non sono un robot

AVETE PRESENTE IL QUIZ DA SUPERARE PER DIMOSTRARE, SUL WEB, DI NON ESSERE UN ROBOT? SPESSO CI SONO FOTOGRAFIE DI TRAFFICO, IN CUI CI VIENE CHIESTO DI IDENTIFICARE STRISCE PEDONALI, SEMAFORI, CARTELLI - QUELLE INFORMAZIONI SERVONO A UNA SOCIETA' DI GOOGLE CHE STA STUDIANDO L'INTELLIGENZA ARTIFICIALE PER L'AUTO SENZA GUIDATORE - E SFRUTTA LA NOSTRA CONOSCENZA PER IMPARARE... 

Paolo Griseri per "La Stampa"
 

Antonio Casili

Tutti operai inconsapevoli nella fabbrica del postlavoro, quella che crea gli algoritmi grazie ai nostri clic e si serve della nostra opera ceduta gratuitamente. Non è fantascienza ma, da anni, la realtà. Antonio Casilli, sociologo, professore al Paris Institute of Technology (Gli schiavi del clic, Feltrinelli 2020) non è certo un complottista da social. Ma il suo intervento sul futuro del lavoro a Biennale Democrazia suscita interesse e un po' di sorpresa.
 

Schiavi del clic - Antonio Casili

Professor Casilli, che cosa significa che lavoriamo gratis senza rendercene conto?
«Abbiamo ancora una concezione vecchia del lavoro. Certo, ci sono in giro molte attività tradizionali. Ma se dobbiamo pensare al lavoro come un'attività che produce ricchezza, indubbiamente noi svolgiamo un'attività gratuita per le grandi società di raccolta dei dati, come Google o Amazon».
 
Non pensa che ci sia uno scambio? Ogni volta che faccio clic ottengo un servizio sulla rete e in cambio la rete utilizza i miei clic per crearsi un algoritmo. Non è così?
«Non è sempre così. O meglio, non è solo così. C'è un'altra faccia della medaglia».
 
Può farci un esempio?
«Spesso ci capita di dover rispondere a un questionario per poter ottenere informazioni dal web. Compare una pagina con una scritta: non sono un robot».
 

Schermata Non sono un robot

Serve a dimostrare che siamo noi a interrogare e non un sistema automatico. Non è così?
«È certamente così. Ma c'è un secondo fine. Lei ricorda qual è il quiz?».
 
In genere ci sono delle fotografie e la domanda: clicca su tutte quelle con il semaforo.
«Ecco, appunto. Non ci avrà fatto caso ma quasi sempre in quel quiz ci sono fotografie di traffico: strisce pedonali, cartelli stradali, semafori. E sa perché? Perché quelle informazioni servono a Waymo, la società di Google che sta studiando l'intelligenza artificiale per l'auto senza guidatore. I veicoli devono imparare a riconoscere le indicazioni per potersi muovere nel traffico. C'è un solo modo per insegnarglielo: creare un'intelligenza artificiale che guardi miliardi di fotografie e possa cominciare a riconoscere semafori, strisce pedonali, marciapiedi. Questo lavoro lo facciamo noi. E lo facciamo gratis».
 

La schermata Non sono un robot

Lei dice che potremmo farci pagare?
«Non sembra molto facile raggiungere questo obiettivo. Ma certamente il primo passo è quello di renderci conto che con i nostri clic noi contribuiamo a creare immense banche dati che hanno un valore. E non parlo solo delle foto dei semafori. Ogni volta che mettiamo un video del nostro gatto su Youtube creiamo valore».
 
Big data è interessato al nostro gatto?
«Non vorrei deluderla: il gatto non è al centro dei pensieri delle multinazionali dell'intelligenza artificiale. Ma quel che interessa è a che ora ho fotografato il gatto, con quale mezzo ho creato le immagini, quanto tempo trascorro davanti al web, se faccio parte di un gruppo che si scambia notizie sui gatti, eccetera. Questi sono dati sensibili perché ci profilano e aiutano a orientare il mercato nei nostri confronti».
 

Schermata non sono un robot 2

Ci sono sistemi automatici che mettono in ordine tutte queste informazioni?
«Certo. Ma ci sono anche centinaia di migliaia, forse milioni di individui pagati una miseria per farlo. Persone reclutate in Asia e in Africa che vengono pagate a cottimo: un centesimo a clic per sistemare tutti i dati sensibili del web».
 
Lavoratori senza tutele e senza contratto, s'immagina.
«Uno dei problemi del postlavoro è che difficilmente i sindacati riescono a individuare lo sfruttamento. Avviene quando alcuni fatti eccezionali rendono visibili gli invisibili. È accaduto durante la pandemia con i rider, accade con Uber. Ma non è sempre facile. Come faccio a capire se dietro il computer di casa qualcuno sparso per il mondo sta lavorando per le società di profilazione dei dati, quasi sempre in subappalto?».
 

Intelligenza artificiale auto

La carenza di un controllo e di certificazione del lavoro svolto è diventato un problema anche per i mestieri tradizionali con lo smart working. Si riuscirà a regolamentarlo?
«Si sta cercando di farlo. E a qualche forma di regolamentazione si arriverà. Così come con i rider si sta arrivando a forme di contrattazione degli algoritmi. Anni fa contrattare l'algoritmo che assegna le commesse ai ciclofattorini sembrava un'eresia. Ma non sarà certo questo che fermerà la rivoluzione del postlavoro. Oggi la prospettiva è quella di esternalizzare alcune funzioni direttamente a noi, senza che ce ne accorgiamo».
 

intelligenza artificiale

Insomma, il retrobottega della rivoluzione digitale. Che si immaginava democratica, in grado di migliorare la qualità della vita di ciascuno.
«Beh c'è un rovescio della medaglia. Lei dice democratica? In realtà il mondo digitale aumenta le differenze tra poveri e ricchi. Noi nell'Occidente abbiamo il 5G e la fibra. Nei Paesi poveri Facebook propone Freebasic, un accesso limitato a Internet con un solo motore di ricerca. Non sempre quella promessa di democratizzazione è stata mantenuta».

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