draghi

“DRAGHI HA OLTREPASSATO IL LIMITE” – IL NUMERO 1 DELLA BUNDESBANK ATTACCA IL PRESIDENTE DELLA BCE. ECCO COSA C’E’ DIETRO LO SCONTRO TRA TRA BANCHIERI CENTRALI – 'SUPERMARIO' AVEVA INVITATO LA GERMANIA, PROBABILMENTE GIÀ IN RECESSIONE, A SPENDERE DI PIÙ PER INVESTIRE E AIUTARE COSÌ IL RESTO D'EUROPA. IL TEDESCO SA CHE IL SUO GOVERNO DEVE CAMBIARE STRADA (LO SOTTOSCRIVE NEI COMUNICATI DELLA BCE) MA NON OSA DIRLO IN PUBBLICO PERCHÉ…

Federico Fubini per il Corriere della Sera

MARIO DRAGHI JENS WEIDMANN

C' è un attimo della conferenza stampa di Mario Draghi l' altro ieri a Francoforte che spiega perché i rapporti con Jens Weidmann e Klaas Knot siano così tesi. Sono poche parole ma lasciano intendere che i dissapori fra il presidente della Banca centrale europea e i due, rispettivamente presidenti della Bundesbank e della Banca nazionale d' Olanda, non sono personali.

 

Non solo, per lo meno. Vanno anche al cuore dell' identità dell' area euro nei prossimi anni. Il problema è balenato a un cenno di Draghi l' altro ieri, quando l' italiano ha detto che le modifiche alla dichiarazione introduttiva della sua conferenza stampa erano state «concordate all' unanimità».

 

Fra queste ce n' è una che riguarda direttamente Germania e Olanda, i paesi di Weidmann e Knot. È il passaggio in cui la Bce afferma: «Visti i rischi e l' indebolirsi delle prospettive, i governi con margini di bilancio dovrebbero agire per tempo e con efficacia».

MARIO DRAGHI

 

In altri termini, la Banca centrale europea per la prima volta formalizza qualcosa che Draghi aveva già detto più volte: con i bilanci in surplus, un' enorme accumulazione di sempre nuovo risparmio, un costo sottozero dell' indebitamento e la crescita in frenata - la Germania è probabilmente già in recessione - per i governi di Berlino e dell' Aia è tempo di agire. Dovrebbero spendere di più per investire e aiutare così il resto d' Europa. Draghi ha risposto «decisamente sì» a chi gli chiedeva se il suo fosse un messaggio ai politici che «devono mettersi in gioco perché la Bce non correrà sempre al salvataggio».

 

L' italiano ha rivendicato con un filo di durezza il lavoro di questi anni, quasi sempre con i voti contrari di Weidmann: «Tutto ciò che vedete in Europa, la creazione di 11 milioni di posti di lavoro in breve tempo, la ripresa, la crescita sostenuta: tutto è stato largamente il prodotto della politica monetaria della Bce. C' è stato ben poco di altro».

 

Poi, appunto, la stoccata: stavolta l' invito ai governi di Germania e Olanda a cambiare rotta e investire di più è arrivato da Francoforte «all' unanimità», cioè anche con l' assenso di Weidmann e Knot.

 

mario draghi

Questa è la frase più spiazzante per il presidente della Bundesbank, perché lui in prima persona non ha mai preso posizioni del genere. Al contrario: benché i dati tedeschi dell' industria, dall' export e la fiducia delle imprese cadano sempre di più, per adesso Weidmann nel suo Paese sta dicendo il contrario.

 

Resta sulla sua linea ortodossa: il governo di Berlino non deve reagire alla frenata dell' economia e vale il freno costituzionale al debito, che rende qualunque stimolo di bilancio simile a un errore di arrotondamento (0,4% del prodotto lordo la spinta cumulata degli ultimi anni, secondo l' economista tedesco Christian Odendahl). Weidmann non ha mai trovato nulla da ridire sul fatto che dal 2009 in Francia gli investimenti in totale superino del 25% del prodotto lordo quelli della Germania (e ormai la produttività francese cresca di più).

weidmann schaeuble

 

Il messaggio di Draghi dunque dev' essere stato avvertito da Weidmann come un' accusa: ipocrisia e scarso coraggio.

 

Il tedesco sa che il suo governo deve cambiare strada - lo sottoscrive nei comunicati della Bce - ma non osa dirlo in pubblico perché per anni ha allenato l' opinione pubblica a un' altra verità. Qualcosa di simile deve avvertito anche Knot, che tra circa un anno dovrebbe lasciare Amsterdam per entrare a far parte dell' esecutivo Bce. Forse anche così si spiega la rivolta dei due ieri, simultanea e senza precedenti, lanciata solo ora che l' italiano non potrà restare a lungo a Francoforte per regolare i conti.

