SE I BRONZI DI RIACE NON VANNO A MILANO, DA MILANO SI PARTE PER ANDARE A VEDERLI A REGGIO CALABRIA - DIARIO DI UN VIAGGIO (A CARO PREZZO) TRA AEREI, SCALI E SORPRESE - IL RESTAURO DEL MUSEO ARCHEOLOGICO È TERMINATO MA SONO APERTE SOLO DUE SALE

gerald bruneau e la performance con i bronzi di riace 8gerald bruneau e la performance con i bronzi di riace 8

Enrico Arosio per “L’Espresso

 

Diciannove ore di viaggio per venti minuti di bellezza assoluta. Milano-Reggio Calabria in giornata, per vedere i famosi Bronzi di Riace. In aereo. Anzi, in quattro aerei. C’è tanta gente che ci pensa da una vita, ai Bronzi. Li ha sempre solo visti in televisione. Pareva che li portassero a Milano per l’Expo 2015.

 

Poi c’è stato tutto quel tira e molla. Il ministero dei Beni culturali ha deciso che non possono viaggiare, troppo rischioso. E in fondo con Milano e il tema Expo, l’alimentazione nel mondo, c’entrano poco. Non vengono su loro? Andiamo giù noi, da turisti. E “l’Espresso” si è messo nei panni di un turista.

 

Per dirlo subito: è stata una sfacchinata. Armarsi di buon umore e scarpe comode. Belli sono belli, i Bronzi. Emozionanti. Due eroi perfetti che la Calabria si è ritrovata in casa, prodigio della Grecia antica. Resti a bocca aperta davanti a quel metallo che sfavilla anche dopo duemilacinquecento anni. Lo splendore dei Bronzi è valso la fatica? Intanto raccontiamo com’è andata, ora per ora, da prima dell’alba a mezzanotte e passa.

gerald bruneau e la performance con i bronzi di riace 7gerald bruneau e la performance con i bronzi di riace 7

 

Prima scoperta: per andare e tornare in giornata, tra Milano e Reggio, c’è solo Alitalia (Blue Panorama avrebbe un volo diretto, ma in orari che ti costringono a pernottare). Secondo: devi far scalo a Fiumicino, due volte, e svegliarti prima dell’alba. Terzo: ti fanno scucire 326 euro. Con quella somma si va tranquillamente a Londra. (Ma a Londra, niente Bronzi).

 

Milano, esterno notte. Sveglia alle 5.20, l’ora in cui Dracula va a dormire. Per essere a Linate alle 6.20 (il volo è alle 7.20) non puoi contare sui mezzi pubblici. E il metrò M4 è di là da venire. Si deve prendere la macchina e lasciarla al parking: 26 euro la giornata.

 

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A Linate niente code, per fortuna. E l’Alitalia, se non altro, è puntuale. Zero ritardo anche a Fiumicino. A Reggio siamo arrivati in orario, alle 10.50. L’atterraggio può fare un po’ impressione. A destra c’è il mare, a sinistra case su case, fino a pochi secondi prima di toccare. Dov’è la pista, in mezzo alla città? Quasi. Periferia sud. Gli Arrivi sono piccolissimi, una casa di bambole. Dietro all’unico nastro bagagli, un grande manifesto di uno sciatore sui pendii innevati del Pollino: “Gira e rigira la Calabria ti stupisce anche d’inverno”. Uscendo, altro che i boschi dell’Aspromonte: un boschetto di bandiere della Uil Trasporti, un picchetto, un anziano e la scritta “Dipendenti senza stipendio da 5 mesi”.

 

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L’aeroportino è così simpatico, così di quartiere che non siamo stati ad aspettare l’autobus. Siamo andati al taxi. Dov’è il primo della fila? All’altezza del terzo si è fatto incontro un cristone in giubbotto nero. «Prenda quello». Il terzo? «Quello, sì». Fidiamoci, quest’uomo se ne intende. Al volante della Peugeot, una donna in giacchetta viola, unghie lunghissime rosso fiamma. «Al Museo Archeologico per favore». È salito anche il tizio, si è messo davanti. I due hanno preso a parlare in dialetto.

 

Tassametro spento. Nel quarto d’ora di tragitto hanno ridacchiato, parlavano di «Scopelliti che va in giro ancora con la scorta». Trattasi di Giuseppe Scopelliti, fino ad aprile scorso presidente della Regione, condannato a sei anni per questioni di bilancio. Il cristone lamentava mal di testa. Ha detto «C’è scirocco. Mi toglie il sonno», e siamo arrivati. La corsa è costata 30 euro. Però.

