ROMITI SOTTO SCHIAFFO: SALTA LA RIUNIONE DEL PATTO RCS
I SOCI FORTI, DA TRONCHETTI A PASSERA, STOPPANO CESARONE
IN BALLO IL CASO BURDA, LE LIQUIDAZIONE D'ORO DEI DIRIGENTI
E LA GESTIONE DI FOLLI DE' FOLLIS, VEDI L'ARTICOLO DI MUCCHETTI



Milano ore 11. "Ci sarà una sorpresa", annuncia Cesare Romiti, presidente di Rcs Quotidiani, in merito alla riunione del patto di sindacato di Rcs che si doveva tenere oggi alle 18.30. Ma quale sorpresa? "La saprete nel primo pomeriggio, diciamo che non è sgradevole" ha aggiunto Romiti a margine del consiglio della Fondazione Italia-Cina. E per non essere frainteso spiega: "L'ingresso di nuovi soci non è all'ordine del giorno, la nomina del presidente di Rcs Periodici non va in discussione oggi".

Infine Romiti ha risposto con una battuta alla domanda se il quotidiano di via Solferino fosse in vendita: "il Corriere non è in vendita". Dunque, di prima mattina Romiti annuncia sorprese a lui gradite (l'ingresso dell'amico Vittorio Merloni - al posto del ciabattino marchigiano Della Valle - nel patto di sindacato dell'Rcs Media Group?). Ma alle ore 14, come un fulmine a ciel sereno, lo scenario cambia. L'agenzia Agi batte un take che coglie di sorpresa la Milano politica-finanziaria: "Non si terra' la riunione del patto di sindacato di Rcs, in calendario oggi nel tardo pomeriggio".
Secondo quanto precisato dal portavoce della societa', la riunione doveva fare il punto sull'assemblea di Rcs Quotidiani, in programma per domani, "da cui pero' non sono attese novita'; di conseguenza i soci del patto "hanno deciso di soprassedere".

E le parole di Romiti su "una sorpresa non sgradevole"? Cesare Romiti stava "scherzando". Una messa a punto che non convinceva. Cosa era successo in quelle poche ore che stanno provocando un vero e proprio sisma d'indiscrezioni sul futuro del gruppo che stampa il Corriere della Sera. Un vero e proprio giallo. Se Romiti scherzava, chi non aveva alcuna voglia di ridere era infatti Marco Tronchetti Provera.

Domenica mattina il numero uno di Pirelli Telecom è sobbalzato sulla poltrona leggendo cosa andava scrivendo sul Corrierone Massimo Mucchetti (vedere testo qui sotto). In pratica il commentatore e vice direttore ad personam del Corriere (da poco strappato dal direttore Stefano Folli all'Espresso di De Benedetti-Caracciolo) affermava che Fiat, Benetton e Tronchetti Provera con poche azioni avevano tutto il potere nelle mani. In pratica venivano bacchettati gran parte dei soci forti del patto di sindacato dell'Rcs Mediagroup.

Con una sola eccezione: la Gemina della famiglia Romiti. Soltanto una dimenticanza? Non l'hanno letta così Giovanni Bazoli, Tronchetti Provera, Alessandro Profumo e compagnia bella. Anzi. Tra i soci messi sotto accusa (giustamente) da Mucchetti l'esclusione della Romiti Family veniva letta come un vero e proprio colpo basso.

Ma la decisione di disertare l'incontro pomeridiano annunciato, tra uno scherzo e l'altro, da Cesare Romiti ha altre cause, a partire dalla causa intrapresa dagli avvocati di Burda, socio germanico dell'Rcs che ha un contratto garantito da clausole ferree, quindi si prevede un epilogo per nulla gradevole.

A seguire: corre voce che alcuni soci abbiano scoperto "lettere-paracadute" che garantirebbero ai dirigenti in servizio liquidazioni pluri-milionarie. Come è successo già a Gaetano Mele - l'ex direttore generale, a novembre, lasciò il gruppo portandosi dietro un assegno da 9,629 milioni di euro, quasi 19 miliardi di vecchie lire, tra stipendio lordo (1,414 milioni) e buonuscita (8,215 milioni, l'equivalente di 70 mensilità).

Altro punto-dolens: la gestione del quotidiano da parte di Stefano Folli. Da Passera a Tronchetti, da Profumo a Bazoli, oltre a non gradire la fattura del Corriere (vedi il pezzo di Mucchetti) non ne possono più di chiamare via Solferino e non ricevere un cenno di risposta. "Prova a telefonare dal Quirinale e avrai più fortuna", celiano gli "addetti ai livori" ben conoscendo la debolezza ciampista dell'allievo di Spadolini.

Insomma, un bel casino. Soltanto nelle prossime ore si saprà se Romiti riuscirà a comporre lo strappo con gli altri soci del patto.
Intanto dal mondo bancario si fa rilevare come la famiglia Romiti non soltanto deve preoccuparsi di quanto sta accadendo in via Solferino e dintorni. Ad allarmare gli analisti è anche la situazione di economica di Impregilo e di Aeroporti di Roma. Ecco spiegato il grido d'allarme lanciato da Cesare Romiti attraverso il Sole 24 Ore-Radiocor: "Discutere di fallimento o meno dell'Alitalia significa fare solo dello sciacallaggio. Non bisogna giocare con questo problema, ma cooperare e risolverlo".

