LA CORTE D'APPELLO DI TORINO RIGETTA IL RICORSO DA UNA COPPIA DI DUE DONNE CHE VOLEVA CHE LA FIGLIA PORTASSE IL COGNOME DI ENTRAMBE: PER I GIUDICI LA REGISTRAZIONE DEL 2018, PERMESSA DALL'ALLORA SINDACO CHIARA APPENDINO, È UN ATTO ILLEGITTIMO - DA ALLORA GLI UFFICIALI DI STATO CIVILE HANNO REGISTRATO IN COMUNE CIRCA 80 BAMBINI DI COPPIE OMOSESSUALI - MA UNA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI CAGLIARI VA IN UNA DIREZIONE OPPOSTA...

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Filippo Femia per “la Stampa”

 

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Per vincere la loro battaglia sono disposte a spingersi fino a Strasburgo e ricorrere alla Corte europea per i diritti dell'uomo. Ieri due donne torinesi, una coppia omosessuale, hanno visto infranto il loro sogno. Volevano che la figlia portasse il cognome di entrambe, ma dai giudici è arrivata una doccia fredda. La Corte d'Appello ha confermato la decisione adottata dal Tribunale di Torino un mese fa, rigettando il ricorso presentato dalla coppia e dal Comune, che si era costituito in giudizio: per i giudici quella registrazione è un atto illegittimo e va disapplicata. 

 

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Torino era stata la prima città, nell'aprile del 2018, a consentire la registrazione all'Anagrafe di figli di coppie omogenitoriali. Una battaglia di civiltà, che l'allora sindaca Chiara Appendino aveva intrapreso sfidando i codici: «Se necessario forzerò la legge», disse. Da quel momento gli ufficiali dello Stato civile hanno registrato in Comune un'ottantina di bambini di coppie omosessuali. «Siamo molto deluse e arrabbiate - si sfogano le due donne -. È spaventoso che, da un momento all'altro, in una materia così delicata, i Tribunali possano cambiare idea, incuranti che da questa loro decisione dipenda la vita futura di un minore». 

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Il loro avvocato, Orazio Celeste, sottolinea invece che si è aperto un «contrasto giurisprudenziale». Una recente sentenza del Tribunale di Cagliari era stata di segno opposto rispetto a quella di Torino: «Così rischiamo di trovarci di fronte a una giurisprudenza a macchia di leopardo sul territorio nazionale». Nelle motivazioni del decreto di rigetto, i giudici citano la legge 40 del 2004, quella che regola la procreazione medicalmente assistita (Pma), in Italia consentita soltanto alle coppie eterosessuali. Il riconoscimento di un figlio nato in seguito a Pma e chiesto da due persone dello stesso sesso, ragionano i giudici, viola quella norma. 

 

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Una norma che il Torino Pride, coordinamento delle associazioni per i diritti Lgbtq, ha definito «arretrata e approvata con furore ideologico. E disallinea il nostro Paese da posizioni più avanzate anche nella stessa Unione Europea». In alcuni Stati, come Spagna e Olanda, possono infatti ricorrere alla procreazione assistita anche le coppie omosessuali. Il tema, ora, diventa politico. 

 

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Il sindaco di Torino Stefano Lo Russo e l'assessore ai Diritti Jacopo Rosatelli hanno subito annunciato battaglia, richiamando ancora una volta il Parlamento a colmare un vuoto legislativo e «fare finalmente la propria parte per riformare tutte quelle normative in materia di famiglia che conservano un contenuto discriminatorio. La società è pronta, la politica lo sia altrettanto». Dalla giunta, dunque, nessun passo indietro: «È necessario riconoscere la genitorialità delle coppie dello stesso sesso nel supremo interesse dei minori a crescere in una famiglia con pienezza di diritti». 

 

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I consiglieri comunali d'opposizione, invece, esultano per la decisione dei giudici. «La legge vale per tutti. La famiglia è composta da una mamma e da un papà», ha dichiarato la consigliera di Fratelli d'Italia Paola Ambrogio di Fratelli d'Italia. La collega di partito, la deputata Augusta Montaruli, ha invece parlato di «capricci» e «pretese illegittime delle cosiddette famiglie arcobaleno». Le due donne torinesi, però, non si arrendono: «Continueremo la nostra battaglia - hanno annunciato - anche al di fuori delle aule di giustizia. Non per il diritto di essere madri, ma per riconoscere a tutti i bambini il diritto ad avere due genitori».

 

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