“NON FAREMO LA FINE DI ROMEO E GIULIETTA” – SALVINI E LA MELONI FANNO FINTA DI ANDARE D’AMORE E D’ACCORDO A VERONA ALLA REUNION ORGANIZZATA DAL SINDACO USCENTE, FEDERICO SBOARINA – LA PARTITA DELLE AMMINISTRATIVE SARÀ UNO SPARTIACQUE PER LA COALIZIONE: FRATELLI D’ITALIA PUNTA A PRENDERE PIU VOTI DEL CARROCCIO (QUASI) OVUNQUE, PER STABILIRE I NUOVI PESI NELL’ALLEANZA. E SE IL “CAPITONE” SCENDE SOTTO IL 15% AL NORD, RISCHIA DI FINIRE AI GIARDINETTI…

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1 - LA SFIDA MELONI-SALVINI: INSIEME PER VERONA MA DIVISI NEL NORD ITALIA

Andrea Bulleri per “il Messaggero”

 

matteo salvini federico sboarina giorgia meloni luca zaia matteo salvini federico sboarina giorgia meloni luca zaia

L'artefice della reunion pare sia stato il sindaco Federico Sboarina. Riuscito in un'impresa in cui da sei mesi a questa parte nessuno aveva avuto successo: riportare sullo stesso palco e far abbracciare Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Tra cui - racconta chi è vicino ai due leader del centrodestra - il gelo non si è più diradato dopo la rielezione al Colle di Sergio Mattarella.

 

Ieri sera riuniti a Verona in vista del voto per le comunali, oggi di nuovo ognuno per la sua strada: a Cuneo e Alessandria il primo, a L'Aquila la seconda, attesa in quello che definisce «un luogo del cuore» per chiudere la campagna elettorale di Pierluigi Biondi.

Eccoli, sul palco di piazza dei Signori, il capo della Lega e la leader di Fratelli d'Italia, insieme per tirare la volata al primo cittadino uscente Sboarina, ricandidato contro Damiano Tommasi del centrosinistra e Flavio Tosi, sostenuto invece da Forza Italia. Matteo e Giorgia sfoggiano sorrisi, si danno pacche sulle spalle, lui la cinge sulle spalle: «Garantisco che non faremo la fine di Romeo e Giulietta», scherza lei; «ecco il centrodestra unito», esulta invece Sboarina».

 

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Ma quale sia davvero il clima che regna tra le due aspiranti punte dei conservatori italiani lo confida fuor di microfono un senatore di Fratelli d'Italia.

 

«Non si sentivano dal 29 gennaio: non un bell'inizio per chi aspira a governare insieme il Paese». Che tra i due ci sia competizione non è un mistero. Soprattutto, di recente, al nord. Ma tra i meloniani è diffusa l'opinione che la sfida lanciata da FdI per affermarsi come primo partito nelle città un tempo feudo della Lega (da Alessandria a Como, da Padova alla stessa Verona), stia mandando in paranoia l'ex ministro dell'Interno.

«Salvini ormai pensa più a superare la Meloni che a battere il Pd», la battuta che circola in casa FdI.

 

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Perché se da mesi il partito di Giorgia è in testa nei sondaggi, accreditato del 20-21 per cento, è solo con una benedizione dalle urne che la leader di centrodestra può aspirare a conquistare la premiership nel 2023.

 

LA PARTITA

Ecco perché Meloni punta ad arrivare prima sugli alleati. All'Aquila, dove per i sondaggi il sindaco uscente Biondi parte in vantaggio sull'avversaria del Pd Stefania Pezzopane. «Da qui nel 2017 è iniziata una delle esperienze più belle della nostra storia», le parole della Meloni, certa che «i cittadini premieranno 5 anni di impegno, visione e capacità». Ma anche in Piemonte, Veneto e Lombardia, dove - guarda caso - l'anno prossimo si vota per le regionali. E c'è chi lancia una previsione: se FdI riuscisse a scalzare la Lega perfino nei comuni lombardi, Giorgia potrebbe essere tentata di scaricare il governatore leghista Attilio Fontana e rivendicare per uno dei suoi la candidatura al Pirellone.