 

Ore 11.30, Museo Archeologico. È un palazzone di marmo chiaro, largo. Dell’architetto Piacentini, che era il preferito del Duce. Tutto ripulito, restaurato. Chi ha letto i giornali sa che in gran parte è ancora chiuso, chi si è distratto potrebbe anche ignorarlo. Ma quant’e grande questa gran parte chiusa? La cassa è un isolotto con libri, cataloghi, souvenir in mezzo all’atrio enorme e vuoto. Al posto del naufrago,una signorina con gli occhiali.

 

giuseppe falcomatagiuseppe falcomata

In bella vista c’è un libro di Vittorio Sgarbi, “Nel nome del figlio”, offerto a 10 euro invece che a 24. Sgarbi era tra quelli che volevano mandare i Bronzi a Milano per l’Expo. L’ingresso è a 5 euro, riduzione. Perché, spiega la signorina, sono aperte solo due sale, la prima e quella dei Bronzi. Solo due sale, su tre piani di Museo? «Per ora sì». E quando riapre davvero? Lei, con l’aria di chi lo ripete per la millesima volta: «Noi non lo sappiamo, siamo un servizio esterno. Il restauro è finito, manca solo l’allestimento».

 

E ora veniamo al dunque. La prima sala, a sinistra, ha: l’Acrolito di Apollo (una testa del V secolo); il Kouros di Reggio, una bella piccola statua in marmo di Paros con le braccia mozzate; un cavaliere di terracotta proveniente da un tempio di Locri Epizefiri; due altri meravigliosi dioscuri a cavallo con tritoni (ho segnato tutto). Sono pezzi di grande pregio. Ma si contano sulle dita di una mano. In fondo - chissà perché - c’è un arazzo fiammingo del Museo Diocesano di Gerace, restaurato nel 2011. Fine.

 

Roberto Maroni Giancarlo GiorgettiRoberto Maroni Giancarlo Giorgetti

Due svizzeri vagavano smarriti. Due altri borbottavano in spagnolo. Dopo cinque minuti eravamo in cinque davanti alla seconda sala (delle due). Un usciere annoiato che parlava solo italiano ci ha fatti aspettare seduti. C’era un video sulle varie fasi del restauro e sul trasferimento dei Bronzi, prima a Palazzo Campanella, sede del Consiglio regionale, poi qui all’Archeologico, da dicembre scorso. Molti dettagli tecnici: scannerizzazione, gammagrafia, telecamera endoscopica. Agli svizzeri il custode ha detto: «Un attimino e vi faccio entrare, eh? Tre minuti». È per far decantare le polveri. Poi siamo entrati insieme. «State venti minuti, eh? Venti minuti».

 

I Bronzi, va detto e ripetuto, sono fantastici. Sembra di conoscerli da sempre. Il metallo è pulito e lucente. Sono alti due metri, ma poggiano su una base in marmo antisismica, è come se fossero lievemente ingigantiti rispetto alla nostra stazza di umani. Le spalle, gli occhi bianchi, i muscoli, il portamento: sono due eroi riapparsi dal nulla, incutono rispetto. Irradiano una forza. Ci si gira attorno in silenzio. Gli spagnoli si fanno i selfie, gli svizzeri no.

ROBERTO MARONI ROBERTO MARONI

 

Ma intorno? Sui muri bianchi devono aver usato idropittura da appartamento anziché uno smalto lavabile: fino a un metro d’altezza sono pieni di segnacci neri, di scarpate. Dopo così poco tempo! Se hanno fatto i lavori così (32 milioni, pare, per l’Archeologico), ci vorrà un altro milione per gli imbianchini. Oh, ecco i due pannelli che illustrano il restauro e le basi antisismiche: il linguaggio è difficile, bisognerebbe essere ingegneri, o almeno archeologi. E il turista, poveretto? Non c’è scritto chi sono i Bronzi, dove li hanno trovati, la cornice storica, il contesto dell’arte greca. Oltre ai due è esposta solo una piccola testa in bronzo (detta di Basilea); l’altra (detta del Filosofo) non c’è, perché è in prestito ad Atene.

 

Dentro si può stare 20 minuti. Come al Cenacolo di Leonardo a Milano. Qui però nessuno controlla, si può stare anche mezz’ora. Entrati in cinque, alla fine siamo in nove. Per uscire dalle porte automatiche bisogna chiedere all’altro custode. Ahi, si è assopito sulla sedia. Va svegliato con delicatezza, anche a nome degli svizzeri, imbarazzati. Sono così colpiti dai Bronzi che non osano dir niente. Il custode aziona il telecomando.

