SCORSESE BY SCORSESE - IL REGISTA ITALO-USA SI RACCONTA IN UN’AUTOBIOGRAFIA CHE PARTE DALLA SUA INFANZIA (“GANGS OF NEW YORK NON SI AVVICINA NEPPURE LONTANAMENTE A QUELLO CHE VEDEVO IO SULLA BOWERY”) E ARRIVA FINO AL CINEMA ‘CONOSCIUTO’ GRAZIE ALL’ASMA: “MI ISOLAVA DA TUTTI. E NELLA MIA SOLITUDINE, MI METTEVANO IN TESTA L´IDEA DI NON POTER FARE NULLA DI FISICO. PER QUESTO DIVENNE IMPORTANTE PER ME IL RITO DI ANDARE AL CINEMA CON MIO PADRE, NON IMPORTA QUALE FILM FOSSE”...

Martin Scorsese per "La Repubblica" (traduzione di Alberto Pezzotta)

Sono nato nel 1942 nel quartiere di Corona, nel Queens. I miei genitori si erano trasferiti lì dal Lower East Side. La loro idea era lasciare il vecchio quartiere per "migliorarsi", come dicevano. Corona mi piaceva. Condividevamo una casetta con un´altra famiglia. Sul retro c´era un cortile con un albero. Si poteva andare al parco: c´era qualcosa da vedere. Ma poi mio padre si mise in guai seri col padrone di casa e dovemmo ritornare a Elizabeth Street, a Manhattan. In un certo senso fu un´umiliazione: tornare praticamente nelle due stanze e mezzo in cui era nato, per stare con i miei nonni, finché trovammo un appartamento in fondo all´isolato, al 253.

Nel Queens fu meraviglioso. Nick Pileggi e io ci abbiamo scritto sopra una sceneggiatura, che vorrei girare. Ma non so se sarò mai capace di portarla sullo schermo. quanto alla storia col padrone di casa, è una faccenda piuttosto complicata. A quei tempi se uno non era istruito e lavorava in una certa zona, doveva stringere legami di vassallaggio con il dato gruppo. C´erano diverse famiglie mafiose, e mio padre fiancheggiava una di queste.

Il capo era un suo amico. Fu lui a trovargli casa nel Queens. Mio padre aveva anche molti problemi con suo fratello, Joe. Da quello che ne so, spesso partecipava a riunioni dove cercava di evitare che altri mafiosi lo ammazzassero. Il padrone di casa era uno che aveva un camion per il trasporto della verdura in un garage di fianco a casa nostra. Un giorno passò di lì mio fratello.

Prese una gallina che aveva lì e le tirò il collo di fronte a lui, facendolo scappare in lacrime. Dopodiché cominciò a prendersela direttamente con mio padre. Probabilmente il padrone di casa deve avere pensato che mio padre fosse una specie di gangster. Non era vero, però gli piaceva vestire in un certo modo, mentre l´altro era un po´ uno zotico. E poi penso che mio padre piacesse a sua moglie.

Così il risentimento cresceva. E a un certo punto ci fu lo scontro. Tornò dal lavoro e, in cortile, dalle parole passarono ai pugni, finché il padrone di casa prese un´ascia. Allora la sorella minore di mia madre uscì fuori e lo spinse da parte dicendogli: «Piantala e molla quell´arnese. Lascia stare mio cognato». E quello si fermò. Proprio come nell´Uomo tranquillo di John Ford: sono state le donne a fermare tutto. Solo che quella sera ci fu un altro scontro. Li vidi che se le davano al bar. Tornai a casa e dissi a mia madre: «Stanno litigando».

Lei stava stirando e mi disse: «Lo so». Subito dopo ce ne dovemmo andare.
Il Lower East Side era piuttosto duro. Quello che si vede nei film degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta, con i Dead End Kids, non era molto lontano dal vero. I ragazzi stavano in strada, giocavano con quello che trovavano. Il coperchio di un bidone dell´immondizia poteva diventare uno scudo, e per fare la spada si staccava un´asse da una cassetta delle arance. C´era un sacco di traffico, un sacco di gente che viveva ammassata. E molta tensione. Praticamente vivevo sulla Bowery, e la cosa mi ha molto segnato. Gangs of New York non si avvicina neanche minimamente a quello che vedevo sulla Bowery.

Nel Queens, la casa aveva stanze più grandi, dove potevi sempre sparire, almeno per un po´. Qui era impossibile. Avevo addosso gli occhi di tutti e non potevo dire niente, perché ero il più piccolo. Così presi ad andare in chiesa, e rimasi affascinato dai rituali della messa. L´altra cosa era che mio padre, ovviamente, non sapeva che diavolo fare con me. Dopo avere lavorato tutto il giorno nel Garment District, andava dai miei nonni, cosa che a mia madre non andava giù. Alle undici di sera tornava a casa con i giornali popolari, il Daily News e il Daily Mirror.

C´era ancora tempo per una litigata, e poi tutti a letto. E la mattina dopo usciva per andare al lavoro. Così non è che lo vedessi molto. Ma era costretto a portarmi al cinema; mi portava al cinema in continuazione. La mia asma in pratica mi isolava da tutti. E nella mia solitudine, mi mettevano in testa l´idea di non poter fare nulla di fisico. Dovevo stare molto attento e in qualche modo essere sempre protetto. Per questo divenne importante per me il rito di andare al cinema con mio padre, non importa quale film fosse.