 

salvini meloni e zaia insieme per sboarina salvini meloni e zaia insieme per sboarina

Proprio per questo la sfida è decisiva anche per Salvini. Il leghista domani si gioca (quasi) tutto. A cominciare dalla veste di candidato premier credibile alle politiche l'anno prossimo, ruolo a cui non pare aver rinunciato. «Il leader del centrodestra? Lo farà chi prende più voti alle urne», ha mostrato sicurezza ieri l'ex ministro dell'Interno.

 

«Con Fratelli d'Italia nessuna divisione - ha aggiunto - i nostri elettori ci chiedono unità, e io lavoro per unire. Non ho tempo da perdere in beghe interne e litigi», ha concluso, ricordando che lui e Meloni corrono separati in soli «15 comuni su 900».

 

luca zaia matteo salvini massimiliano fedriga attilio fontana luca zaia matteo salvini massimiliano fedriga attilio fontana

Ma la voce che circola in via Bellerio è un'altra. Perché se il calo dei consensi al sud viene ormai quasi accettato come inevitabile, al Nord la situazione cambia. «Se la Lega fa meno del 15 per cento da Parma in su, per Salvini si pone un problema», ragiona un deputato vicino ai governatori del Veneto Luca Zaia e del Friuli Massimiliano Fedriga. Governatori che, già irritati dalla querelle sul viaggio a Mosca del Capitano, in caso di crollo potrebbero essere tentati dal suggerire una nuova leadership per il Carroccio.

 

«Non esiste alcun partito dei governatori - smentisce Claudio Borghi, vicino al capo leghista e candidato al consiglio comunale di Como - Vorrei vedere quanti voti prenderebbero, senza Salvini...». Asticelle da superare per la Lega, secondo Borghi, non ce ne sono: «Bisogna tener conto delle liste civiche che tolgono consensi al partito». E sul testa a testa con Meloni punzecchia: «A Como la Lega ha rinunciato a ricandidare il proprio sindaco uscente in favore di Fratelli d'Italia. A volte, per stare insieme, bisogna saper fare un passo indietro...».

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LE CITTÀ

Passi indietro che Giorgia non sembra aver alcuna intenzione di compiere. Anzi: l'obiettivo è sbancare in tutto il nord, invertendo i rapporti di forza. Ad Alessandria, dove FdI alle comunali del 2017 si era fermata all'1,5 per cento contro il 13 della Lega (e dove non a caso Salvini chiuderà il suo tour). A Verona, dove Meloni parte dal 2,7; a Padova (2% alle scorse comunali) e Como (4% contro il 10 della Lega).

 

 Infine c'è il match dell'Aquila, dove però - almeno secondo i sondaggi - si gioca in casa. Il partito di Meloni parte da una quasi parità con la Lega (5,8 contro 6,7), ma il candidato Pierluigi Biondi di FdI è accreditato del 40 per cento dei consensi. Forse potrebbe farcela già al primo turno. Offrendo a Giorgia un assist non da poco, nella sua lunga corsa verso il 2023.

 

damiano tommasi foto di bacco damiano tommasi foto di bacco

2 - MELONI-SALVINI, L'ABBRACCIO DI VERONA: «NON FINIRÀ COME GIULIETTA E ROMEO»

Marco Cremonesi per il “Corriere della Sera”

 

Curioso che il tributo di Matteo Salvini alle donne che «si conquistano il loro ruolo» arrivi proprio mentre, a Verona, è sul palco con Giorgia Meloni: «Ormai ormai siamo noi il sesso debole - constata il segretario leghista - si vede da chi gestisce il quattrino e da chi gestisce il telecomando».

 

Lei sta al gioco. Anzi rilancia e il siparietto prosegue: «Ma non preoccupatevi, non finiremo come Romeo e Giulietta». E il leader leghista, ancora: «Anche perché tutti e due a casa abbiamo qualcuno che ci aspetta». Il comizio comune dei due leader non è mai comune, non è roba di tutti i giorni, il gioco delle leadership resta delicato e lo psicodramma è sempre un po' in agguato.

