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UNA VITA DA RIVERA - ALTAFINI NUDO NELL’ARMADIETTO DI ROCCO, I DIFFICILI RAPPORTI CON GLI ARBITRI, ITALIA-GERMANIA 4-3 E POI LA POLITICA: L'EX GOLDEN BOY RACCONTA SE STESSO E L'ITALIA - “RITIRARE LA MIA MAGLIA? L'UNICO 10 AL MONDO CHE AVREBBERO POTUTO RITIRARE ERA QUELLO DI PELÉ”

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Alvise Losi per “Libero Quotidiano”

 

«Zero a zero anche ieri 'sto Milan qui,/'sto Rivera che ormai non mi segna più/ che tristezza, il padrone non c' ha neanche 'sti problemi qui», cantava il casciavìt Enzo Jannacci in Vincenzina e la fabbrica, scritta insieme all' amico Beppe Viola. Era un' altra epoca. Un' altra Italia. Un' altra Milano.

 

Una città dove nel 1974 Mario Monicelli aveva voluto ambientare il suo Romanzo popolare, con la figura di Vincenzina, una giovanissima Ornella Muti, che si muove nella periferia milanese, su un ponte di Greco che 40 anni fa era ancora in mezzo ai campi d' erba, là dove oggi sorgono il Teatro degli Arcimboldi e l' Università Bicocca.

RIVERA ROCCORIVERA ROCCO

 

Fu probabilmente proprio quel 1974 l' anno più buio del Milan targato Gianni Rivera e in quelle parole di Jannacci c' era tutta l' incredulità del tifoso, non certo la delusione. Perché Rivera non si discuteva.

 

Il paròn Nereo Rocco era stato appena esonerato e senza l' allenatore di tutta la sua carriera il primo Pallone d' Oro italiano avrebbe a breve annunciato un addio al calcio giocato, prima di tornare sui suoi passi l' anno successivo per vincere il decimo scudetto, quello della stella.

 

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E allora sì annunciare l' addio definitivo, in gloria. Dopo diciannove anni, dodici dei quali con la fascia di capitano al braccio.

 

Per i tifosi milanisti in particolare, ma anche tra quelli avversari, il calcio si divide tra chi ha fatto in tempo a veder giocare Gianni Rivera e chi invece ne ha solo visto qualche filmato registrato. C' è tutto quel mondo, e molto di più, in Gianni Rivera - Ieri Oggi, autobiografia del fuoriclasse del Milan (Ed. Marconi, pp. 520, euro 50).

 

Autobiografia vera, senza ghost writer («Mi ha aiutato solo mia moglie Laura Marconi») e senza editori («Sarebbe costata troppo»). Ci sono ricordi e aneddoti, col sorriso non con malinconia. Come i racconti del paròn sul proprio padre, che pur costretto a letto dai medici, si ostinava a volersi alzare di notte, e così Rocco gli svitava la protesi della gamba per impedirglielo.

 

Ci sono gli scherzi da spogliatoio. Quello di Altafini a Rocco, quando nascostosi nudo nell' armadietto dell' allenatore, gli saltò di fronte per spaventarlo. «Muso de mona!», fu la risposta di Nereo.

 

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Rivera non perde naturalmente occasione per rimarcare i difficili rapporti con la stampa e soprattutto con gli arbitri. In particolare con Concetto Lo Bello, ritenuto responsabile dello scudetto perso nel 1973, la «fatal Verona» che gettò nello scompiglio mezza Milano. «Annullò il gol del pareggio, chiaramente regolare, a Chiarugi», scrive Rivera riferendosi a una partita decisiva a Roma contro la Lazio a poche giornate dalla fine.

 

«Espulse Rocco che aveva protestato e interpretò, a modo suo, come offensiva una mia frase, captata negli spogliatoi, mi portò a una squalifica».

E poi ci sono riflessioni e intelligenti critiche sul presente del calcio italiano.

 

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Con la classe che lo ha sempre contraddistinto anche in campo. «Questo libro vuole essere un dono d' amore e di verità per chiunque veda in me, al di là del campione, l' uomo che si è sempre comportato correttamente e anche rigidamente pur di far suoi questi elementi di vita», scrive Rivera nella prefazione.

 

E non è nulla di meno di quanto ci si potesse aspettare da lui. Con lo stesso garbo glissa sulla proposta lanciata dall' Associazione Piccoli Azionisti del Milan, guidata dall' avvocato Giuseppe La Scala, di ritirare la maglia numero 10 del golden boy come è stato fatto già con la 6 di Franco Baresi e la 3 di Paolo Maldini.

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«L' unico 10 al mondo che avrebbero potuto ritirare era quello di Pelé, perché quel numero e quel ruolo sono legati a lui», commenta il diretto interessato. E lui che contro Pelé giocò solo sei minuti finali di quella finale dei mondiali in Messico nel 1970 riconosce che «probabilmente il Brasile avrebbe vinto comunque».

 

«Mio padre era ferroviere e guadagnava 35mila lire al mese», ricorda Rivera, «mentre lo stipendio base di un calciatore era di circa 130mila lire, solo quattro volte tanto».

Un altro calcio. Un' altra Italia. Un' altra epoca.

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Da lì le sue altre vite: da politico di centrosinistra (deputato, europarlamentare, arrivò a fare il sottosegretario alla Difesa), di manager Figc, di conduttore tv per Iceberg, talk politico di Telelombardia. Altre sfide.

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