giuseppe conte dario franceschini romano prodi

DO YOU REMEMBER PRODI? - FRANCESCHINI RIEVOCA I GOVERNI DEL PROFESSORE, CON I PARTITINI CHE AVEVANO “UN POTERE INTERDITTIVO”. GUARDA CASO, SI TRATTA DI ESECUTIVI CHE NON ARRIVARONO MAI A FINE LEGISLATURA - ANCHE SE CONTE PROVA A SGOMITARE E A NON FARE LA FIGURA DEL MAGGIORDOMO, LE CHIAVI DI PALAZZO CHIGI CE L’HANNO RENZI E DI MAIO, MENTRE IL PD RIMANE INCHIODATO AL RUOLO DI “FORZA RESPONSABILE”. AUGURI!

Francesco Verderami per il “Corriere della Sera”

 

giuseppe conte luigi di maio dario franceschini

Siamo già al déjà-vu. Perché osservando il governo Conte a Franceschini sembra di rivedere «i governi Prodi, dove ogni partito aveva un potere interdittivo», dove servivano estenuanti trattative per chiudere interminabili polemiche, dove le intese erano brevi intervalli tra un caso e l' altro . Il ministro della Cultura avrebbe voluto risparmiarsi questo tuffo nel passato, ma si rende conto che il gabinetto Conte «doveva essere una cosa e sta invece diventando un' altra». Il riferimento ai «governi Prodi», peraltro, non è casuale: quegli esecutivi non arrivarono mai a fine legislatura. Servirà del tempo per capire se all'«avvocato del popolo» toccherà la stessa sorte del Professore, ma al Pd è bastato poco tempo per vedere come sia tornato di moda il vecchio motto «competition is competition».

 

luigi di maio dario franceschini

Il problema è che per la prima volta si trova tra due fuochi. Da una parte c' è M5S, che ha iniziato imponendo il taglio dei parlamentari, ha proseguito puntando i piedi sulla giustizia e ora forza la mano con il decreto sui migranti.

 

MATTEO RENZI A L'ARIA CHE TIRA

Dall' altra parte c' è Renzi, la cui scissione non è stata «incomprensibile», siccome al Nazareno hanno inteso che «lui ha fatto nascere il governo solo per potersi fare il suo partito».

E ora applica contro gli ex compagni la tattica militare dello « shock and awe », colpisce e terrorizza, tanto da ricordare ad alcuni «il modo in cui Macron ha liquidato il Partito socialista in Francia», e ad altri - più prosaicamente - «le manovre di Palazzo di un Franceschini più giovane».

LUIGI DI MAIO AL TELEFONO

 

Così, mentre Di Maio e Italia viva hanno preso a sventolare le loro bandierine, il Pd appare inchiodato al ruolo di «forza responsabile», rischia di stremarsi nelle mediazioni. E soprattutto si sente vittima di una «macchinazione mediatica» ordita - questo il sospetto - dai suoi stessi alleati, che mirano a farlo passare per «il partito delle tasse»: l' idea di «rimodulare» l' Iva e quella di introdurre il sostituto d' imposta per le famiglie con le colf, sono state infatti addebitate ai dem, che per un verso si ribellano ai «fake» ma per l' altro mugugnano sottovoce contro il ministro dell' Economia: «Gualtieri deve capire che delle cose giuste, presentate in un momento sbagliato, sono sbagliate».

 

giuseppe conte dario franceschini

Più che una falsa partenza, per il Pd è una partenza ad handicap. E mentre Franceschini si adopera a Palazzo Chigi perché «occorre dare un' anima al governo», che evidentemente non ce l' ha, al Nazareno Zingaretti deve fare i conti con un partito preoccupato per «la mancanza di un nostro tratto identitario».

 

roberto gualtieri dario franceschini

Il segretario democrat prova a costruirlo, intestandosi il taglio del cuneo fiscale, «per abbassare le tasse sul lavoro e alzare gli stipendi». Ma i soldi sono così pochi che - a parte il solito Renzi - anche gli industriali hanno chiesto «maggiore coraggio».

renzi zingaretti

 

Allora diventa complicato uscire dalla morsa, se gli altri - Conte compreso - si spartiscono i dividendi, e a Zingaretti tocca fare il cireneo. Per di più nel partito gli equilibri stanno cambiando, i post-dc Franceschini e Guerini sono dati in avvicinamento, ed entrambi - ognuno con il proprio tratto distintivo - hanno chiesto e ottenuto un «azzeramento» della segreteria, corollario di un' assemblea nazionale e di un successivo congresso tematico. Tutti riti vecchio stile, che potrebbero però precipitare verso un congresso vero e proprio se il Pd perdesse l' Emilia-Romagna.

Nicola Zingaretti Luigi Di Maio Giuseppe Conte

In questo clima è comprensibile che a Zingaretti un po' gli girino. Perciò deve aver provato un gran gusto l' altra sera a scimmiottare Renzi, certo che a Renzi stavolta non farà piacere: «...Quanto alla riforma elettorale, noi del Pd preferiremmo il maggioritario. E se non si trovasse un' intesa sul proporzionale con una soglia di sbarramento alta, sarebbe meglio tenersi l' attuale sistema». È il Rosatellum, che piace alla Lega e prende il nome da Rosato, uno dei maggiore esponenti di Italia viva. Potrebbe Renzi sconfessarlo? Ma per lui quel sistema oggi è criptonite, perché lo costringerebbe ad allearsi. Proprio quello che vorrebbe imporgli il Pd. D' altronde, la guerra è guerra.

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