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SENATO? SEMORTO! - TRA PROTESTE E CITAZIONI: SHOW A PALAZZO MADAMA DI CALDEROLI CHE ESIBISCE UNA BOCCETTA DI OLIO DI RICINO E INDIVIDUA IN GELLI IL PADRE DELLA NUOVA COSTITUZIONE, SCILIPOTI SVENTOLA UN FOGLIO CON SCRITTO "2011", “L’ANNO DEL COLPO DI STATO”

BOSCHI SENATOBOSCHI SENATO

Mattia Feltri per “la Stampa”

 

Doveva essere un pomeriggio solenne e non si ha idea di quali solennità sono state pronunciate in celebrazione della Carta che, stretta fra mille istituzioni extranazionali, conta sempre meno e viene buona giusto per essere sventolata, come la sventolavano ieri i leghisti abbandonando l’aula del Senato, e come la sventolavano a sinistra, con Oscar Luigi Scalfaro, contro le riforme leghiste di un decennio fa.

 

Non è più nemmeno democrazia dell’alternanza ma un incontro di football americano, in cui un tempo è dedicato alla fase d’attacco e l’altro alla fase di difesa. Fase, quest’ultima, impegnata ieri da Roberto Calderoli per la propaganda più pigra, la stessa usata a suo tempo per dichiarare stessa usata a suo tempo per dichiarare liberticida e dittatoriale il progetto di monocameralismo votato dal centrodestra.

 

NAPOLITANO SENATONAPOLITANO SENATO

Dove c’era scritto sì mettete no e dove c’era scritto no mettete sì: ecco Calderoli individuare non tanto in Giorgio Napolitano ma in Licio Gelli il padre della nuova Costituzione, ed eccolo esibire ai colleghi la boccetta di olio di ricino. Lì i leghisti hanno lasciato l’aula, proprio come i cinque stelle e i forzisti quando toccava parlare a Napolitano, e la solennità è del senatore Scilipoti che ha ritenuto di offrire servizio alla democrazia sventolando un foglio con sopra scritto «2011», cioè la data dell’inizio del golpe, quando Mario Monti prese il posto di Silvio Berlusconi, ultimo presidente del consiglio vincitore di elezioni.
 

SCILIPOTI SENATOSCILIPOTI SENATO

A proposito di Berlusconi: in una riunione precedente, infiammato da Augusto Minzolini, aveva incitato i suoi alla protesta poiché se lui era stato condannato a tre anni per un reato non commesso, almeno quattro ne avrebbe meritati l’ex presidente della Repubblica autore di colpo di Stato. Scilipoti ha preso tutto alla lettera. Ma non era nemmeno importante: l’assenza contemporanea di Lega, Forza Italia e Cinque stelle aveva piuttosto l’obiettivo di mostrare a Napolitano il fallimento del suo disegno di larghe intese, farne scenografia, e l’aula vuota per un terzo era abbastanza impressionante (peraltro lo era anche toccare con mano la pochezza cui è ridotta Forza Italia, almeno quanto a numeri).

 

Forse si poteva finire lì e invece no. C’era l’urgenza collettiva di lasciare agli atti parlamentari la precisazione, i motivi del voto in dissenso, il personalissimo angolo di visione, di modo che i posteri sappiano. E infatti i posteri sapranno che il capogruppo berlusconiano Paolo Romani, un anno fa entusiasta delle riforme, oggi disgustato, ha avvertito i traditori del mandato parlamentare che un giorno dovranno «rispondere alla propria coscienza» (ma c’è chi preferisce rispondere a Berlusconi).

 

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E sapranno che il capogruppo renziano, Luigi Zanda, si è spiritualmente elevato sino all’elogio del governo in carica grazie al quale «il debito pubblico ha iniziato a scendere, scende il deficit, scende anche la disoccupazione»; e senza riforme, ha aggiunto, si fa la fine della Grecia o peggio, il che probabilmente è vero, ma chissà se la sede e il momento erano i migliori per ricordare che le riforme sono particolarmente gradite a Berlino.
 

Del resto non si possono avere troppe pretese, per Zanda la solennità era tale da ricordare con rammarico l’ostruzionismo delle opposizioni, e quanto sarebbe stato bello discutere nel merito, ambizione peraltro condivisa da ogni gruppo e chissà perché del merito non ha parlato mai nessuno. E poi anche noialtri che scriviamo siamo incontentabili perché l’interpretazione di solennità data da Gaetano Quagliariello, alfaniano, che per illustrare i meriti spaziali del suo gruppo ha citato Antonio Gramsci sulla guerra di posizione del rivoluzionario «che avanza di casamatta in casamatta», ci ha consegnato un effetto leggermente ridondante.

 

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Abbiamo un po’ trascurato i Cinque stelle, che a Gramsci hanno preferito Ivano Fossati («cara democrazia, ritornerai presto a casa e non sarà tardi»), ma temiamo il giudizio dei posteri, quando valuteranno il contributo alle riforme dei cantautori genovesi.

 

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