TANTO RUMORE PER NULLA? - LA VIROLOGA ILARIA CAPUA: “IL CORONAVIRUS? NON BISOGNA FARSI PRENDERE DAL PANICO. AD OGGI È UN'INFEZIONE RESPIRATORIA DI LIEVE O MEDIA ENTITÀ E SOLO IN ALCUNI CASI PUÒ DIVENTARE DAVVERO GRAVE. IL VACCINO? NON PRIMA DI SEI MESI. ORA CHE IL VIRUS È STATO ISOLATO SARÀ, COMUNQUE, PIÙ FACILE TRATTARLO E BLOCCARE LA DIFFUSIONE…”

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Carla Massi per “il Messaggero”

 

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«Profondamente diversa» c'è scritto nel profilo Whatsapp della virologa Ilaria Capua. E profondamente diversa è la ricercatrice romana prima in Italia a lavorare sulla sequenza genica del virus dell'aviaria, poi per tre anni in Parlamento poi negli Stati Uniti dove dirige il Centro di eccellenza dedicato alla One Health dell'Università della Florida. Ha dovuto lasciare l'Italia nel 2016 perché coinvolta e poi prosciolta da tutti i capi d'accusa in un'inchiesta sul traffico di virus. Dagli Stati Uniti plaude il traguardo raggiunto all'Istituto Spallanzani di Roma e, ovviamente, segue passo passo la diffusione dell'epidemia del Coronavirus 2019-nCov.

 

Nel team dei ricercatori che hanno isolato il virus c'è anche Francesca Colavita trentenne precaria. Non è un caso raro, vero?

«In Italia sicuramente no. Nei laboratori non si contano i giovani, e meno giovani, che stanno lì a lavorare con contratti precari. Spesso senza alcuna certezza. E, purtroppo, nessuno si domanda perché».

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Che vuol dire?

«Nessuno si chiede, per esempio, chi glielo fa fare?. Se fosse fatta questa domanda si scoprirebbe che si tratta di persone appassionate. Direi ispirate. Non si lavora nella scienza per ripiego o perché non si aveva altro da fare. E allora, perché non pensare a loro come una risorsa?».

 

Lei dice che «se vince la scienza vinciamo tutti»...

«Già, ma in Italia lo pensiamo solo noi che alla scienza abbiamo dedicato la nostra vita».

 

La ricerca da noi costringe ancora a fuggire?

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«È sottofinanziata e la divisione dei fondi non è sempre assegnata in modo meritocratico. Basterebbe copiare gli altri Paesi europei, mettere il naso fuori casa, per copiare e fare come loro. Aprirsi davvero».

 

Pensa ad un mondo scientifico italiano chiuso?

«La scienza è mondiale. Il mio gruppo non è formato solo da americani ma da ricercatori di ogni parte del pianeta. In Italia ha mai visto a capo di un team qualcuno che non sia nato nel nostro Paese? Tutto è ingessato, la flessibilità non esiste. Per non parlare della parità tra uomo e donna. La diversità è solo ricchezza. Ma non lo si vuole capire».

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Parla di parità di genere?

«Tante donne sono nei laboratori ma quante, nel mio Paese, arrivano ai livelli apicali?»

 

Siamo ancora in questa situazione?

«La prova è che vivo e faccio ricerca in America»

 

Eppure, fuori dai nostri confini, tutti dicono che i ricercatori italiani sono molto bravi...

«Lo dico pure io ma questo non significa che si deve andare avanti così. Non mettendo mai la scienza tra le priorità. Fino al giorno in cui scoppia l'orgoglio nazionale. Certi che nei laboratori c'è sempre qualcuno che, per passione, lavora giorno e notte».

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I precari, per esempio?

«Appunto. Precari o no dietro l'isolamento di un virus, per esempio, c'è tanto tanto lavoro. Ma l'Italia non lo riconosce».

 

Quindi, dopo l'isolamento del virus, per lei non si è peccato di eccesso di trionfalismo?

«Assolutamente no. Il ricercatore italiano fatica, per mancanza di mezzi e troppa burocrazia, molto di più dei suoi colleghi europei. E quando raggiunge un traguardo va riconosciuto».

 

Torniamo al Coronavirus, per l'ipotesi vaccino si parla davvero di mesi?

«Credo proprio di sì. Non prima di sei mesi. Ora che il virus è stato isolato sarà, comunque, più facile trattarlo e bloccare la diffusione».

 

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Lei pensa che la mutazione dei virus sia inarrestabile?

«Stiamo parlando del quinto virus che, in meno di venti anni, ha acquisito la capacità di trasmettersi da uomo a uomo. Ha fatto il cosiddetto salto di specie. Dagli animali che lo ospitavano è diventato in grado di infettare gli umani».

 

Tre Coronavirus, giusto?

«Sì, ormai siamo abituati a queste emergenze. Che, per noi, ormai devono diventare una nuova normalità. Le mutazioni sono legate ai cambiamenti dell'ecosistema. Se l'ambiente viene stravolto il virus si trova di fronte a nuovi ospiti. Dobbiamo prepararci. Facendo ricerca, ovviamente».

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Scusi, ma lei ha paura del nuovo virus?

«No. Non bisogna farsi prendere dal panico. Ad oggi è un'infezione respiratoria di lieve o media entità e solo in alcuni casi può diventare davvero grave. Sono tranquilla».

 

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