a optare per una doppia inquadratura.

Una dall'alto, panoramica, e una da terra, con una telecamera impugnata da un operatore: "E' vero che il Papa si era formalmente già dimesso. Ma nel racconto di quella giornata - spiega Viganò sbattendo un palmo della mano sull'altro - quello stacco ripreso dal basso è il vero atto di separazione del Pontefice dal Vaticano. Per chi ha visto la diretta la fine del pontificato è tutta racchiusa in quell'immagine".

Il corollario di questo accurato lavoro di studio, è che molti si sono persuasi che fosse sceneggiata anche la cronaca del primo incontro, quella della preghiera congiunta dei due papi ripresi in ginocchio ("Fu, invece, solo la destrezza del nostro operatore che era ovviamente autorizzato a filmare l'abbraccio.

Ma che ebbe la prontezza di spirito di non uscire"). Non sono tutte rose, ovviamente: un editorialista come Massimo Franco, che ha appena pubblicato un saggio sul Papa fitto di retroscena ("Il Vaticano secondo Francesco", Rizzoli) ha pubblicamente sfidato il direttore del Ctv con una domanda imbarazzante: "Capisco tutti gli entusiasmi: ma si può dire anche che le immagini del secondo incontro tra Benedetto e Francesco siano state censurate?".

Risposta stupefacente: "In qualche modo sì, è vero. Nel senso che non sono state trasmesse perché in un lasso di tempo così ravvicinato avrebbero creato molta confusione: la segreteria di stato ha deciso di considerarlo un incontro privato e ha scelto di diffondere solo una foto".

Una risposta solo apparentemente diplomatica. Ma senza dubbio, quando arriva l'elezione di Bergoglio, deve esserci anche lo zampino della provvidenza se le idee innovative di Viganò e della sua squadra incontrano il pontificato di Francesco. Il primo paradosso del più mediatico dei pontificati, infatti è questo: il Papa che ha addomesticato meglio di chiunque altro la belva della televisione alle esigenze del suo messaggio, dichiara di non guardare la tv.

Eppure la nuova stagione di Bergoglio è figlia del racconto per immagini, fin dall'annuncio del camerlengo. Anche mentre veniva pronunciata la più celebre frase della cerimonia di insediamento ("Sono andati a prendere un Papa alla fine del mondo...") tutto andava in scena con la massima capacità emozionale, quella che solo la grande televisione può restituire.

Ancora una volta con l'uso di ottiche particolari (il grandangolo per rendere l'idea della folla enorme di piazza San Pietro). E poi con l'inedita visione del controcampo alle spalle del Papa - "Una finta soggettiva - così la definisce Viganò - per poter restituire allo spettatore-fedele una inquadratura molto simile alla prospettiva del Santo Padre. Quello che viene messo in scena con il campo e il controcampo - osserva don Viganò - è un dialogo che corrisponde al contatto quasi fisico che Papa Francesco stabilisce con i suoi fedeli".

Ma perché questa inquadratura potesse esistere, era necessario un piccologrande strappo, anche al cerimoniale: l'ingresso di un operatore in una zona che in quel momento era ancora vincolata dall'interdizione che il Conclave impone a tutti i laici, e la presenza di un cameraman sul balcone, proprio al fianco del Papa. Poco tempo dopo, quando la troupe del Ctv sta montando due telecamere per una semplice ripresa, Bergoglio chiede perché ci siano due operatori, e perché le telecamere vengano collocate in quel modo. Ne nasce una discussione complessa, sul senso del messaggio e del Vangelo.

Dal viaggio a Lampedusa in poi, la sinergia tra il Papa e la "sua" televisione diventa sempre più automatica, quasi naturale, a partire dalla scelta di quell'altare costruito con i frammenti di una barca, nella messa per onorare le vittime delle stragi del Mediterraneo. E nel viaggio in Sardegna, un operatore viene incaricato di andare a caccia di primi piani dei minatori del Sulcis - quasi pasoliniani - per contrappuntare il discorso del Papa.

