Paola De Carolis per il Corriere della Sera
LA FAMIGLIA DI ARCHIE BATTERSBEE
Dietro la porta chiusa il pericolo. È forse l'incubo di ogni genitore, che pur essendo a casa un figlio possa incontrare il male attraverso il computer o il cellulare. Ci sarà il momento di chiedersi esattamente cosa sia successo al povero Archie, di domandarsi come mai sui social possano continuare a esistere giochi e sfide tragici e assurdi. Oggi no. Ogni interrogativo crolla di fronte al dolore di una famiglia che da un giorno all'altro ha perso un figlio amatissimo.
«Non c'è assolutamente nulla di dignitoso nel guardare un bambino che soffoca», si è sfogata asciugandosi gli occhi Ella Carter, una parente stretta. Rabbia, incomprensione, frustrazione. «Nessuna famiglia dovrebbe attraversare quello che abbiamo passato noi. È barbarico».
Archie, ha raccontato mamma Hollie, «ha lottato sino all'ultimo». L'ospedale ha cominciato a disattivare i macchinari che lo tenevano in vita alle 10.00. Per due ore, ha precisato Carter, «i valori sono rimasti stabili. Alla fine, quando hanno tolto il ventilatore, è diventato tutto blu».
Alle 12.15 è morto. È una consolazione per Hollie aver tentato in tutti i modi di prolungare le cure: «So di aver fatto il possibile, proprio come avevo promesso al mio bambino».
LA FAMIGLIA DI ARCHIE BATTERSBEE
Ora lei e la famiglia sono «a pezzi, distrutti». Dal 7 aprile vivono in un incubo dal quale sarà difficile risvegliarsi.
«Non credo che da allora ci sia stata una sola giornata che non è stata terribile. Se di fronte alle telecamere ci siamo mostrati forti, abbiamo il cuore in frantumi». Archie - ha detto - «era al centro della nostra famiglia, adorato. Ovunque andava lasciava un segno, era un bambino che si faceva voler bene, molto allegro, era sempre di buon umore». Se ieri non ha avuto le forze di entrare nella questione, precedentemente la signora Dance aveva precisato di volere solo più tempo.
I GENITORI DI ARCHIE BATTERSBEE
«Volevo che passassero sei mesi. Che male c'è? Hanno speso una follia facendomi la guerra attraverso i tribunali, soldi che avrebbero potuto spendere per Archie e altri pazienti. Hanno parlato della dignità di mio figlio: credo profondamente che il modo più dignitoso di morire sia lontano dalle macchine e dal rumore di una corsia ospedaliera. Al centro di questo caso c'è l'amore di una madre ma ci sono anche i miei diritti: a che punto il padre di Archie ed io abbiamo perso il nostro diritto di decidere cosa vogliamo per nostro figlio?».
Parenti, amici e conoscenti sono passati ieri dall'ospedale, chi per abbracciare i genitori, chi per lasciare un biglietto, un mazzo di fiori. Shelley Elias ha raggiunto l'ospedale dalla zona di Stepney. Conosce Hollie e ha due figli, uno della stessa età di Archie. «Volevo che sapessero che sto pensando a loro, che sono nel mio cuore». Davanti al Royal London ha depositato un biglietto e alcune candele.
«Non sapevo cosa scrivere perché non ci sono parole che possono portare via un po' del loro dolore. Mio figlio ha 12 anni, come Archie, mi sembra impossibile che un ragazzo di questa età possa morire». Ollie Bessell, amico di famiglia, ha raccontato sui social che la morte di Archie «è difficile da accettare». «Pochi giorni fa - ha spiegato - sono stato a trovarlo, e lì, nella sua camera d'ospedale, mi è sembrato di captare tutta la vita che aveva dentro».
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