Fabio Poletti per “la Stampa”
Il lavoratore interinale con badge verde ha poca voglia di parlare ma idee chiarissime: «Se dobbiamo fare sciopero, tanto vale farlo quando fa male». Rischia di fare malissimo ad Amazon lo sciopero di 24 ore indetto per venerdì 24 novembre, il giorno del Black Friday e dei megasconti, dai 4 mila dipendenti del centro di distribuzione di Castel San Giovanni vicino a Piacenza, la megastruttura di cemento grande come 15 campi di calcio che non si fermava mai.
Questo è il primo sciopero nella filiale italiana del colosso di Seattle. Indetto proprio nel giorno più ricco per Jeff Bezos, quando qui si aspettano un po' più del milione e 100 mila ordini, 12 al secondo, arrivati per il Black Friday dell'anno scorso. Anche se da Amazon promettono: «Siamo focalizzati a mantenere i tempi di consegna». Alla base delle rivendicazioni le richieste economiche non sono nemmeno la cosa più importante. Anche se il clima tra i capannoni che qui chiamano l'«Astronave» certo non aiuta.
Beatrice Moia è una packer, addetta a inscatolare le merci da reinviare ai rivenditori esterni: «L'altro giorno è venuto il mio capo in reparto. Ci ha detto che eravamo stati bravi perché avevamo movimentato 1 milione e mezzo di pacchi. Ha accennato un applauso e se ne è andato. Forse "bravo" è un po' poco per il mazzo che ci facciamo».
Per otto ore al giorno, assai graditi gli straordinari facoltativi oltre a quelli obbligatori, una packer come lei prende 1200 euro al mese. Tutti i mesi. Anche a settembre quando la catena di imballaggio va al massimo con la consegna dei libri di scuola. O dal Black Friday fino a Natale, quando Amazon fa il fatturato e offre ai dipendenti un bonus natalizio assai simbolico che non vuole nessuno.
Il segno più è la costante a Castel San Giovanni. Nel 2011 quando è stato aperto il centro di distribuzione ci lavoravano in 60. Adesso sono in 4 mila, metà a tempo indeterminato col badge blu, l' altra metà interinali, anzi con contratto di lavoro somministrato, come chiamano con una bruttissima parola i precari che difficilmente sciopereranno tutti. Il Gruppo nel suo complesso non è che se la passi male. Il bilancio 2016 si è chiuso con un fatturato di 136 miliardi di dollari Usa. Il terzo trimestre 2017 vale 43,7 miliardi di dollari Usa con un notevolissimo +34%.
«L' unica cosa che non aumentano sono gli stipendi. Ma quello che è peggio sono le condizioni di lavoro», sibila Pino de Rosa della Ugl che insieme a Cgil Cisl e Uil ha deciso di iniziare la battaglia del Black Friday. «E' l' unica azienda al mondo dove si applica solo il contratto nazionale e non c' è un contratto di secondo livello. Non abbiamo nemmeno quantificato le richieste economiche. Abbiamo detto: fissiamo degli obiettivi poi stabiliamo il premio di produzione. L' azienda non ci ha mai risposto. Qui siamo agli Anni Cinquanta».
In azienda il clima è brutto e molti non vogliono apparire. Lui è un picker. Viene dal Senegal. Il suo compito è andare a prendere gli oggetti negli scaffali e portarli ai packer: «Ogni giorno faccio una mezza maratona di 20 chilometri. Niente pausa per il caffè. Per andare in bagno devo chiedere il permesso. Adesso sto facendo il turno di notte. Lavoro 6 ore e mezzo a notte più gli straordinari per sei giorni alla settimana. Il settimo mi riposo. Così per quattro settimane».
Dire che il lavoro è ripetitivo è un eufemismo. Le patologie al tunnel carpale, alla schiena e alla colonna vertebrale non si contano. «Quando uno si infortuna ci fanno pressione per non scrivere che è a causa della produzione». Dal Gruppo replicano che negli anni si è lavorato molto per la sicurezza, il salario sta nella fascia alta della logistica, ci sono agevolazioni come l' assistenza medica privata e alla fine quelli che mollano sono pochissimi. ML' azienda offre pure un assegno a chi vuole andarsene dopo 5 anni di lavoro. L' incentivo lo prendono in pochissimi: «Preferiscono pagare per mandarci via, piuttosto che tenerci dopo averci spremuto come limoni».