UOME E DONNI - PER CAMBIARE L'ITALIA E DISTRUGGERE MANDRIE CRIMINALI DI TESTE DI CAZZO ABBIAMO BISOGNO DI TRIPLICI DONNE: STRONZI COME RICE, NON BELLI COME NAOMI, AVERE UN BUSH COME PADRINO E NON UN BRIATORE COME PATRON.

Francesco Bonami per "Zero", Marsilio Editore

Nella mitologia degli indiani Lakota esiste una dea che si chiama Winyan Nonpapika o "doppia donna". Questa divinità pare che aiuti donne e uomini a trovare la propria via verso un "terzo" sesso dove si combinano le qualità sia dei maschi che delle femmine. Insomma la dea Nonpapika avrebbe il potere di creare la "uoma" e il "donno", due figure che in teoria dovrebbero rendere la società più equilibrata.

L'uoma e il donno sono stati recentemente uniti, negli Stati Uniti, nella figura del metrosexual, uomini particolarmente attenti a come si presentano, gente ai quali piace darsi una custodita dalle tre alle quattro volte al giorno tipo Ricucci, detto "spazzola". Da noi né Nonpapika né il metrosexual sono stati ancora registrati, siamo imbrigliati nelle vecchie categorie di uomini, froci, donne e lesbiche. Anche se il pecoreccio ex governatore del Lazio e neo ministro dell'insanità, Sto-race, un perfetto esempio di donno lo ha trovato in Rosy Bindi, confermando l'idiosincrasia che il maschio italiano ancora ha, non solo per qualsiasi forma di correttezza politica, ma anche per essere "upgraded" a una classe di civiltà a noi ancora ignota.

Nel Nord America le donne indiane diventavano capi, guerrieri, shamani. Da noi ancora preferiamo le donne dei capi con le giarrettiere o quelle che lavano gli asciugamani. La crisi di un popolo e di una cultura passa anche da queste sclerosi dei ruoli. Il 20 settembre del 1973, all'Astrodome di Houston in Texas, Billie Jean King, mitica tennista sesso-terzista, stracciò in tre set secchi Bobby Riggs, vecchio campione di Wimbledon che la menava troppo sulla superiorità dei maschi nel mondo e nel tennis. Molte cose cambiarono quel giorno e fu anche vendicata la povera Margaret Court, altra campionessa, che il giorno della mamma, quindici maggio dello stesso anno, fu strapazzata dal mandrillo Riggs.

Da noi nel 1973 non si poteva ancora né divorziare né abortire, e la Prestigiacomo aveva solo tredici anni. Nessuna si è mai azzardata a sfidare Adriano Panatta e i leader del movimento erano tutti con la barba, la spranga in mano e fra le gambe. Il donno Patty Pravo era in declino e l'uoma Gianna Nannini non esisteva ancora. È vero le donne non si radevano né le gambe né sotto le ascelle e oggi gli uomini si radono tutto, anche sotto le calcagna, ma una vera sfida fra maschi e femmine da noi non c'è mai stata e la dea "doppia donna" non è mai arrivata.

Le nostre dee sono, ahimè, mezze donne, l'altra metà è di botulino e silicone, e i nostri dei sono quarti di bue, con zerbini di pelo artificiale sulla testa. Da una società con gli uomini nel podere e le donne in cucina siamo passati dentro una società con gli uomini nel potere e le donne in piscina; ci manca, come in tutto il resto, un passaggio verso la modernità. Abbiamo bisogno delle nostre divinità.

A me vengono in mente non doppie divinità come agli indiani nordamericani ma triangoli divini. Il primo triangolo che mi figuro è questo: a sinistra Nilde Iotti, a destra Sonia Maino, ovvero Sonia Gandhi, e in cima, sulla punta del triangolo equilatero, Hillary Rodham Clinton. Rivoluzione, tradizione, sesso. Il secondo triangolo funziona così: a sinistra Mina, a destra Alessandra Mussolini, in cima Condoleeza Rice. Mito, storia, razza. Il terzo, e ultimo, triangolo, invece, sta in questo modo: a sinistra Franca Rame, a destra Maria Cristina Fazio, in punta Suha, la moglie di Arafat.
Ombra, amicizia, corruzione. Ora, prendendo queste tre trinità insieme o separatamente si può provare a colmare il vuoto contemporaneo femminile della nostra società. Si può provare a trasformare una società di donne del capo in una società di donne capo, donne guerriero, donne sciamano. All'Italia in questo momento manca la testa, l'aggressività, lo spirito per uscire dalle sabbie mobili della nostra modernità poliomelitica. L'omo non ci riesce, è inutile, si rade, si trapianta, si gonfia, ma senza la donna popputa, baffuta, sbarbina, sbracciata, slabbrata, sdraiata, sventata, snervata, devota e curiosa, non ie la fa, non esiste, non funziona.

