claudio cerasa matteo salvini giorgia meloni

LA MELONI? NEL 2016 DICEVA CHE TRA PUTIN E RENZI FOSSE PREFERIBILE IL PRIMO. IL VERO PERICOLO DI QUESTA DESTRA NON È TANTO IL FASCISMO MA IL TRUMPISMO” – IN UN LIBRO IL DIRETTORE DEL "FOGLIO" CLAUDIO CERASA FA A PEZZI I SOVRANISTI DE’NOANTRI: "IN EUROPA E NEL MONDO LA DESTRA COLTIVA RELAZIONI CON I SOLITI: ORBÁN E LE PEN PER SALVINI, VOX E TRUMP PER MELONI. SONO ATLANTISTI, MA NON EUROPEISTI" - "LETTA? ALTRO CHE OCCHI DI TIGRE. GLI MANCA LA CAZZIMMA”

 

 

Concetto Vecchio per “il Venerdì di Repubblica”

 

CLAUDIO CERASA

Dalla sua scrivania Claudio Cerasa, 40 anni, direttore del Foglio, può osservare le bottiglie di vino rosso allineate nella libreria di fronte. Il corriere gli ha appena portato un gioco comprato per il figlio su Amazon, Among Us. «Si svolge su un'astronave e consiste nel riconoscere gli impostori senza pietà. È perfetto per capire il futuro della destra italiana: senza riconoscere gli impostori della libertà, il Paese rischia di finire male». Le catene della destra, Rizzoli, è il titolo del suo nuovo libro. Un'inchiesta su un mondo destinato a governare l'Italia.

 

Che cosa ha capito?

«Che non è il fascismo il vero pericolo, ma il complottismo. Lo strizzare l'occhio ai no Vax e ai no Euro, strillare che le ong sono pagate da Soros. Vedere dittature ovunque. Il complottismo è questo: difendere non la libertà in assoluto, ma la libertà di essere estremisti».

 

La destra è estremista?

«Nella gestione della pandemia la destra sovranista è stata parte del problema, più che parte delle soluzioni. Ma è estremista anche sul resto».

CLAUDIO CERASA - LE CATENE DELLA DESTRA

 

Cioè?

«È estremista e complottista in economia. Ha il terrore della concorrenza, non riesce ad accettare la competizione del mercato. Ed è garantista soltanto a parole. Se tocchi le carceri riemerge la logica dello scalpo, sintetizzabile nella frase "bisogna buttare via la chiave"».

 

Vi coglie una doppiezza?

«Le parole d'ordine dei suprematisti bianchi le ritrovi nei testi della destra estremista. Se un islamico fa una strage saltano su, si interrogano su quali sono le radici di quel gesto; se una strage la compie un suprematista bianco la destra lo derubrica a pazzo. E poi non hanno mai condannato con parole chiare e definitive l'assalto a Capitol Hill. Il trumpismo non rinnegato della destra mi pare più pericoloso del fascismo rinnegato».

 

In Italia la destra non si è messa la cipria?

 «Lo ha fatto. Ma in Europa e nel mondo coltiva relazioni con i soliti: Orbán e Le Pen per Salvini, Vox e Trump per Meloni. Sono atlantisti, ma non europeisti».

 

salvini meloni

Giorgia Meloni si è fatta più cauta?

«Ancora nel 2016 diceva che tra Putin e Renzi fosse preferibile il primo».

 

Putin oggi è l'amico di cui vergognarsi?

«Era l'algoritmo per scardinare l'europeismo e porre le basi per la distruzione della democrazia liberale: il putinismo della destra è stato questo, una triangolazione tra un dittatore e i suoi utili idioti».

 

Perché scrive che i populisti sono i peggiori nemici dei giovani?

«La destra non si fa scrupoli nell'aumentare il debito pubblico, l'attenzione principale è rivolta ai pensionati, le proposte più importanti della destra sono figlie di quota 100. Dopodiché i giovani si sono vaccinati più di tutti».

 

Come lo spiega?

 «Hanno capito da tempo che la politica ha un impatto sulle loro vite. E forse hanno iniziato a capire che i populisti non fanno né l'interesse del popolo né quello dei giovani».