Frequentavamo il Loew´s Commodore, all´angolo tra la Sesta Strada e la Seconda Avenue. Entravamo sempre a metà film. Anche lì, come in chiesa, c´era un senso di pace. Era come partire per un viaggio. Fuori dalla sala i manifesti vendono sogni, si sa. E quando si entra in un cinema, il sogno è reale, o quasi. E poi, condividere queste emozioni così forti con un padre con cui non parlavo molto, diventò il principale terreno di comunicazione tra noi.

Mi portò a vedere Il bruto e la bella, il primo film che vidi su come si realizza un film. A mio padre piacevano i western. Ultimatum alla Terra fu una grande esperienza: di pomeriggio, all´Academy of Music, con duemila spettatori. O La Cosa da un altro mondo di Nyby e Hawks, si apre la porta e dietro c´è James Arness nella parte del mostro: hai mai visto duemila persone balzare sulla sedia contemporaneamente? Straordinario.

C´era un grande contrasto tra i film che vedevo e l´ambiente in cui vivevo. I miei venivano da un paese siciliano. E in Sicilia, lo sa, non ci si fida di nessuno, si cresce pieni di diffidenza. E, mi spiace dirlo, ma questo atteggiamento mi venne inculcato a forza. I miei genitori erano brava gente, lavoratori; non erano né mafiosi né criminali. Ma c´era questo atteggiamento verso il mondo. Se vedete Nuovomondo di Crialese, i miei nonni erano così. Negli anni Cinquanta era strano cercare di essere americano, di acquisire certi valori americani.

Mi era impossibile rendere compatibile l´autorità di un Eisenhower, che giocava a golf tutto il giorno, con la mia esperienza. Venivo da un mondo dove tutto si riassumeva in un unico consiglio: "Fa´ quello che vuoi ma sta´ in campana". Quando stavo girando The Departed - Il bene e il male, ho scoperto che alla fine la storia parlava di queste stesse cose, di padri e figli. Stavo girando la scena con Jack (Nicholson, ndr) a tavola e Leonardo (DiCaprio, ndr) nel locale.

Erano sette pagine di sceneggiatura, le avevamo girate la sera prima, ed era andato tutto bene. Ma a un certo punto dico a Leo: «C´è qualcosa, qui, non so esattamente cosa, che non è ancora uscita fuori bene». Sentivo che doveva essere il punto di svolta del film. Sapevo che dovevo stargli addosso e aiutarlo ad andare in certe direzioni. Così dico a Jack: «Jack, domani rifacciamo la stessa scena. Se ti viene in mente qualcosa per rendere nervoso Leonardo...».

Il giorno dopo Jack arriva, si siede, aspetta che si sieda Leo, e la prima cosa che fa è annusare il bicchiere e dire: «Puzza di talpa». E poi tira fuori una pistola. Fu fantastico. La reazione di Leonardo è in tempo reale. Gli ho detto: «Devi convincerlo che tu non sei l´infame, anche se tu lo sei». Ero felice di come stava venendo la scena, e d´un tratto ho pensato: ma io questa scena l´ho già girata. Col senno di poi, mi accorgo che questo è il tema di tanti miei film, da Mean Streets e Toro scatenato in poi. Ci sono sempre padri e figli, e ognuno deve all´altro qualcosa. Ci sono la fiducia e il tradimento.

Nel mondo in cui sono cresciuto io, il tradimento era la cosa peggiore che ti potesse capitare. La caduta di un gangster per me è altrettanto interessante di quella di un presidente o di un cantante famoso. Per esempio in Casinò, prima c´è il tradimento, e poi la caduta. Parliamo di persone che, diciamo così, sono di natura diversa dalla nostra. Ma per me si tratta solo di esseri umani. Il tradimento ha che fare con l´amore. Ci deve essere un legame tra le persone che si tradiscono, altrimenti non farebbe così male. Ecco perché La valle dell´Eden è stato un film così importante per me. Per la lotta tra padre e figlio.

C´è il fratello buono e quello cattivo. A casa nostra, il conflitto era soprattutto tra mio padre e mio fratello maggiore. Io in teoria ero quello buono. Ma quando vidi La valle dell´Eden, mi resi conto che mi sentivo come il personaggio di James Dean. Provavo le stesse cose del cattivo. Sentivo tutto ciò che sentivano gli adolescenti quando vedevano James Dean in quel film.

Le mie radici sono ancora lì. Non appartengo a un mondo di scrittori o di artisti. Col passare del tempo mi sono reso conto che non voglio considerarmi diverso da quello che sono. Ma da piccolo, quando crescevo in quel quartiere, mi sentivo davvero schiacciato. E l´unica via di sfogo era immaginare storie, cose del genere. Fin da piccolo. Lavoravo molto di fantasia. E disegnavo i miei film. I primi li disegnai in bianco e nero e nel formato 1.33, che era quello standard del cinema dell´epoca. Un giorno mio padre mi vide che ci giocavo e dovetti nasconderli. Non capiva che cosa stessi facendo, e pensò che me ne stessi troppo per conto mio. Non completai più le storie. Stavo diventando un adolescente, e le cose cominciavano a cambiare.

 

MARTIN SCORSESEI GENITORI DI SCORSESE IN ITALOAMERICANII GENITORI DI SCORSESESCORSESE CON IL FRATELLO FRANKSCORSESE A SETTE MESI CON MAMMA ZIA E CUGINOSCORSESE VESTITO DA INDIANOSCORSESE SUL SET DEL PRIMO CORTOSCORSESE

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