L'omo italicus ripete in tutti i campi del potere e del sapere umano gli stessi errori, gli stessi patetici, datati, spelati riti della mascolinità che fanno ridere i polli e fanno piangere il resto dell'umanità. L'italiano è un mussulmano, con l'harem con i letti a castello, che crede nell'abbronzatura burka. L'italiano da galante è diventato galantina, da brillante è diventato brillantina. La lampada di aladino del macho italiano è la moka, il genio migliore che può uscirne fuori è Chiambretti, il peggiore Brunetta. Il codice Rocco è sbiadito, ma rimane la memoria della donna come "bene", non nel senso dantesco di bene come bontà, beatitudine, ma bene di lusso, di consumo, di proprietà.

L'autorità non l'esercita più il padre e poi il marito, come succede ancora a Riad, ma l'esercita la Rai e Mediaset. La nostra sharia stabilisce che le donne devono farsi vedere, devono scoprirsi, devono abbrustolirsi sulla pietra lavica per fare parte della società nella quale vivono. Agli islamici non piace la donna scopertina, noi invece adoriamo quella da copertina. Dalla mamma felice siamo passati alla madrassa Fallaci, un altro donno, che però difficilmente riusciremmo ad assimilare, se non fosse per il cappello borsalino che indossa e che giustifica le sue smitragliate verbali da gangster degli anni venti.

Anche nell'arte il maschio italiano ha imposto la sua sharia, le sue regole, il suo oscurantismo. Se non fosse per le signore, compagne, mogli, amiche, vere e proprie memorie storiche, archivi umani deambulanti, gli artisti dell'arte povera si sarebbero dissolti dentro una sorta di alzhaimer priapico. L'artista mette il muso quando gli manca la musa. Alla Biennale di Venezia le donne sono arrivate, dopo più di cent'anni, con l'offerta speciale, come il Dixan, due al prezzo di uno. Se non fosse per la moda, la Montalcini, la Hacker, e la profonda Golino, la donna in Italia starebbe ancora in panchina.

Ma il mister in Italia non funziona più, non è né imponente né impotente, sniffa e non soddisfa. Siamo custoditi da politici bellimbustoniani e spronati da baffuti birramorettiani. L'xy ha fatto cilecca e siamo stufi dell'xx che ci lecca. Sognamo di essere i cloni di Clooney e siamo invece i soliti coglioni con il cono. Abbiamo bisogno della nostra Wu Yi. viceministro del consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese. ministro della sanità ed esperta d'ingegneria petrolifera. Non di signore prestate da Giacomo, da Silvio, Umberto o chicchessia.



Abbiamo bisogno, in generale e per tutti, di più opportunità, più che opportunisticamente di far pari. Per questo è venuto il momento di guardare alle tre trinità, alle tre dee, che con le tre qualità combinate insieme potrebbero rivoluzionare il nostro paese, trasformarlo da doppia con uso matrimoniale in una società orgogliosamente ed efficacemente matriarcale.

La prima trinità del nuovo potere deve produrre una donna che sa essere rivoluzionaria - la lotti ci sarebbe riuscita se non fosse stato per Togliatti - una donna che sa inventarsi una tradizione e una dinastia, Sonia Gandhi, che da barista part-time all'università di Cambridge è arrivata ad essere il capo del primo partito indiano, il Congress Party, per rifiutare il posto di primo ministro di uno dei più grandi paesi del mondo.

Da noi il primo ministro farebbe il barista pur di prendere voti e il leader di un partito con lo 0,1% non si vergognerebbe di diventare primo ministro. Infine la donna capo. come Hillary Clinton. Deve saper saltare a piè pari le schifose debolezze sessuali del potente per imporre la dignità della propria identità, senza dover far banalmente vedere chi ha i pantaloni ma piuttosto che se ne frega di quelle che vanno in giro senza mutande. Da noi le debolezze sessuali del potente servono per far arrivare gli sfigati al potere dopo essersi fatto toccare o aver leccato il sedere.