 

WEIDMANN

Dietro gli attriti personali, il cuore però è politico e riguarda il futuro dell' euro. Tassare sempre di più i depositi non investiti delle banche e intervenire in acquisto di titoli praticamente all' infinito - le ultime mosse di Draghi - sono scelte drastiche. Il presidente della Bce ha sottolineato che funzionano meglio in altri Paesi (pensa agli Stati Uniti) dove i bilanci pubblici hanno accompagnato «dai sei o sette anni» la ripresa. È un messaggio potente, recapitato all' incontro dei ministri finanziari in corso a Helsinki dove molti stanno mettendo sotto pressione la Germania proprio per lo stesso motivo (come prefigurato ieri dal «Corriere»).

 

draghi

L' invito implicito è a una cooperazione più stretta in futuro fra banca centrale e governi: la prima tiene i tassi a zero, i secondi possono approfittarne per lanciare progetti comuni d' investimento a debito su ambiente, ricerca, difesa, infrastrutture.

 

Non è questa l' ortodossia con cui la Bce era nata vent' anni fa. La sua indipendenza fu garantita con tale forza da somigliare, per anni, a un muro di incomunicabilità con i governi.

 

jens weidmann 2

Ma quello era un mondo senza rendimenti negativi (investitori che pagano i governi, pur di prestar loro denaro), senza un' inflazione sempre vicina a zero, senza guerre commerciali, senza debiti enormi e popolazioni che invecchiano in fretta. Il grado di cooperazione della Bce con i governi sarà il cuore della prossima presidenza, quella di Christine Lagarde. Quando gli hanno chiesto se credesse allo «helicopter money», la distribuzione di denaro ai cittadini, Draghi l' altro giorno ha risposto: «È un compito della politica di bilancio, non nostro».

 

jens weidmann 3weidmann osservatorio giovani editorianche jens weidmann ha i suoi momenti gordon gekkojens weidmann 4

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni ignazio la russa matteo salvini antonio tajani

DAGOREPORT – LE REGIONALI SONO ANDATE A FINIRE COME NON VOLEVA, SALTELLANDO FUNICULÌ-FUNICULÀ, GIORGIA MELONI: LA "STATISTA DELLA SGARBATELLA", CHE RISCHIA DI NON TORNARE A PALAZZO CHIGI TRA DUE ANNI, ACCELERA SULLA DOPPIETTA PREMIERATO-LEGGE ELETTORALE, MA NON TUTTO FILA LISCIO A PALAZZO CHIGI: SALVINI E TAJANI SPUTERANNO SANGUE PUR DI OPPORSI ALL’INDICAZIONE DEL NOME DEL PREMIER SULLA SCHEDA ELETTORALE, CHE FINIREBBE PER CANNIBALIZZARLI - LA LEGA È CONTRARISSIMA ANCHE AL PREMIO DI MAGGIORANZA ALLA COALIZIONE (CON LA SOGLIA AL 40%, LA LEGA DIVENTEREBBE SACRIFICABILE) – ALTRA ROGNA: IGNAZIO LA RUSSA SCENDE IN CAMPO IN MODALITÀ SCASSA-MELONI: HA RINFOCOLATO LA POLEMICA SU GAROFANI E SE NE FOTTE DEI DIKTAT DELLA DUCETTA (FIDANZA SINDACO DI MILANO? NO, MEJO LUPI; PRANDINI GOVERNATORE DELLA LOMBARDIA? NO, QUELLA È ROBA MIA)

francesco de tommasi marcello viola daniela santanche ignazio leonardo apache la russa davide lacerenza pazzali

DAGOREPORT - CHE FINE HANNO FATTO LE INCHIESTE MILANESI SULLA SANTANCHE', SUL VISPO FIGLIO DI LA RUSSA, SUL BORDELLO DELLA "GINTONERIA" AFFOLLATA DI POLITICI, IMPRENDITORI E MAGISTRATI, OPPURE SULL'OSCURA VENDITA DELLA QUOTA DI MPS DA PARTE DEL GOVERNO A CALTAGIRONE E COMPAGNI? - A TALI ESPLOSIVE INDAGINI, LE CUI SENTENZE DI CONDANNA AVREBBERO AVUTO UN IMMEDIATO E DEVASTANTE RIMBALZO NEI PALAZZI DEL POTERE ROMANO, ORA SI AGGIUNGE IL CASO DEL PM FRANCESCO DE TOMMASI, BOCCIATO DAL CONSIGLIO GIUDIZIARIO MILANESE PER “DIFETTO DEL PREREQUISITO DELL’EQUILIBRIO” NELL’INDAGINE SUL CASO DI ALESSIA PIFFERI – MA GUARDA IL CASO! DE TOMMASI È IL PM DELL’INCHIESTA SUI DOSSIERAGGI DELL’AGENZIA EQUALIZE DI ENRICO PAZZALI, DELICATISSIMA ANCHE PER I RAPPORTI DI PAZZALI CON VERTICI GDF, DIRIGENTI DEL PALAZZO DI GIUSTIZIA MILANESE E 007 DI ROMA - SE IL CSM SPOSASSE IL PARERE NEGATIVO DEL CONSIGLIO GIUDIZIARIO, LA CARRIERA DEL PM SAREBBE FINITA E LE SUE INDAGINI SUGLI SPIONI FINIREBBERO NEL CESTINO - LA PROCURA DI MILANO RETTA DA MARCELLO VIOLA, CON L'ARRIVO DELL'ARMATA BRANCA-MELONI, E' DIVENTATA IL NUOVO ''PORTO DELLE NEBBIE''?

