EDITORIA IN ALLEGRIA - "IL MESSAGGERO" SENZA FUTURO: IL QUOTIDIANO DI CALTAGIRONE "VIVE IN UN REGIME DI QUASI COMMISSARIAMENTO PROFESSIONALE" - TOSTA LETTERA DI 12 "FIRME": "VENGONO DECISI PROVVEDIMENTI DA GIORNALE IN AGONIA."

Questa lettera, presentata in assemblea il 20 maggio, ha indotto a convocare un'altra assemblea con un dibattito interamente ad essa dedicato, lunedì 23 maggio. Le 12 firme rappresentano uno spaccato della redazione del "Messaggero", con firme storiche e giovani redattori. Non è, va rilevato, un'iniziativa dei "soliti" inviati. C'è, fra gli altri, il vaticanista Orazio Petrosillo e il critico letterario Renato Minore, bravissimi redattori economici (Piovani, Cifoni) e della redazione di Milano (Guasco, Orsini). Rossella Lama, grande esperta di banche, e, certamente, anche gli inviati (Giustiniani, primo firmatario, Marida Pijola, Isman, Concina) e Renato Pezzini, vicecaporedattore con funzioni di inviato.

All'Assemblea
Ai Delegati di servizio
Al Comitato di redazione
Al Direttore responsabile


Cari colleghi,
questa lettera, che affidiamo alla vostra riflessione, nasce da una preoccupazione profonda: che Il Messaggero non abbia un futuro, perché del tutto privo di un progetto di sviluppo nella qualità. Che, al contrario, sia in atto un ridimensionamento, inesorabile e sempre più veloce. Oggi siamo un giornale più piccolo, con mezzi sempre più ridotti e una redazione sempre più vecchia.

Vorremmo capire, assieme a voi, che cosa ha appannato l'entusiasmo, la passione, la vitalità professionale, sindacale e progettuale, che erano antico patrimonio del giornale; quale fenomeno porta i più a disertare tanto le riunioni di redazione, quanto le assemblee; qual è l'origine del malessere di chi è costretto a lavorare troppo, e di chi è costretto a lavorare troppo poco, con speculare frustrazione riguardo alla propria condizione personale, nonché alla qualità del lavoro e del prodotto.

Il direttore aveva garantito che il formato ridotto, inaugurato a dicembre del 2003, avrebbe moltiplicato gli spazi, e che Il Messaggero avrebbe potuto essere più ricco di storie, approfondimenti, inchieste. Ma non è stato messo in condizione di mantenere la sua promessa. E' avvenuto, infatti, esattamente il contrario. Il giornale è "strozzato" da una foliazione insufficiente, rigida e del tutto asservita alla pubblicità.

I colleghi che lavorano al desk si vedono da un lato sottoposti a carichi più pesanti, dall'altro quasi del tutto espropriati della loro funzione creativa. Non possono valorizzare le notizie come vorrebbero, e rinviano servizi ogni giorno. Chi è addetto alla scrittura, vede il suo ruolo drasticamente compresso, con grave danno professionale. Ci sono colleghi che scrivono per i cassetti, e tante idee - giudicate valide - non trovano lo spazio per essere realizzate. Quasi nessuno viene più incoraggiato a specializzarsi in un ambito o nell'altro, secondo la sua vocazione. I più, vengono invece omologati in una generica figura "tuttofare", che li priva di motivazioni e prospettive.

Sporadiche assunzioni non bastano certo a colmare la voragine aperta da decine di colleghi andati in pensione, o a lavorare altrove, né ad assicurare il ricambio generazionale indispensabile alla sopravvivenza di qualsiasi azienda. Sostenere la concorrenza di quotidiani che hanno molte più pagine e risorse professionali sta diventando un'impresa impossibile.

Questo ridimensionamento non riguarda solo spazi, uomini, contenuti; ma è anche territoriale: la rete nazionale dei corrispondenti è stata smantellata e le redazioni locali dichiarano un gravissimo stato di sofferenza. Il preannunciato piano di riorganizzazione, peraltro ancora in fieri, provocherebbe la chiusura di almeno tre storiche redazioni: San Benedetto, Foligno e Chieti, mentre rischia anche Teramo.

