“IL CALCIO DI OGGI? NON FA PER ME: I TATUAGGI, I CODINI, I BALLETTI, I GIOCATORI CHE VANNO A SALUTARE IL PUBBLICO QUANDO PERDI: NOI SCAPPAVAMO DALLA VERGOGNA” – IL "GIAGUARO" LUCIANO CASTELLINI, EX PORTIERE DI TORINO E NAPOLI, FA 80 ANNI E STRONCA IL GIOCO CONTEMPORANEO (“TROPPI TOCCHI”) - "LE SQUADRE TORNERANNO CON TRE PASSAGGI AD ANDARE IN PORTA, NAPOLI E MILAN LO STANNO GIÀ FACENDO. NON A CASO SONO PRIME IN CLASSIFICA” - MARADONA, ZOFF E IL TORO: “NON MI HA MAI CERCATO E IO NON MI SONO NEANCHE MAI PROPOSTO, NON SONO RUFFIANO...”
Francesco Manassero per “la Stampa” - Estratti
«Sono stato un ragazzo fortunato perché non ho mai lavorato né fatto sacrifici: mi hanno pagato per una cosa che mi piaceva». A 80 anni, compiuti oggi, Luciano Castellini mantiene il suo stile inconfondibile, ruvido e verace.
Sorride mentre traccia il bilancio d'una vita da Giaguaro, come veniva chiamato negli anni 70 e 80 uno dei migliori portieri del nostro calcio, che ha legato la sue emozioni soprattutto al Torino, con cui vinse lo scudetto e una Coppa Italia, e al Napoli di Maradona con cui chiuse un cammino lungo e pieno di applausi. Che sarebbero potuti essere ancora più travolgenti se non avesse giocato, negli stessi anni, un totem ancora più alto: Dino Zoff.
Castellini, le piace il calcio di oggi?
«Non fa più per me, ma bisogna accettare la nuova generazione, i tatuaggi, i codini, i balletti, i giocatori che vanno a salutare il pubblico quando perdi: noi scappavamo dalla vergogna. Voglio bene ai giovani, ho due nipotini, ma è difficile dargli un'impronta».
Qual è la differenza più grande rispettoi suoi tempi?
«Sono tante. Adesso il gioco è più veloce, ma tanti tocchi, troppi. A Rivera, che non era rapidissimo, bastava uno stop per l'assist vincente. Ma qualcosa sta cambiando».
Cioè?
«Le squadre torneranno con tre passaggi ad andare in porta, anzi qualcuna lo sta già facendo».
Quali sono?
«Soprattutto il Milan e il Napoli, guarda caso le prime della classifica: il gioco bello lo fanno fare agli altri, però vincono. Anche l'Inter sta diventando così».
La lotta scudetto sarà una questione tra loro tre?
«Penso di sì, poi dipenderà anche dalle coppe. I rossoneri in questo senso non le hanno e potrebbero avere un piccolo vantaggio».
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Nonostante fosse uno dei top, ha raccolto poche presenze in Nazionale. Rammaricato?
«No, perché Zoff era più bravo di me, aveva più testa. Ho fatto il massimo e non posso rimproverarmi nulla: ero felice così. Diciamo che io ero Gimondi e lui Merckx».
Siete diventati grandi amici… «È il mio testimone di nozze, abbiamo due caratteri simili.
Lui è un orso ma io anche di più. Però ho vinto molti più derby io».
La sua amarezza più grande?
«Le abbiamo avute tutti, basta gestire le emozioni: a 17 anni prendevo gol e mi veniva l'ulcera. Poi le cose negative ho imparato a buttarle via».
Cosa è stato il Torino per lei?
«Quella maglia lascia il segno, mi sono sposato a Torino e mio figlio è nato a Torino: neanche sotto tortura potrò parlarne male».
Si sente ancora con i suoi compagni dello scudetto?
«L'altro giorno sono andato a pranzo nelle Langhe assieme a Zaccarelli, Claudio Sala, Pecci, Salvadori... Eravamo tutti accompagnati dalle nostre famiglie, siamo ancora un gruppo molto unito».
Il Toro è entrato nel menù?
«Sempre. Ogni volta che ci incontriamo: pensiamo tutti la stessa cosa, siamo molto dispiaciuti per la situazione. Ormai siamo solo tifosi, ma se volessero dei consigli da qualcuno che ne sa qualcosa…». Lei quale darebbe? «Sogno undici italiani in campo, o comunque una presenza molto più massiccia. Così forse capirebbero cos'è il Toro, il suo senso di appartenenza. Ma è un discorso che si può estendere ad altre squadre».
A chi pensa?
«Anche alla Juventus. Claudio Gentile che conosco bene mi dice le stesse cose: bisogna dare più fiducia ai nostri. Il risultato poi si vede anche in una Nazionale che paga tutto questo. Però voglio precisare una cosa».
Prego.
«Non ce l'ho certo con gli stranieri, ci mancherebbe, ma ai miei tempi erano dei fuoriclasse, il valore aggiunto».
Torniamo all'attualità: tra Israel e Paleari chi sceglie?
«Non posso dirlo da fuori, ci sono tante variabili, compreso il carattere. Chissà se si fanno aiutare da uno psicologo».
Lei ce l'aveva?
«Sì, lo trovavo nei miei compagni, mi hanno sostenuto molto. Quando mi deprimevo e urlavo di voler andare nei dilettanti, Sala mi riprendeva sempre: "Non dire str...».
Cosa fa adesso?
«Sono ancora un osservatore dell'Inter, un club nel quale non ho mai giocato ma che mi ha dato tantissimo in tutte gestioni dei suoi presidenti, ma non posso dimenticare Pellegrini e Moratti».
Quando ha cominciato con i nerazzurri?
«Facevo l'allenatore di Zenga. Forse il mio rammarico è stato quello di aver dato meno di quanto ricevuto da loro».
Il Torino si è mai offerto per un incarico?
«Non mi ha mai cercato e io non mi sono neanche mai proposto, non sono ruffiano. Mi sarebbe piaciuto poter essere di aiuto e dare ai giovani la mia testimonianza».
Il Napoli è l'altra grande tappa della sua carriera: ci rimase male quando Pianelli nel 1978 lo lasciò partire?
«È stata una ferita, poi però si è rivelata un'altra esperienza bellissima. L'affetto della gente era molto simile a quello ricevuto al Toro».
Ha giocato con Maradona… «Un campione assoluto che non te lo faceva mai pesare, unico anche fuori: mai sentito nessuno parlarne male».
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