Ma stavolta neppure Giulio Tremonti appare intenzionato a raccogliere l'Sos Alitalia lanciato da Romiti. Intanto, lo scontro tra i soci di Rcs Media Group sta rallentando il piano editoriale del Corriere della Sera, che già incontra l'ostilità dei sindacati interni. Mentre a Roma (zona Palazzo Chigi) sono riprese a circolare le indiscrezioni su un cambio della guardia alla direzione del Corriere prima dell'estate. Insomma, per Stefano Folli alle prese con i malumori della redazione non s'annunciano tempi Full Colors bensì Full Dolors.




E JONELLA LIGRESTI S'INCAZZA
(Il Sole 24 Ore Radiocor) - Noi abbiamo il 5% di Rcs e con una partecipazione come la nostra ci aspettiamo di far parte del cda e del Patto di sindacato. Lo ha dichiarato Jonella Ligresti, presidente di Fondiaria Sai, aggiungendo "pero' come abbiamo visto non sempre queste cose vengono rispettate" e che comunque "le decisioni sono sempre quelle che si prendono nelle sedi opportune". 


LICENZIARE I PADRONI (PADRONI DE CHE?)
Massimo Mucchetti per il Corriere della sera
(con la consulenza tecnica di Miraquota)

Per quanto criticate, le piramidi societarie continuano a caratterizzare la struttura proprietaria dei grandi gruppi alla Borsa di Milano. Non mancano le eccezioni, naturalmente. Luxottica e Mediaset, per esempio, sono imprese importanti controllate da due famiglie, i Del Vecchio e i Berlusconi, che vi impegnano valori importanti. Importanti sia in assoluto che in paragone dei mezzi forniti dai soci minori e dalle banche: 4,3 miliardi del "padrone" contro 3,4 per Luxottica; 5,6 miliardi contro una cifra equivalente per la tv commerciale. Ma nei gruppi maggiori - Fiat, Telecom Italia, Autostrade - chi comanda rischia pochissimo.

E tuttavia, sia pure con probabilità e modalità diverse, l'azionista eccellente potrebbe dover fare i conti in modo nuovo con le banche, non più mere creditrici. Vediamo caso per caso. Con un investimento in azioni ordinarie Ifi oggi sommariamente valutabile in 615 milioni, gli Agnelli governano capitali di terzi in Ifi, Ifil e Fiat pari a 5,5 miliardi di euro. Un euro ne comanda nove. All'intero gruppo le banche prestano 24,6 miliardi di euro. Tre di questi, ove non fossero rimborsati entro il giugno 2005, verrebbero convertiti in azioni Fiat.

Su tale particolare prestito è implicita una minusvalenza teorica di 1,2 miliardi. Una delle banche creditrici, UniCredito, ha cominciato ad ammortizzare il rischio. In effetti, con tanti investimenti ancora da fare, la Fiat avrà convenienza ad avere le banche azioniste: chi mai sottoscriverebbe un aumento di capitale così grande a 10 euro quando il titolo ne vale 6?

Marco Tronchetti Provera con i suoi più stretti alleati controlla il 57,6% della Camfin, un investimento di 212 milioni. Grazie a una piramide che, ai diversi gradini, comprende Pirelli, Pirelli Re, Olimpia, Telecom, Tim, Telecom Italia Media, Tronchetti comanda su risorse di terzi pari a 56,5 miliardi. Con un euro ne muove 266. E' un potere temperato da una presenza assai ampia di consiglieri indipendenti, ma resta il fatto che il capo di Camfin, Pirelli e Telecom è la stessa persona.

A questo sistema le banche prestano 47,8 miliardi. UniCredito e Intesa, in particolare, sono anche azioniste di Olimpia, che detiene un cruciale 17% di Telecom Italia. Il loro investimento, 1,2 miliardi, ha un valore di mercato di 250 milioni. Ma le due banche non registrano la perdita potenziale perché nel 2006 potranno cedere le quote di Olimpia alla Pirelli al nominale.

Per rimborsarle, la Pirelli dovrà fare nuovi debiti o cedere partecipazioni. O, magari, pagare in azioni Pirelli aprendo il capitale alle banche. Secondo la banca d' affari Ubm, infatti, la cassa generata da Pirelli nei prossimi due anni verrebbe assorbita dai normali investimenti. In ogni caso, nessuno potrà prescindere dal parere dei Benetton, che stanno registrando una perdita teorica di quasi 900 milioni di euro sulla partecipazione in Olimpia e che, in presenza di gravi disaccordi, possono anch' essi vendere a Pirelli.

Diversa la storia di Autostrade. Avendo investito 604 milioni, i Benetton muovono 3,7 miliardi di capitale di rischio fornito da terzi e ricevono 9,3 miliardi dalle banche. Tranne UniCredito, che ha una piccola quota di capitale, le banche sono finanziatrici garantite da pegni. Ma la loro esposizione è tale da farne le guardiane del rimborso del debito più che le coraggiose sostenitrici dei sogni di gloria di Autostrade.

Non ci fosse stata Parmalat, Autostrade avrebbe già emesso obbligazioni e saldato le banche. Ma Parmalat c' è stata. Specialmente in Fiat e Pirelli, dunque, le banche hanno una certa probabilità di diventare azioniste, sia pure obtorto collo. Ne derivano fin d' ora nuove responsabilità verso i propri soci e, ancor più, verso l'Italia che vuole veder prosperare le sue ultime grandi industrie.


Dagospia 26 Aprile 2004