Negli ultimi tempi, poi, sembriamo un giornale che abbia improvvisamente finito i soldi, con i creditori alle porte. Si risparmia sulle qualifiche, negando ad esempio quella di redattore capo a colleghi che guidano servizi importanti (nella prassi de Il Messaggero, d'uso comune in tutti i giornali medio-grandi, e la cui dismissione crea discriminazioni nel nostro quotidiano); si tagliano le mazzette dei giornali; si rastrellano computer, da decenni in dotazione agli inviati; si elimina la segreteria telefonica dai numeri interni del giornale; si riducono i fattorini, fin quasi a farli scomparire.

Si trasformano in giornalisti gli impiegati, che oggi curano e titolano l'inserto redazionale sulla casa, in edicola ogni settimana; e in impiegati i giornalisti, sovraccaricati di compiti impropri, che li distolgono dal loro lavoro: il tempo necessario a scrivere, valutare le notizie, pensare a cosa mettere in pagina, scegliere le fotografie e redigerne le didascalie, titolare gli articoli, viene sempre più eroso da quello speso a fare fotocopie, ad andare su e giù per le scale tra la redazione, la direzione e la tipografia.

Si perdono energie e pazienza in operazioni contabili per le note spese o i fogli di trasferta, misurandosi con una farraginosa burocrazia informatica, onde far risparmiare qualche ora di lavoro da impiegato. Il segretario di redazione è stato eliminato, e le sue funzioni sono svolte da personale amministrativo.

Le trasferte dei giornalisti sono state drasticamente ridotte: si può dire che non seguiamo quasi più gli avvenimenti in diretta, ma ce li facciamo raccontare dalle agenzie. E a decidere, a dire "qui sì e qui no", non sarebbe il direttore responsabile, come prescrive il contratto, ma l'amministrazione, in un regime di quasi commissariamento professionale.



Questo si è verificato addirittura durante l'agonia del Papa. Un collega stava partendo per la Polonia, come è accaduto in tutti i giornali: aveva già il biglietto in tasca. Ma l'amministrazione, a quanto risulta, ha detto di no. Che reazione ha avuto il direttore, anche dopo aver constatato che Il Mattino, "fratello minore" del gruppo, aveva invece regolarmente il suo inviato?

Ma la vicenda del Papa è istruttiva anche per altri aspetti. Tutti i giornali si preparavano ad uscire con un'edizione straordinaria se Giovanni Paolo II fosse morto di mattina: persino Metro. Tutti, tranne Il Messaggero, cioè il più importante di Roma: l'amministrazione ha infatti negato il consenso alla direzione.

Un inserto già pronto, per la nomina del nuovo Papa, è stato poi smantellato: Benedetto XVI, infatti, è stato eletto di martedì, e il mercoledì, come di consueto, doveva uscire l'inserto pubblicitario "Roma motori usato". Lo stesso avviene quando si tratta di "allargare" il giornale per adeguarlo all'evolversi delle notizie, o anche solo di spostare la pubblicità per un'intervista o un servizio importanti, giunti tardi. Trattative infinite, e quasi sempre perdenti, con l'azienda.

Persino la copertura delle nozze fra Camilla e Carlo d'Inghilterra, per tutte le testate avvenimento da prima pagina, anziché essere affidata a un giornalista inviato sul posto (scelta che pareva scontata, visto che il giornale della capitale è privo di un corrispondente dal Regno Unito, come non ne ha più a Bruxelles, a Parigi, a Mosca, a Berlino) è stata delegata ad una collaboratrice e a un professore universitario che scriveva dall'Italia.

Nemmeno per un evento ben più importante, le elezioni politiche del 5 maggio, abbiamo inviato un giornalista in Gran Bretagna. Un collega era stato incaricato dalla direzione di seguire il viaggio europeo di Bush, come hanno fatto Corriere, Repubblica, Stampa, Sole 24 ore. Ma, ancora una volta, appresa l'entità dei costi che la trasferta comportava, l'amministrazione ha bloccato tutto. Poveri lettori, affezionati a un giornale che non può più guardare il mondo con i suoi occhi. La morte del principe Ranieri di Monaco, è stato un evento in grado certamente d'interessare i lettori d'un giornale popolare come il nostro: nessun inviato nemmeno a Montecarlo, cioè quasi "fuori porta".