 

Il riconoscimento del segretario leghista a Meloni è un gioco, ma la stessa presidente dei Fratelli d'Italia dimostra di non mancare di auto ironia. E se dal pubblico qualcuno le grida «bella», lei ribatte subito: «Bravo, grazie! Mi dicono sempre brava, bella mi capita più di rado». Ma l'umore è eccellente, all'applauso che la accoglie risponde persino con qualche passo di danza.

 

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L'uscita comune veronese, chiesta da Salvini, è stata annunciata soltanto un paio di giorni fa. I maliziosi sostengono che la possibilità di un palco con Meloni e Luca Zaia senza la presenza del leader leghista avrebbe infastidito gli uomini del segretario. Zaia, peraltro, è dogale. E invita la piazza ad applaudire «i nostri ospiti».

 

Una partita cruciale, quella di Verona. Complicata, per il centrodestra, non soltanto dal fatto che il candidato (di «campo largo») del centrosinistra Damiano Tommasi, ex campione di calcio che sa parlare, e bene, ai cattolici.

giancarlo giorgetti giorgia meloni matteo salvini giancarlo giorgetti giorgia meloni matteo salvini

 

C'è anche il fatto che qui il centrodestra è diviso. Non sarebbe una gran notizia, non fosse che a Verona, città che si vuole tradizionalmente di destra, il competitor dell'uscente Federico Sboarina è Flavio Tosi, già sindaco leghista oggi candidato civico sostenuto anche da Forza Italia. I leghisti prima han fatto resistenza, poi si sono arresi.

 

Per amor di coalizione, come Salvini spesso ripete, nonostante il passaggio del sindaco con Fratelli d'Italia in corso di mandato.

 

Insomma, il centrodestra - dal palco su questo tasto battono tutti - è quello a sostegno di Sboarina. Meloni lo dice così: «Un solo voto sconfigge la sinistra, quello per Sboarina». E non ha paura a guardare indietro alla sua sfida persa per Roma: «Mi sono candidata a sindaco di Roma, ma c'era un candidato di centrodestra che non era di centrodestra». Parla di Alfio Marchini: «Lo davano al 20%, ha preso solo il 10. Non fatevi dire bugie dai sondaggi».

 

Dettaglio importante, l'uscente è sostenuto anche dai centristi. Sul palco ci sono Maurizio Lupi, leader di Noi con l'Italia, e Luigi Brugnaro, sindaco di Venezia e fondatore di Coraggio Italia.

MEME GIORGIA MELONI MATTEO SALVINI CURLING MEME GIORGIA MELONI MATTEO SALVINI CURLING

 

Licia Ronzulli, plenipotenziaria di Silvio Berlusconi, spiega la scelta azzurra così: «Abbiamo ascoltato il territorio, per il bene della città». Beninteso: «Non c'è alcun dubbio che il centrodestra, qualora Flavio Tosi non riuscisse a vincere al primo turno, si ricompatterà al ballottaggio». Insomma, l'unità non sempre raggiunta oggi arriverà. Lo dice Salvini («Nel 2023 governeremo insieme il Paese»), lo dice Meloni, che non rinuncia a pungere: «Perché una coalizione sia competitiva ha bisogno di regole. È quello che ho chiesto, ma sono certa che dopo le esperienze passate in alleanze variabili con altri partiti, anche gli altri non abbiano più dubbi».

salvini meloni salvini meloni

 

Ma per parte leghista, l'offensiva del giorno è stata quella sui referendum poco pubblicizzati da media e servizio pubblico. Inizia Matteo Salvini, con uno strattone doppio e deciso a Sergio Mattarella e a Mario Draghi: «Quirinale e Chigi, niente da dire sui referendum sulla giustizia?». Il grilletto fa partire la raffica: ogni leghista segue il leader con propria nota, a partire dai vicesegretari Lorenzo Fontana e Andrea Crippa: tutti chiamando in causa capo dello Stato e premier.

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