Annalisa Cuzzocrea per “la Stampa”
la ragazza afghana steve mccurry
Gli occhi di Steve Mc Curry hanno visto il mondo, il suo obiettivo lo ha saputo restituire. Eppure ci sono cose che il grande fotografo americano non riesce a spiegarsi. Una di queste è il desiderio delle persone di credere alle bugie, alle storie inventate, alle realtà inesistenti. In modo talmente pervicace che nulla potrà mai far loro cambiare idea. Succede ovunque e succede soprattutto negli Stati Uniti dei complotti alla QAnon, delle stragi nelle scuole, delle norme restrittive sull'aborto. Succede sempre di più, ma non per questo le foto - quelle che fermano la realtà, quelle che, evocative e potenti, la mostrano così com' è - non servono più: «Perché ogni immagine è una breccia nel muro.
E una foto può ancora avere un effetto positivo sull'opinione pubblica».
La mostra Icons è ancora aperta a Riccione, fino al 18 settembre. Ma è dell'ultimo libro - Bambini nel mondo. Ritratti dell'innocenza, Mondadori Electa - che McCurry parlerà a Rimini domani sera, aprendo la rassegna Biglietti agli Amici. Ed è da quei ritratti che comincia la nostra conversazione in una domenica di giugno in zona Prenestina, a Roma, dove McCurry sta per tenere un workshop sul ritratto insieme all'amico fotografo Eolo Perfido.
Perché ha deciso di mettere insieme, in un unico volume, proprio i bambini e proprio adesso? Cos' è che l'ha spinta a raccogliere sguardi, gesti, giochi, che appartengono ad anni diversi e a luoghi lontani tra loro?
«L'idea mi è venuta due anni fa, durante la pandemia. Guardavo mia figlia, che ora ha 5 anni. La osservavo, la fotografavo e mi sono messo a cercare negli archivi tutti gli scatti che riguardano l'infanzia fatti nel tempo. Negli occhi di questi bambini vedo speranza, resilienza, un senso di sopravvivenza, ed è questo che ho cercato di trasmettere. Guardi le foto scattate nei campi profughi. Hanno poco, a volte non hanno nulla, eppure giocano. E che importa che sia sulla canna di un carrarmato o su un asino : i loro sguardi dicono che devono trovare un modo per andare avanti».
afghanistan le foto di steve mccurry 7
Nel libro ci sono le parole del premio Nobel Malala Yousafzai - «un bambino, una penna e un insegnante possono cambiare il mondo» - e di suo padre. E lei cita Dietrich Bonhoeffer: «Il senso morale di una società si misura su ciò che fa per i suoi bambini». È per un'istruzione che raggiunga tutti, ovunque, che avrebbe senso lottare?
«Mi chiedo cosa sarebbe di questo pianeta se indirizzassimo energia e tempo e denaro sulle cose da fare. Come l'istruzione, come una lotta vera ai cambiamenti climatici. Ma non accade. La natura umana ci porta a dire: "Ok, adesso si vede". O a commentare: "Com' è triste, che tragedia!", senza che a nessuno importi veramente. O meglio, a qualcuno importa, ma non è abbastanza. E quindi abbiamo bambini pieni di cose e altri che non ne hanno abbastanza neanche per sopravvivere».
la foto iconica di steve mccurry alla ragazza pashtun sharbat gula
Perché pensa che la ragazza afgana sia diventata un'icona così potente? Si aspettava che accadesse?
«È stato per un insieme di cose. In quello sguardo che prima ha colpito me e poi tutti coloro che l'hanno osservato ritratto nelle mie foto, ci sono orgoglio, dignità, perseveranza. È evidente che sia povera, ma è comunque uno sguardo positivo, e tutto questo è bilanciato alla perfezione nella sua espressione. Riuscire a connettersi con gli occhi di qualcuno è il modo migliore per conoscerlo. E per svelarlo».
Cosa pensa, da fotoreporter che ha attraversato molte guerre a partire da quella afgana durante l'invasione russa, quando si travestì mimetizzandosi con la popolazione locale, di quel che accade in Ucraina?
«Mi piacerebbe andare in Ucraina a vedere quel che sta succedendo. Sono stato più volte in Russia, ho amici russi, ma non so se potrò andarci di nuovo, se avrei il visto, se mi sentirei a mio agio. Vorrei andare per capire dov' è la realtà e dove la propaganda. E trovo che sia tutto sconvolgente. Proviamo a immaginare cosa possa significare, da un giorno all'altro, dover fuggire per cercare salvezza. Tu vivi in una casa per dieci, venti, trent' anni e all'improvviso non c'è più, scompare. È inquietante, e lo è ancor di più la disinformazione intorno a tutto questo».
Steve McCurry prende il suo telefonino. Ha una cover gialla. La guarda e dice: «Ci sono persone che osservandolo sono pronte a dirti: è blu. E tu rispondi: no, vedi, è giallo. Ma non c'è nulla da fare. Continueranno a dire che è blu contro ogni evidenza».
