“AVREI DOVUTO PENSARCI TRE VOLTE PRIMA DI ACCETTARE LA NAZIONALE” – L’EX CT GIAN PIERO VENTURA AL VELENO: “ORA I PLAYOFF SONO CONSIDERATI UN TRAGUARDO, ALL’EPOCA ERANO UN FALLIMENTO. AVREI DOVUTO MOLLARE PRIMA, HO SUBÌTO UN SACCO DI SCORRETTEZZE. VISTI I RISULTATI DI CHI È ARRIVATO DOPO DI ME POTREI DIRE CHE ANTICIPAI LA CRISI DEL NOSTRO CALCIO. NON AVEVO UNA FEDERAZIONE FORTE ALLE SPALLE. CON QUELLA ATTUALE SAREBBE STATO DIVERSO. DOPO LA PARTITA CON LA SVEZIA MI RITROVAI DA SOLO DAVANTI AL PLOTONE D’ESECUZIONE. SE L’ERANO DATA A GAMBE…"
Ivan Zazzaroni per corrieredellosport.it - Estratti
«Hai sbagliato numero?», con risatona alla Ventura.
Sì, cercavo Simona.
«Sono Simona di notte e di giorno Gian Piero». Lo ritrovo in ottima forma, il buonumore di sempre. «Non ti sei fatto sentire per sei anni» dice. Non mi rimprovera, ma ho voglia di rispondergli che «sono andato a letto presto».
Gian Piero, sul cellulare ho conservato un tuo messaggio di nove anni fa. Credo che non avessi gradito un mio articolo.
«Cosa scrissi?».
Testuale: «Non ero affatto nervoso, era una semplice puntualizzazione per mettere fine a un continuo, stupido confronto. Da un amico mi aspetto un aiuto e non del mangime per tutti quelli che vivono per polemizzare».
Ride. «Mi ci ritrovo».
Tra pochi giorni, il 12, saranno trascorsi quattro anni dalla tua decisione di ritirarti. Ultimo domicilio conosciuto, Salerno.
niccolo de vitiis le iene gian piero ventura
(…)
Nella prima, quella sportiva, sei stato l’ultimo allenatore del Toro a vincere il derby.
«Me lo ricordano costantemente i tifosi e io ripeto loro che con il Var ne avremmo vinti molti di più. Subimmo un sacco di angherie, a detta di tutti. Senza scendere in particolari, rigori non dati, espulsioni non comminate, gol buoni non assegnati. Ti posso assicurare che sarebbero stati più di uno».
GIAN PIERO VENTURA A ZANZIBAR FOTO DAL MESSAGGERO
Il 2-1 dell’aprile 2015 lo ricordi bene?
«Gol di Pirlo su punizione, ribaltammo il risultato con Darmian e Quagliarella. Ma ne giocammo di migliori. Mi resta dentro non tanto la partita in sé quanto quello che accadde il martedì seguente. Alla ripresa degli allenamenti vennero al campo decine di tifosi, tanti avevano le lacrime agli occhi, li ho visti piangere per la felicità».
Precisamente, cosa non ti piace del calcio attuale?
«Mi annoia. Non emoziona più. Ho allenato quando c’erano Ronaldinho, Zidane e Kakà, quando il dribbling, il tunnel, la giocata di qualità erano all’ordine del giorno. Oggi è un calcio quasi comico. Salti di testa con le braccia dietro la schiena, se cadi per terra e il pallone colpisce un braccio ti fischiano contro il rigore una volta sì e l’altra pure. Dopo uno scontro ordinario uno si accascia e un semplice tocco viene trasformato in un taglio di scimitarra. Il calcio è uno sport di contatto, ma a qualcuno non sta più bene...
Col Var Maradona avrebbe segnato quattro gol a partita, mentre molti difensori di allora oggi giocherebbero al massimo quattro gare a stagione. Alcune regole sono demenziali. Io guardo il Psg, il Barcellona, inseguo ancora l’emozione».
Come allenatore rientri nella categoria degli innovatori.