giorgia meloni regionali de luca zaia salvini conte stefani decaro fico

DAGOREPORT: COME SI CAMBIA IN 5 ANNI - PER CAPIRE COME SIA ANDATA DAVVERO, OCCORRE ANALIZZARE I VOTI ASSOLUTI RIMEDIATI DAI PRINCIPALI PARTITI, RISPETTO ALLE REGIONALI DEL 2022 - LA LEGA HA BRUCIATO IL 52% DEI VOTI IN VENETO. NEL 2020 LISTA ZAIA E CARROCCIO AVEVANO OTTENUTO 1,2 MILIONI DI PREFERENZE, QUESTA VOLTA SOLO 607MILA. CONSIDERANDO LE TRE LE REGIONI AL VOTO, SALVINI HA PERSO 732MILA VOTI, IL 47% - TONFO ANCHE PER I 5STELLE: NEL TOTALE DELLE TRE REGIONI HANNO VISTO SFUMARE IL 34% DELLE PREFERENZE OTTENUTE 5 ANNI FA – IL PD TIENE (+8%), FORZA ITALIA IN FORTE CRESCITA (+28,3%), FDI FA BOOM (MA LA TENDENZA IN ASCESA SI È STOPPATA) – I DATI PUBBLICATI DA LUIGI MARATTIN....

luca zaia matteo salvini alberto stefani

DAGOREPORT – DOPO LA VITTORIA DEL CENTRODESTRA IN VENETO, SALVINI NON CITA QUASI MAI LUCA ZAIA NEL SUO DISCORSO - IL “DOGE” SFERZA VANNACCI (“IL GENERALE? IO HO FATTO L'OBIETTORE DI COSCIENZA”) E PROMETTE VENDETTA: “DA OGGI SONO RICANDIDABILE” – I RAS LEGHISTI IN LOMBARDIA S’AGITANO PER L’ACCORDO CON FRATELLI D’ITALIA PER CANDIDARE UN MELONIANO AL PIRELLONE NEL 2028 - RICICCIA CON PREPOTENZA LA “SCISSIONE” SUL MODELLO TEDESCO CDU-CSU: UN PARTITO “DEL TERRITORIO”, PRAGMATICO E MODERATO, E UNO NAZIONALE, ESTREMISTA E VANNACCIZZATO…

luca zaia roberto vannacci matteo salvini

NON HA VINTO SALVINI, HA STRAVINTO ZAIA – IL 36,38% DELLA LEGA IN VENETO È STATO TRAINATO DA OLTRE 200 MILA PREFERENZE PER IL “DOGE”. MA IL CARROCCIO DA SOLO NON AVREBBE COMUNQUE VINTO, COME INVECE CINQUE ANNI FA: ALLE PRECEDENTI REGIONALI LA LISTA ZAIA PRESE DA SOLA IL 44,57% E IL CARROCCIO IL 16,9% - SE SALVINI PIANGE, MELONI NON RIDE: NON È RIUSCITA A PRENDERE PIÙ VOTI DELLA LEGA IN VENETO E IN CAMPANIA È TALLONATA DA FORZA ITALIA (11,93-10,72%). PER SALVINI E TAJANI SARÀ DIFFICILE CONTRASTARE LA RIFORMA ELETTORALE - PER I RIFORMISTI DEL PD SARÀ DURA DARE UN CALCIO A ELLY SCHLEIN, AZZERATE LE AMBIZIONI DI GIUSEPPE CONTE COME CANDIDATO PREMIER - "LA STAMPA": "IL VOTO È LA RIVINCITA DELLA ‘LEGA NORD’ SU QUELLA SOVRANISTA E VANNACCIANA: LA SFIDA IDEOLOGICA DA DESTRA A MELONI NON FUNZIONA. IL PARTITO DEL NORD COSTRINGERÀ SALVINI AD ESSERE MENO ARRENDEVOLE SUI TAVOLI DELLE CANDIDATURE. SUL RESTO È LECITO AVERE DUBBI…”