KAKA' AMARI - IL GIOCATORE KAKA' RINVIATO A GIUDIZIO PER PRESUNTA EVASIONE FISCALE. MA IN ITALIA MANCA UNA LEGGE CHE METTE DEI PALETTI PER LE BEGHE FISCALI...

Claudio Antonelli per "Libero quotidiano"

Ricardo Izecson dos Santos Leite, detto Kakà, dovrà affrontare a Milano il processo per dichiarazione infedele e presunta elusione. Come ha scritto ieri Libero il calciatore del Milan è stato rinviato a giudizio. Il pm Francesco Greco lo accusa di aver creato un filtro fittizio tra i guadagni ricavati dagli sponsor e la sua persona fisica. In sostanza secondo la Procura avrebbe usato una Srl, la Tamid Sport & Marketing, per risparmiare sulle aliquote nel periodo 2008-2009, prima che andasse a giocare al Real Madrid.

La diatriba con l'Agenzia delle entrate si è risolta con un versamento di due milioni di euro. Ma non è bastato per evitare il processo. E quindi un iter che potrebbe arrivare alle conclusioni più disparate. Una sentenza sfavorevole per Kakà, vista la notorietà del personaggio, squarcerebbe però il velo su un buco legislativo che genera centinaia di processi all'anno. La differenza tra elusione, legittima ottimizzazione fiscale ed evasione non è definita.

Alla domanda «è legittimo ottimizzare e pagare meno tasse» in Italia si risponde in tre modi: sì, no, forse. Dipende dall'interpretazione di un giudice tributario oppure di un pm e di un giudice penale. E finché non sarà approvata una legge che stabilisca quanto è lecito e quanto non lo è, le risposte alla domanda resteranno agganciate alle sentenze. A finire sotto indagine con esiti diversi negli ultimi anni per dichiarazione infedele (o omessa dichiarazione) sono stati in tanti.

Da Dolce e Gabbana, a Raoul Bova. Da Vanessa Incontrada a Massimo Ranieri. Ma soprattutto centinaia di cittadini i cui nomi non erano degni delle cronache dei giornali. Nel 2011 il governo - per inasprire la lotta all'evasione - ha infatti dimezzato la soglia di omessa dichiarazione che fa scattare automaticamente il procedimento penale. Da circa 103mila euro a 50mila.

Nel caso della showgirl di «Zelig» il Fisco contestò 90mila euro di spese messe a detrazione nel 730. La sauna e gli arredi di lusso (la casa era adibita a ufficio) non potevano essere presi in considerazione ai fini fiscali. Si tratta di buon senso? Forse. Ma in realtà non esiste nulla di definito.

Tant'è che in passato si sono verificati casi nei quali una volta avviati i procedimenti fiscali e quelli penali sono arrivati a conclusioni opposte. Il calcolo della soglia di punibilità è infatti esso stesso soggettivo e la legge dice che l'Agenzia potrebbe validare un risultato differente da quello certificato dal giudice penale. E sempre secondo la stessa legge sono validi entrambe. Questo a dimostrare la soggettività e l'agio interpretativo che è lasciato ai giudici. Nel caso in cui il contribuente si ravveda si può addirittura arrivare a un paradosso legato alla fumosità stessa del concetto di abuso di diritto.

Se una società fa dichiarazione infedele interpretando in modo favorevole le norme e poi sana la posizione fiscale versando quando dovuto all'Erario implicitamente cancella agli occhi dell'amministrazione pubblica l'opzione elusiva. Ma non intacca il fronte penale. E non parliamo di evasione che è sempre e in ogni caso un reato. Esattamente quanto accaduto a Kakà o a Raoul Bova che addirittura si è visto sequestrate tre immobili nonostante avesse concordato un piano di rientro con l'Agenzia.

Nel caso di Dolce e Gabbana l'accusa di dichiarazione infedele è stata poi trasformata in evasione fiscale e il tribunale li ha riconosciuti colpevoli. La maison di Prada lo scorso dicembre ha aderito alla voluntary disclosure. L'azienda si è autodenunciata e ha versato oltre 500 milioni di imposte.

La Procura ha aperto un'inchiesta come atto dovuto. Come finirà? Lo deciderà il giudice o il pm se dovesse chiedere l'archiviazione. Vorremmo invece un Paese dove non esistano spazi vuoti nella normativa perché da un lato servono ai furbetti per pagare meno tasse e dall'altro vengono usati dallo Stato per spremere i cittadini. Ciascuno di noi dovrebbe avere il diritto di organizzare la propria vita lavorativa in modo da pagare meno imposte può farlo.

Oppure sottostare a un decalogo di ciò che è semplicemente reato. Nei Paesi civili aziende ed Erario firmano degli accordi, in cui a priori si fissano i paletti entro i quali le imprese possono muoversi. E così si elimina il concetto stesso di abuso di diritto. Non ci preme raccontare le storie di Kakà, Prada o Dolce e Gabbana. Hanno denaro e possibilità per difendersi nelle sedi opportune.

E chi è stato condannato pagherà. Il dramma è che i processi per dichiarazione infedele crescono di mese in mese e la maggior parte dei piccoli imprenditori non ha la stesse opportunità. Non stiamo assolutamente difendendo i furbi. Vorremmo solo che scomparissero una volta per tutte i bachi di legge. È una questione di civiltà e di democrazia.

 

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