Vi è poi una novità, che ci indigna sul piano deontologico. Sempre più spesso i giornalisti del Il Messaggero viaggiano ospiti di chi organizza gli eventi. C'è qualcuno che abbia spiegato all'azienda che proprio questi sono i servizi che un grande giornale dovrebbe vietare? Che per un collega ospitato e riverito diventa più difficile mantenere il necessario distacco critico rispetto all'evento che deve coprire, che così va a farsi benedire l'indipendenza, e si crea anzi un rapporto distorto con le fonti? Glielo avete spiegato all'azienda, colleghi del Cdr? Glielo ha spiegato il direttore? Si è cercato di far capire che il prestigio, la credibilità, il potere contrattuale di una testata dipendono anche dalla sua immagine all'esterno? Dalla visibilità della sua indipendenza?

Nessun giornale è immune dal condizionamento degli interessi dell'editore; tutti quelli "grandi" si preoccupano però di contenerne i toni e l'ingombro nell'informazione. Anche questo, forse, fa la differenza.

Ma il fatto strabiliante è che, mentre vengono decisi provvedimenti da giornale in agonia, da "ormai abbiamo raschiato il fondo del barile", il conto economico mostra margini imponenti. Il bilancio della Messaggero Spa, relativo all'esercizio 2004, presentato il 19 aprile scorso all'assemblea degli azionisti di Caltagirone Editore, evidenzia un attivo di circa 66 milioni di euro. Ma - si spiega - per una cinquantina di milioni è determinato dall'applicazione straordinaria di nuove norme contabili. Comunque sia, un utile reale di almeno 15 milioni di euro.

Il giornale gode di buona salute, e la circostanza non può che renderci felici. Ma con un attivo così elevato non si investe in risorse umane; si cancella l'ipotesi di un'edizione straordinaria per il Papa che è morto; si blocca un inserto su quello nuovo, si sacrificano qualità e notizie. Le agenzie hanno un peso sempre più importante, ma si decide che ne bastano due, l'Ansa e l'Adnkronos. L'abbonamento con l'Agenzia Italia è stato infatti disdetto, mentre il servizio Esteri non dispone neppure di agenzie straniere. Si tagliano drasticamente, e addirittura con effetto retroattivo, i compensi ai collaboratori.

Questi utili sono generati anche dal nostro impegno, e certamente dal traino formidabile della storia de Il Messaggero, lunga 127 anni. Cessato il protagonismo, si cerca forse di vivere, finché si può, di rendita? Qual è il progetto, quali i nuovi mercati che si intendono aggredire, con quali investimenti, e con quali risorse umane? Che ne è stato di quel modello di giornale indirizzato a una fascia medio-alta di lettori, che il direttore ci aveva proposto, e che per un anno avevamo cercato, con tutte le nostre forze, di realizzare? Non è certo così che si serve un target medio-alto. E' cambiato l'obiettivo? Quale altro tipo di giornale dobbiamo fare?

Temiamo che il progetto dell'editore sia quello di ridurre il nostro giornale ad un grande desk, ad una scatola di montaggio, ad una stazione appaltante di servizi comprati all'esterno (da agenzie di stampa, da potenti uffici di pubbliche relazioni al servizio di qualcuno, da freelances che devono sbarcare il lunario e da qualche professore universitario ansiosamente in cerca di mettersi in vista). Temiamo, per Il Messaggero, un futuro da free press. Una perdita di qualità che in poco tempo potrebbe provocare il tradimento anche dei nostri più affezionati, e purtroppo anziani, lettori .

Alcuni di noi hanno trascorso in via del Tritone molti anni, e sono profondamente preoccupati per la continua erosione che il giornale subisce nella sua credibilità e nella sua forza. Parliamo, discutiamo, avanziamo proposte. E, soprattutto, restiamo uniti.

Corrado Giustiniani, Orazio Petrosillo, Michele Concina, Rossella Lama, Marida Lombardo Pijola, Renato Pezzini, Jacopo Orsini, Claudia Guasco, Fabio Isman, Pietro Piovani, Renato Minore, Luca Cifoni.
(in ordine di firma).


Dagospia 23 Maggio 2005