 

Rino Formica dice che rischiamo di finire come in Ungheria.

SALVINI MELONI

«Vedo che Giorgia Meloni non si fa più vedere in giro con Orbán, Salvini sì. Lei in Europa sta con i conservatori polacchi, che vedono gli ungheresi come fumo negli occhi per la loro contiguità a Putin. Però sui diritti siamo sempre lì: Meloni la pensa come il premier ungherese».

 

Che farà Meloni una volta a palazzo Chigi?

«Potrà gestire il potere e dare un contentino al suo mondo. Oppure diventare la Tsipras di destra».

 

Cos' è più probabile?

claudio cerasa enrico letta festa del foglio

«La seconda. Meloni non è una marziana a Roma. Tutti la conoscono nei palazzi del potere, la chiamano per nome, Giorgia. E il suo essere romana non è più un tratto di debolezza. È un punto di forza. È un argine all'estremismo degli stessi barbari che si trovano nella sua coalizione».

 

Letta come lo vede?

«Ha le doti del cacciavite, però non gli occhi del vincitore. Più occhi del cuore, modello Boris, che occhi di tigre. Gli manca la cazzimma».

 

Quando è diventato direttore scrisse: "Il mio Foglio tiferà sempre per Renzi e Berlusconi. La coppia più bella del mondo". Lo pensa ancora?

«All'epoca ne ero convinto. Non era un inciucio, ma un compromesso. Una caratteristica che è diventata il filo conduttore necessario nell'Italia di questi anni. L'Italia è così: compromesso contro l'estremismo. Meglio il primo che il secondo, no?».

 

Quando ha scritto il primo pezzo?

donald trump arriva all ufficio del procuratore generale di new york

«A 14 anni. Per il giornale della Provincia di Palermo. Un articolo su un paesino dove andavo d'estate con i miei genitori, Chiusa Sclafani. Lo buttai giù con la macchina da scrivere. Venne titolato così: "Un paese dove si piantano patate e crescono musicisti"».

 

Quando è entrato in un giornale?

«All'Università realizzai Comuniversity, un magazine patinato totalmente autofinanziato. A vent' anni collaborai con Radio Capital e La Gazzetta dello sport. Per la rosea mi occupavo, per le pagine romane, delle primavere di Roma e Lazio, seguivo il calcio a 5, il nuoto, il canottaggio».

 

Il primo scoop?

«Un giorno, prima di un Roma-Lazio, scovai Roberto Mancini, all'epoca allenatore dei biancocelesti, che giocava al calciotto al circolo Due Ponti. Lo rincorsi, gli feci delle domande sulle formazioni, incredibilmente mi rispose. Il pezzo finì in prima pagina».

 

Com' è arrivato al Foglio?

salvini putin conte

«Grazie a Giuseppe Sottile che mi offrì uno stage nel 2005. La Gazzetta era lì lì per assumermi, ma io non me la sentivo di fare solo il giornalista sportivo per tutta la vita».

 

Che mito professionale aveva?

«Vittorio Zucconi. Ritagliavo i suoi pezzi, li studiavo e li riscrivevo».

 

E perché è diventato giornalista?

«Mio padre, Giuseppe Cerasa, è stato caporedattore a Repubblica. Da bambino mi portava alle sue riunioni di redazione. Mi mettevo in un angolino e prendevo appunti. Ho respirato giornalismo da sempre».

 

Che educazione ha avuto per diventare direttore del Foglio a 32 anni?

«Più che un'educazione, ho avuto un grande direttore come Giuliano Ferrara. Un privilegio unico».

 

Che doti deve avere un direttore?

claudio cerasa enrico letta festa del foglio

 «Essere appassionato. Fare un passo sopra la superficie delle notizie. Indicare una direzione. Dare il buon esempio. Non aver paura delle proprie idee. Investire sulle ossessioni dei colleghi. Sperimentare. E trattare il suo giornale come se fosse parte della sua famiglia».

 

A un giovane che vuol fare il giornalista cosa consiglia?

«Di essere curioso. Senza curiosità, per i giornali, non esiste futuro».

claudio cerasa foto di baccoclaudio cerasaMATTEO SALVINI E PUTINclaudio cerasa

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