 

SCOPELLITI SCOPELLITI

È durata 35 minuti in tutto la visita al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria: per sei sculture, un arazzo della Diocesi, e i Bronzi. I tre piani restanti, vuoti, inaccessibili. Dicono che ci vengono 4 mila visitatori al mese. Sarà. Di sicuro questo era un martedì fiacco. Prima dell’uscita, in un corridoio, c’erano quindici quadri moderni sul tema dei due eroi. Uno era un fotomontaggio, i Bronzi giganti al posto delle Twin Towers. Un usciere, interpellato: «Il Museo aprirà, all’80 per cento, entro l’estate 2015». Entro l’Expo? «Così pare». All’ultimo piano ci sarà una terrazza con ristorante. Suona bene, sarebbe una bella novità.

 

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Erano solo le 12. L’aereo partiva alle 19.10. Ci siamo disposti a una lunga passeggiata per Reggio. L’Archeologico, provare per credere, è l’unico museo degno di questo nome. Dovrebbe essere l’attrazione massima della città; della «città dei Bronzi». Ma la piazza del Museo è desolata. Di fronte il monumento a un certo De Nava (anno XIV E. F., Era Fascista), qualche oleandro, pitosfori, l’erba tutta secca. E dietro, un rudere coperto da un telo sporco con scritto “Roof Garden, un nuovo progetto per una città nel futuro”.

 

Corso Garibaldi è l’arteria centrale. C’è l’austera piazza Italia, con Municipio e Prefettura. Il corso era senza auto, pedonalizzato, anche con bei negozi. Dall’altro capo, risalendo, stavano rifacendo l’asse stradale. Una buona notizia. Una locandina diceva «Trionfa Falcomatà». È il sindaco neo eletto, dopo il lungo commissariamento. Giuseppe Falcomatà, 31 anni appena, figlio di un ex sindaco. In giro c’erano tanti manifesti appesi, sia delle comunali, sia delle regionali. Facce su facce; tranne quella del sindaco ragazzo, che ha vinto col 61 per cento.

 

All’incrocio con via Giudecca, altra sorpresa: cinque tratti di tapis roulant, tipo aeroporto. Duecento metri in lieve salita. Fermi, fuori uso. Da due anni. Si è messo a piovere. Di fronte alla Banca d’Italia cascava a fagiolo il bar pasticceria Cordon Bleu. Vicini di tavolo, una coppia del Belgio, arrivata da Matera. Pranzo ottimo: crudo e bufala, involtini di vitello, due paste alla mandorla, un bicchiere di rosso. A ogni portata il cameriere, cortese, ripeteva «Ecco servito». Per soli 18 euro. A Milano, figuriamoci. Poi è spiovuto.

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Ecco il Teatro Cilea, bianco e luminoso, in restauro anch’esso. Restauro finito al Duomo, invece, però chiuso. Ed eccoci ai Giardini Umberto I, con bellissimi alberi, querce, canfora, gingko biloba. Ma le aiuole trascurate, i lampioni spaccati a sassate. Che peccato. Il centro abbandonato dai suoi stessi abitanti.

 

 

La perla di Reggio è il Lungomare Italo Falcomatà. L’ex sindaco. È un’ampia passeggiata alberata sullo Stretto, nei giorni tersi si vede fino all’Etna. Molti edifici sono del primo Novecento, alcuni ben tenuti, altri meno. Rari forestieri nell’Anfiteatro Ciccio Franco, con il busto bronzeo al “Leader dei Boia chi molla”, datato 2005. Il monumento a Vittorio Emanuele III è del 1932. Qui e là fasci littorii, tracce varie del Ventennio.

 

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Un pescatore pescava boghe e saraghi, tranquillo, in acque pulite. Una meraviglia, davvero, questi alberi di ficus. Tanti ficus magnolioidi, fitti, robusti, splendenti, con chiome giganti. Come quelli famosi di Palermo; forse più impressionanti ancora. Perché non si parla di queste bellezze? Sopra, nel cielo che imbruniva, stridevano migliaia di stornelli. Tra poco volano in Africa, ha detto un vecchio. Non bisognerebbe dire «la città dei Bronzi», ma «la città dei Ficus».

 

Per tornare all’aeroporto, una barista gentile ha chiamato un amico suo, Alessandro. Niente tassametro, però 20 euro e non 30. Un affare. All’aeroporto eravamo quattro gatti, tra le seggiole rosse dell’Algida. Il volo per Roma (19.10), poi quello da Fiumicino per Linate (22) erano in orario. Brava l’Alitalia, poverina. A mezzanotte e mezza a casa, dopo 19 ore. Stanchezza, stupore. E domande: su quanto è strana la nostra bella Italia.

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