Anche qui Viganò e la sua squadra si interrogano a lungo su come questo controcampo abbia un valore in rapporto al messaggio: il racconto degli ultimi è anche un racconto visivo in cui il primo piano del Papa può essere messo in una relazione con quello di chi lo ascolta.

Persino nella lunga sequenza della visita di Obama in Vaticano, il cinéphile ruba la scena al monsignore, e decide di lasciare la sua impronta nella diretta. L'idea è quella di rendere spettacolare l'incedere della delegazione presidenziale e dei suoi accompagnatori da un salone all'altro, sfruttando l'andatura lentissima dei gentiluomini di sua santità, tutti abbigliati con lo stesso frac grigio, che negli appartamenti del Pontefice devono muoversi con passo intervallato.

Il Ctv manda in integrale un lunghissimo piano sequenza che qualsiasi altra ripresa renderebbe ridicola, ma a cui - invece - un abile operatore di steadycam imprime un carattere spettacolare: il piano sequenza attraverso i corridoi, con una mano invisibile che apre le porte precedendo il corteo, fa pensare alle reminiscenze dello Stanley Kubrick di "Shining" e di "Eyes wide Shut".

La lentezza diventa spettacolo, il conto alla rovescia esalta l'aspettativa dell'incontro, e nel campo largo frontale, il viso di Obama e di Kerry, inquadrati prospetticamente, sovrastano quelle della nobiltà pontificia che li precede: tutti i principali network americani trasmettono in diretta i minuti finali di questo cerimoniale trasformati in racconto cinematografico.

Eppure Francesco si affida, non solo perché si fida, ma perché condivide questo particolare "vangelo mediatico". Nella sua celebre intervista alla Civiltà cattolica il Papa ha raccontato di aver amato più di ogni altro film "La strada" di Federico Fellini e di avervi colto "un implicito riferimento al Francescanesimo". Aggiunge di aver visto tutti i film con Aldo Fabrizi e Anna Magnani, dopo essersi commosso per "Roma Città aperta".

Ecco perché ci sono immagini di questo pontificato che talvolta sembrano i fotogrammi di un film neorealista e perché - sempre lottando con gli standard di sicurezza della gendarmeria, due operatori del Ctv si sono allenati a salire e scendere in corsa, saltando dalla Papamobile, per inseguire i fuori-programma del Pontefice quando - per esempio - cattura nella folla il bambino con la maglia della Nazionale argentina e lo porta a bordo cingendogli le spalle. Oppure quando prende in piazza San Pietro prende in braccio il bambino vestito da Papa (che fra l'altro piange), con una scena che poi sarebbe diventata l'architrave di un cortometraggio dell'attrice Cristiana Capotondi.

Non ci sarebbero mai stati due giorni di dibattito sull'auto che si perde nella folla, smarrendo il percorso ufficiale, durante il viaggio in Brasile, se non ci fosse stata una inquadratura panoramica ripresa da una telecamera collocata sopra un grattacielo di Rio. Questo Papa ha una tale attenzione che incombe su di lui da suscitare interrogativi persino perché salendo su di un aereo nell'inquadratura sulla scaletta si trascina dietro una vecchia borsa di pelle nera.

E nello stesso tempo può improvvisare una svolta teologica in una conversazione informale in un aereo ("Chi sono io per giudicare?") che però può essere documentata da una ripresa volante imprevista, con l'operatore costretto a occupare un sedile di prima fila dell'aereo e per un effetto prospettico inevitabile, a inquadrare - in una involontaria promozione - il logo dell'Alitalia sulla paratia dello scompartimento. Régis Debray ha scritto una storia del sacro e un saggio sulla medialità partendo dall'idea che Hollywood dovrebbe erigere un monumento a san Giovanni. Adesso la chiesa si riprende le royalty con gli interessi.

Questo è il tempo di Papa Bergoglio: un pontificato che usa la tv come un vangelo contemporaneo, come il teatro di un moderno film neorealista, come una lingua che paga più tributi a Marshall McLuhan ("Non potremmo fare questo mestiere senza averlo letto") che alle sacre scritture, come un network planetario che ha l'ambizione e la forza di raccontare, ma anche di controllare l'immagine come nessun altro prima.

 

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