NEANCHE COL DOPING I TEDESCHI SONO RIUSCITI A BATTERCI A MEXICO ’70 – CROLLA IL MITO DI ITALIA GERMANIA 4-3 (COME SAREBBE FINITA SE I PANZER NON FOSSERO STATI BOMBATI?)

Luca Pisapia per "Il Fatto Quotidiano"

C'è una partita che segna l'ingresso del calcio nel campo del mito. È Italia-Germania 4-3, semifinale mondiale che si disputa il 17 giugno 1970 allo stadio Atzeca di Città del Messico, lì dove ancora una targa la ricorda come partido del siglo: la partita del secolo. Fiumi d'inchiostro sono già stati utilizzati per descrivere la magia di quell'incontro. Eppure oggi un'ombra si allunga su questa narrazione, che ha attraversato indenne diverse generazioni: il doping.

Secondo uno studio commissionato dal Comitato olimpico tedesco , infatti, fin dal dopoguerra sugli atleti della Germania Ovest era praticato un doping di stato non molto dissimile da quello, famigerato, della Germania Est. Il rapporto di 501 pagine raccoglie cinque anni di studi specifici delle università di Berlino e Munster ed è stato pubblicato dall'Istituto federale di scienza sportiva tedesco (Bisp).

Si parla di "doping di stato" nella Germania Occidentale attraverso date precise: la prima fase è segnata fra il 1950-1972. La semifinale del mito si giocò, appunto nel 1970. Non sono stati resi noti i nomi degli sportivi dopati, e dei tecnici e dei dirigenti implicati, ma è stato certificato l'utilizzo sistematico di sostanze proibite, oltre che nell'atletica e nel ciclismo, anche e soprattutto nel calcio.

Il vicepresidente del Comitato olimpico tedesco Thomas Bach l'ha definito: "Un grande giorno per la lotta al doping"; mentre il portavoce dei socialdemocratici (Spd) ha ribattuto: "Quello che è stato scoperto va al di là dei peggiori sospetti, ora è fondamentale che il lavoro prosegua e che sia fatta chiarezza da ogni punto di vista". Certo è che di quella mitica Italia-Germania 4-3 rimarranno sempre impressi personaggi ed episodi, anche da parte tedesca.

Dal capitano Franz Beckenbauer, che a seguito di un infortunio resta stoicamente in campo. Al terzino Karl-Heinz Schnellinger, che segna il gol del pareggio 1-1 allo scadere dei tempi regolamentari per puro caso: convinto che la partita sia finita, il difensore non si sta avventurando in attacco, si sta dirigendo verso gli spogliatoi quando gli capita tra i piedi quel pallone che scaglia in rete.

Fino all'infallibile Gerd Muller, che quella magica notte segna due delle infinite reti messe a segno in carriera: 68 su 62 partite in nazionale, 365 su 427 in campionato, 69 su 77 in Europa. Ma anche se non sapremo mai i nomi, come spiega Andreas Singler, membro della commissione sportiva di Friburgo: "Non si può rimanere sorpresi da queste rivelazioni, tutto ciò s'immaginava da lungo tempo".

E diventano ancor più fondati i sospetti che gli appassionati di calcio cominciarono ad avere il 4 luglio 1954, il giorno della finale dei Mondiali 1954. Dopo essere stati sotto di 2-0 contro la formidabile Ungheria di Kocsis, Hidegkuti e Puskas, i tedeschi cominciarono a correre in maniera impressionante fino a ribaltare il risultato 3-2 e sollevare la loro prima Coppa del Mondo.

Salvo che la mattina dopo molti di loro si ritrovarono in ospedale con problemi al fegato, e alcuni furono colpiti da itterizia: epidemia che imperversava fra i soldati nella Seconda guerra mondiale. E, infatti, nel rapporto del Bisp, di cui il quotidiano Sueddeutsche Zeitung ha anticipato alcuni passaggi, è citata la testimonianza dell'ex calciatore Heinz-Adolf Heper che parla di "uso sistematico dagli anni 50 in poi di anfetamine nel calcio", tra cui la metanfetamina Pervitin: utilizzata dai soldati tedeschi in guerra.

Poi c'è la testimonianza di Mihailo Andrejevic, ex responsabile del comitato medico della Fifa, che anni fa rivelò di tracce di efedrina nel sangue di almeno tre giocatori che parteciparono alla finale del Mondiale 1966, persa dalla Germania Ovest con l'Inghilterra 4-2. Giocatori senza nome, perché il report è pieno di omissis, e perché la federcalcio tedesca è stata l'unica federazione a non permettere ai ricercatori di accedere ai propri archivi medici. Oltre a anfetamine e derivati, si parla di testosterone, steroidi anabolizzanti, ormoni della crescita e altre diavolerie: tutte utilizzate con la supervisione e l'avvallo dei tecnici e dei medici dello sport della Germania Occidentale.

Dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, quando si aprono gli archivi dell'ex DDR, fece scandalo nel mondo sportivo la scoperta del Piano 14.25: un vero e proprio sistema di doping di stato della Germania Est, con la supervisione della Stasi. Tra le molte testimonianze di atleti che raccontano di strane iniezioni fin da piccoli, il caso più clamoroso è quello di Heidi Krieger, lanciatrice del peso che a causa dell'abuso di ormoni anni dopo è costretta a cambiare sesso e prendere il nome di Andreas. Un'organizzazione così sofisticata e capillare, quella della parte di Germania che aderì al Patto di Varsavia, che indusse molti esperti a fare analogie tra l'economia di stato comunista e il sistema di doping statale.

Analogie che però oggi non reggono più a fronte delle rivelazioni del rapporto citato, che scrive proprio di "doping di stato" nella Germania Occidentale e capitalista, e suddivide quest'operazione segreta in tre periodi (1950-1972, 1972-1989 e 1989-2007) lanciando poi un preoccupante allarme: l'ultimo periodo, quello più vicino a noi, è quello su cui hanno fatto più fatica a investigare, per "le numerose difficoltà incontrate nel processo".

 

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