"LE URLA DI DJOKOVIC? AVEVA PAURA. FISICAMENTE STAVO BENE, FORSE MEGLIO DI LUI. SE LO PORTAVO AL QUINTO SET…" – BERRETTINI SI RAMMARICA PER LA PAUSA LEGATA AL COPRIFUOCO: "QUELLA SOSTA HA FATTO GIRARE ANCORA LA PARTITA. UN PO’ MI RODE” – LUI E’ IL MIGLIORE TENNISTA ITALIANO MA SI PARLA SOLO DI SINNER E MUSETTI: "CAPISCO CHE CI SIA TUTTO QUESTO CLAMORE INTORNO A LORO. MA AMMETTO CHE CERTE VOLTE ME LA PRENDO UN PO’" – VIDEO

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Marco Imarisio per corriere.it

 

Matteo Berrettini, la rigiochiamo?

«Se lo portavo al quinto set, si navigava in mare aperto. Non posso dire che sarei stato favorito. Contro Djokovic non lo sei mai. Ma fisicamente stavo bene, forse meglio di lui».

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Si sente danneggiato dalla pausa dovuta al coprifuoco che ha interrotto il match?

«Non mi ha fatto bene, questo è certo. Mi ha tolto qualcosa. Prima dell’interruzione, l’inerzia del match era cambiata a mio favore. Al rientro, ero un po’ bloccato con le gambe e ho avuto

 

Cosa è cambiato?

«Il tennis vive di momenti. Quella sosta ha fatto girare ancora la partita. Potevo vincerla. Da un lato mi fa piacere, dall’altro mi rode».

A che cosa pensa un giocatore sotto due set a zero contro il numero uno del mondo?

«Stai attaccato al servizio. Non importa il resto, ma tieni la battuta. Così lui deve fare ancora più attenzione nei suoi turni di battuta e comincia a sentire la pressione, come in effetti è avvenuto. Sono risalito così».

 

Si aspettava che Djokovic desse di matto?

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«Sinceramente, no. Comunque mi ha fatto piacere. Significa che ha sentito paura. E sono stato io a mettergliela addosso. Si era reso conto che stava rischiando grosso. Urlando così si è liberato dalla tensione. Il fatto che non ci fosse pubblico e si giocasse nel silenzio ha amplificato l’effetto».

Come si ricomincia ogni volta?

«Prendendo il buono di ogni esperienza. La partita con Novak dimostra che il livello per puntare ancora più in alto c’è. Lui ha disputato più di cinquanta quarti di finale in uno Slam. Io, appena due. Mentre parliamo, sono sul treno che da Parigi mi porta a Londra, dove da oggi comincio la preparazione per Wimbledon. C’è sempre un altro torneo, c’è sempre un’altra possibilità».

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Chi vince tra Djokovic e Nadal?

«Nadal è favorito. Ma Novak tira sempre fuori qualcosa di extra, sembra avere risorse sovrumane. Proprio per questo la finale dell’anno scorso mi ha sorpreso. Non per il risultato, ma per la facilità con cui Rafa ha vinto. Secondo me questa volta sarà una battaglia».

 

Perché si parla così tanto di Sinner e di Musetti e così poco di lei?

«Ho fatto un percorso diverso. Non sono mai stato un predestinato. A 18 anni ero ancora molto indietro. Quindi capisco che ci sia tutto questo clamore intorno a loro. Sono ancora più giovani di me, fanno impressione».

 

Le dà fastidio questa disparità di trattamento?

«Per me rappresenta uno stimolo ulteriore. Una sana competizione, per non farmi superare da loro. Ammetto che certe volte me la prendo un po’. Non solo per me. Vedo quello che fa Lorenzo Sonego, e tutti gli altri nostri giocatori, per fortuna ne abbiamo molti, e sembra quasi che non conti nulla. Ma che posso farci, funziona in questo modo, così va la vita».

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Quanto conta per lei essere il più forte giocatore italiano?

«Mi rende orgoglioso. So chi sono, so che sono partito da lontano, costruendomi pezzo per pezzo. Per me è importante sentire la fiducia delle persone che mi stanno intorno, e quella per fortuna non manca. Credo che pure la mia sia una bella storia, anche se non sono entrato nei top 100 a 19 anni, e a quell’età cercavo di farmi strada giocando piccoli tornei in località sperdute dell’Egitto o della Grecia».

 

AJLA TOMLJANOVIC e BERRETTINI 8 AJLA TOMLJANOVIC e BERRETTINI 8

Lo Slam che sogna di vincere?

«Wimbledon. Ma non è che se vinco Parigi, o New York mi dispiace, sia chiaro. Mi accontenterei volentieri...»

 

L’avversario peggiore?

«Nadal sulla terra del Roland Garros. Ma anche Djokovic sul cemento non è una esperienza che consiglio. Per le sue caratteristiche, iniziando dalla risposta al servizio, Novak è il giocatore che mi dà più fastidio».

Dove vorrebbe giocare la partita della vita?

«Su un campo veloce, non velocissimo. La terra di Madrid in altura quest’anno mi è piaciuta parecchio. Oppure il cemento americano».

 

Ci siamo quasi?

«Manca ancora un pezzettino. Devo imparare a tenere alti i giri del motore, continuando a investire su me stesso. Quei mostri non sono eterni. Bisogna farsi trovare pronti. E comunque vada, mai smettere di crederci».

 

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