«Il portiere che gioca con i piedi lo introdussi io a Bari. Gillet aveva piedi d’oro. I miei due centrali erano Ranocchia e Bonucci, diciannove e vent’anni. Ci presentammo a San Siro contro l’Inter del triplete e facemmo 1 a 1, ma nei venti minuti finali sprecammo tre palle gol. Quando si parla di calcio organizzato quali squadre si ricordano?».
Lo vuoi sapere da me?
«Il Chievo di Delneri, il Bari di Ventura, il Genoa di Gasperini, il Napoli di Sarri».
Io non ho dimenticato la Nazionale di Ventura, purtroppo, e non sono il solo. Anche in quel caso apristi una strada, quella dei fallimenti azzurri.
«Sbagliai».
Ne sono convinto.
«Sì, ma non per i motivi che immagini tu».
Quali allora?
«Avrei dovuto pensarci tre volte prima di accettare. Per la Nazionale lasciai un contratto di tre anni con una squadra che tutti gli anni gioca in Europa».
Quale?
«Che importa ormai».
La Lazio. Arriva al punto.
«Arrivo al punto. Dopo soltanto venti giorni capii che non c’erano i presupposti per fare calcio».
«Dopo appena 48 ore, amichevole con la Francia. Perdiamo 3-1. Passano tre giorni e dobbiamo giocare in Israele, sui giornali escono titoli di questo tenore: “Se Ventura non vince lo cacciano”. Vinciamo. In Macedonia andiamo sotto 2-1, riusciamo a ribaltare il risultato e in conferenza stampa la prima domanda che mi fanno è: “Quando stavamo perdendo ha pensato di essere già a casa?”. Dal mio insediamento erano passati solo dieci giorni... Ora i playoff sono considerati un traguardo, all’epoca erano un fallimento. Avrei dovuto mollare prima, ma era troppo forte il legame con l’Italia, con l’azzurro, quella maglia è troppo importante».
Pagasti certamente un curriculum non di primo livello. I media sono diffidenti. Brutta gente. Brutta e cattiva.
«Non avevo mai vinto uno scudetto, ma in quel momento l’unico che l’aveva portato a casa, tra i praticabili, era Allegri».
C’è altro?
«Mi chiedono se avrei convocato Berardi che in quel momento è infortunato. Rispondo che nel 3-5-2 non c’è il suo ruolo ma che una volta passati a quattro l’avrei certamente chiamato. Il giorno dopo, titolone: “Ventura boccia Berardi”. Ho subìto un sacco di scorrettezze».
Dopo tanti anni sei però riuscito a chiarire la storia di De Rossi con la Svezia.
«Fake assoluta, nessuno aveva mai dato una spiegazione prima del mio intervento in tv al Processo. Non fu chiesto a De Rossi di entrare, perciò lui non potè rifiutare nulla».
Quanta sofferenza ti procurò quel fallimento?
«Prevalse la rabbia. Come hai sottolineato, visti i risultati di chi è arrivato dopo di me potrei dire che anticipai la crisi del nostro calcio. Ma nessuno è riuscito a rovinare i miei quarantacinque anni di carriera. Quando giro per strada, per esempio qui a Torino dove sono per vedere il derby, la metà delle persone mi chiede del Toro, l’altra metà mi dice che con me furono vergognosi. Non avevo una federazione forte alle spalle. Con quella attuale sarebbe stato diverso. Ti ricordo che dopo la partita con la Svezia mi ritrovai da solo davanti al plotone d’esecuzione. Se l’erano data a gambe».
Ti assolvi?
«Non ho mai avuto il tempo di provare qualcosa di diverso, dei giovani. Le amichevoli che mi disegnarono addosso non furono col Gabon, ma con Francia, Germania, Argentina, Uruguay, Olanda. E vuoi sapere quante partite ho perso in due anni?»
. Due.
«Due, tre con la prima amichevole».
gian piero ventura luciana lacriola
Gian Piero Ventura