Crede sia questo che sta accadendo? Anche negli Stati Uniti, dove si inseguono falsi miti e non si affrontano problemi come i massacri con armi da fuoco nelle scuole?
afghanistan le foto di steve mccurry 6
«Negli Stati Uniti moltissime persone credono a colossali bugie. O perché ingenue o perché hanno bisogno di essere ingannate. E ci sono altre persone che mentono tutto il tempo, che passano la vita a mentire senza che a nessuno venga voglia di approfondire un po' per capire che no, certe cose non possono essere reali. Le persone inventano e noi lasciamo che lo facciano senza trovare il coraggio di opporci. È affascinante come questo tempo sia disinteressato alla verità».
Drammatico per un fotografo.
«Non si tratta solo di fotografia. È che le persone vogliono credere alle loro bugie, sono letteralmente disinteressate ai fatti. Come con Trump: una fetta di popolazione lo sosteneva e lo sosterrà nonostante tutto, qualsiasi cosa dica o faccia. Come si sopravvive a tutto questo? È la stessa cosa che accade con il global warming: interessa pochissime persone. Agli americani importa della loro squadra di football, della loro casa, del loro benessere, non del riscaldamento globale. E così per i politici è più facile ignorarlo.
Se chiedi 10 centesimi di tassa ogni 10 dollari di benzina per provare a contrastarlo, dicono: giù le mani dalla mia benzina. E nessuno trova il coraggio necessario».
Anche sulla questione delle armi dopo il massacro di Uvalde (19 bambini e 2 insegnanti uccisi da un diciottenne armato in una scuola elementare) un pezzo di opinione pubblica era certa che qualcosa dovesse cambiare per forza. Ma non sembra sia così.
l'11 settembre visto da steve mccurry 7
«È un mistero e riguarda moltissime cose: la disinformazione, la religione. È difficile da spiegare, ma da un lato hai questi bambini uccisi e dall'altro donne cui viene negato il diritto di scegliere se avere o no un figlio. Mentre a essere difeso è il diritto ad avere armi, portare con sé fucili. Cos' è che ti fa sentire più sicuro andando in un supermercato con un'arma? Loro ti rispondono: ho il diritto di farlo e lo faccio».
Eppure a essere contro l'aborto non è la maggioranza degli americani. E anche sulle armi, la maggior parte vorrebbe più controllo.
«Dipende tutto da chi è più forte e più determinato. Le persone che vogliono le armi, le persone che sono contro l'aborto, sono organizzate, determinate, hanno un piano, una visione. Non importa cos' è giusto, ma chi è più forte. Come quando ci sono due animali nella giungla. Chi vive dipende solo da chi è più forte. In questo la religione ha una speciale potenza che, mischiata alla politica, fa in modo che queste persone abbiano convincimenti tali da poter morire per realizzarli. Chi invece dice: "Beh, sì, vorrei che le donne potessero scegliere", non è disposto a morire perché sia così. Dipende dal tempo che dedichi a una battaglia, dagli sforzi che fai».
l'11 settembre visto da steve mccurry 5
In un quadro come questo, le foto, le immagini, possono ancora fare la differenza? O il fatto che ce ne siano talmente tante, che ci bombardino uscendo dalle tv, dai telefonini, le ha rese più deboli? Meno efficaci? Meno potenti?
l'11 settembre visto da steve mccurry 1
«Credo che la fotografia possa ancora fare la differenza e aiutare a cambiare la percezione delle cose. Ogni foto riuscita è come una breccia nel muro, un passo nella giusta direzione, che è quella di informare le persone nel modo più obiettivo possibile. È un potere limitato, ma ancora positivo».
Guardiamo insieme le immagini simbolo della guerra in Ucraina. Chiedo a Steve McCurry di sceglierne una che rappresenti quella breccia nel muro. Lui le scorre, va avanti, torna indietro. Poi si sofferma su due immagini. La prima rappresenta la mano di una donna rimasta vittima di un bombardamento, ha lo smalto rosso, il disegno di un cuore su un'unghia. Nella seconda c'è un cane seduto accanto al suo padrone, morto, ucciso mentre andava in bicicletta.
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«Quelle mani appartengono a una donna non è un soldato, non stava combattendo in una trincea. Una donna che stava cercando di vivere la sua vita, di metterci dentro un po' di bellezza mostrandosi al meglio, avendo cura di sé. E così ci pare di scorgerne le speranze, i sogni. È in questo che possiamo immedesimarci. Così come ci immedesimiamo nella quotidianità di un uomo che andava in bicicletta senza poter immaginare di essere un bersaglio. E ci colpisce quel cane che è lì, leale e in attesa».
steve mccurry girl in afghanistan
Come può esserci assuefazione davanti a queste immagini? «Tutti noi siamo spinti a chiederci: perché? Come può un soldato andare in un villaggio e uccidere civili inermi? Lo fa per divertimento, perché gliel'hanno ordinato, è stressato, è arrabbiato? Esiste il male e va al di là della nostra possibilità di comprensione. Appartiene alla natura umana».
C'è qualcosa che ha visto e che non è stato capace di scattare?
«Mi chiedo spesso, durante il mio lavoro, qual è il limite da non valicare. Un momento di estremo dolore, per esempio. La risposta è che devi avere sempre rispetto delle persone. Non devi offenderle, non devi mai fare loro del male».
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