La seconda trinità, triplice divinità, è un'altra alternativa per la nascita di una nuova Venere del potere italiano. Le tre qualità necessarie sono: saper essere un mito, nascondersi ma agire, parlare senza farsi vedere, come Mina. Saper essere sentimentali, rinvangare la storia, masturbare il balilla nostalgico che si nasconde dentro l'elettore nostrano. La Mussolini questo lo può fare, il passato non è sempre sangue ma non è neanche acqua. In una società multiculturale, extracomunitaria, a schiavitù paralegale, come la nostra, dove la catena del commercio umano si srotola ogni notte sui vialoni delle nostre stronzopoli, la triplice donna deve saper liberare gli elementi letali che si nascondono nella miscela di razza e genere, diventare capo per distruggere mandrie criminali di teste di cazzo. Per questa sfida bisogna essere stronzi come Condoleeza Rice, non belli come Naomi Campbell, avere un Bush come padrino e non un Briatore come patron.

Infine l'ultima trinità, forse la meno luminosa, ma forse, a questi chiari di luna, la più efficace per combattere il predominio maschile, che queste qualità ha usato e abusato. Per arrivare al potere bisogna essere ombra o ombretta, vedi Franca Rame o la Colli. La Rame, se non sbaglio, aveva lasciato, anni fa, Dario Fo in diretta televisiva, e lui non aveva fatto mistero di essere triste. Poi c'è stato il Nobel e tutto è rientrato. Su internet è difficile trovare una biografia della Rame da sola, viene sempre dietro, come un'ombra appunto, al marito, ma funziona.

Accanto alla donna ombra ci vuole la donna amica, una si nasconde, l'altra risponde, al telefono. La faziosa signora del governatore della Banca d'Italia, sembra essere perfetta. Infine, in punta al triangolo l'ultima qualità per il nuovo potere, la donna corrotta, la signora Arafat. Pare che il vecchio rais quando arrivavano i soldi avesse un sistema molto preciso di dividerli: «una parte mia e una parte sua», ma non «sua» del popolo palestinese, che stava lì ad aspettare, ma Suha, la consorte.

Ogni tonnellata di cemento che veniva venduta nella striscia di Gaza a settantaquattro dollari, magari agli israeliani per costruire qualche pezzetto di muro, diciassette finivano nelle tasche private sue e di Suha. Per cambiare l'Italia abbiamo bisogno di triplici donne; trivalenti, che superino l'ambiguità del singolo uomo, polivalente ma ripetente. Fra gli indiani Navajos c'era un tipo che si chiamava Hastiin Klah (1867-1937) che pare fosse una specie di Beppe Grillo degli altipiani del Nuovo Messico, uno con lo spirito doppio o in dialetto del luogo "nadleehì", in soldoni "quello capace di cambiare".

Per i Navajos i concetti di genere e identità sessuali erano molto fluidi, quando serviva fare il donno si tesseva la lana e quando serviva fare l'uoma si modellava la creta per i vasi. Anche altri indiani come gli Zuni non se la menavano troppo con le pari opportunità e discutevano spesso su cosa è che fa essere un uomo un uomo e una donna una donna. Fra le risposte ci fu anche quella di madre natura che fece nascere We'wha, la famosissima "uomo-donna", frequentatrice dei salotti politici e delle toilette per sole donne di Washington verso la fine dell'Ottocento. Noi abbiamo avuto Amanda Lear e poi la donna-donna Ilona Staller, ma le percentuali del potere sono rimaste inalterate.

Il potere logora chi non ce l'ha, diceva l'uomo di tutti gli uomini, quindi le donne, ma oggi chi non è logorato è logorroico, meglio ragazze che urlano e vogliono. Il feto nelle prime otto settimane non sa bene cosa vuole, far calare le palle o il taglietto fra le gambe, far scendere le radici del potere o aprire la voragine che lo divorerà? L'Italia sembra rimasta bloccata all'ottava settimana, non tanto feto ma un po' fetente. Non sappiamo più cos'è che fa un uomo un uomo e una donna una donna, non sappiamo nemmeno di cosa veramente donne e uomini abbiano bisogno. Nel dubbio gli uomini continuano a comandare e godono a rimandare, lasciando confuse molte donne che si domandano cosa sia un rammendo. Incapaci di cambiare dobbiamo cambiare. Molte storie d'Italia sono finite, anche la storia dei capi e delle loro donne. In un'epoca dove anche la femmina non ha problemi a diventare bomba non mi sembra più il caso di continuare a essere circondati da donne costrette ad abbronzarsi rimanendo, sotto i rami del potere, nell'ombra.


Dagospia 30 Novembre 2005