GINO STRADA, LA BUONA COSCIENZA DI UNA DI COMPAGNIA DI GIRO DELLA CARITÀ ESIBITA - UN "LIBERATE TOMMASO!" NON SI NEGA A NESSUNO - MINOLI: CARO GRASSO, TUTTA INVIDIA - PINO DANIELE CAMBIA CASA? E IO ME NE FACCIO UNA RAGIONE.
1 - CARI RICCHI, NON FATE DI STRADA UNA BANDIERA
Aldo Grasso per il "Corriere della Sera Magazine"
Le vecchie zie insegnavano che non sta bene mettere becco in casa d'altri, nei loro affari di famiglia. È già così difficile occuparsi dei propri! Però quando un affare di famiglia finisce per volontà delle parti sui giornali, be', è come se la cosa ci riguardasse, specie se si tratta di vil denaro. Il conte Giannino Marzotto, classe 1928, ha annunciato al premier Silvio Berlusconi, ospite in una sua tenuta, di volergli elargire un consistente contributo elettorale, un assegno in stile signor Bonaventura da un milione di euro. Al padre ha risposto subito la figlia Margherita, con una lettera aperta pubblicata sull'inserto «Economia» del Corriere della Sera. Papà ripensaci, è il succo della missiva, invece di dare i soldi a Berlusconi perché non finanzi Emergency di Gino Strada che vuole costruire un ospedale cardiochirurgico in Africa? Pronta e piccata replica del padre: «Poiché ho già lasciato a te più di quanto basta a te stessa, mi auguro tu ne voglia liberamente e largamente disporre con calma, secondo le tue generose ma inconsistenti idee».
Fatti loro, ripeterebbero le vecchie zie. Però una tale baruffa è così inusuale, e anche divertente, che vien voglia di prendere le parti. Certo è difficile digerire una simile oblazione a favore di Berlusconi (è già così ricco di suo e può provvedere al sostentamento del partito, e anche degli alleati) ma è altrettanto difficile condividere la scelta a favore di Gino Strada. Non per le cose che fa (di fronte a cui non possiamo che inchinarci) ma per quello che dice, e soprattutto per quello che rappresenta. Gino Strada è ormai la guida carismatica (e purtroppo ideologica) di una sorta di compagnia di giro della carità esibita, in buona parte milanese, composta da comici, banchieri, calciatori, petrolieri, soubrette, politici, giornalisti, signore bene che hanno fatto di Emergency la loro buona coscienza sociale. Gente, verrebbe da dire, che ha «più di quanto basta a se stessa» e che, naturalmente, è libera di finanziare chi vuole e cosa vuole (specie se si tratta di ospedali per i più bisognosi ma che farebbe bene a non spettacolarizzare troppo la propria munificenza e, qualche volta, a interrogarsi sulle imbarazzanti contraddizioni ideologiche di Gino Strada.
2 - UN "LIBERATE TOMMASO!" NON SI NEGA A NESSUNO.
Giampiero Mughini per "Il Foglio"
Ma smettetela con questa retorica da due soldi. Smettetela, o italiani miei coevi, di pronunciare per ogni dove un "liberate Tommaso!". Lo sapete benissimo che non serve a nulla e che non vale nulla, non certo a commuovere l'animo di quelli che gli hanno messo le grinfie addosso. Figuratevi se non vorrei che quel bambinetto violato e sequestrato tornasse alla sua vita e alla sua famiglia. Quel che trovo ributtante è questa saga paesana dove nessuno si nega un "liberate Tommaso!" da un canale televisivo o da una tribuna semistituzionale.
Certo che con il pubblico popolare funziona alla grande questo sentimentalismo a gratis, e ne viene un palese giovamento al cachet televisivo o quanto al gradimento del personaggio pubblico. Retori da due soldi che non siete altro, lasciate perdere il povero e toccante Tommaso, e lasciate lavorare la polizia che spero li becchi e li frantumi di botte quei delinquenti.
E invece magari succederà che i delinquenti verranno presi, e innanzi ai giudici e ai poliziotti racconteranno allora la loro infanzia difficile, e che a quel punto la stessa Italia coeva di Pulcinella che ha pianto per Tommaso si auguri che i delinquenti vadano agli arresti domiciliari e siano trattati con i guanti. Come già per il bambinetto massacrato a Cogne, e per il quale provo solo pudore e silenzio, fareste bene a tacere o miei connazionali fatti di cartapesta e di retorica. Per una volta.
3 - CARO GRASSO, TUTTA INVIDIA
Lettera di Giovanni Minoli al "Corriere della Sera Magazine"
Leggo l'articolo di Aldo Grasso che mi riguarda (Corriere Magazine n. 8). E colgo l'occasione per qualche precisazione. "La storia siamo noi" (il titolo è di Francesco De Gregori, non di Parascandalo) è diventato il progetto numero uno in Europa di Storia in Tv (circa 700 puntate in tre anni) con successo di critica e di ascolti. Solo quest'anno ha vinto l'Oscar Tv per il miglior programma culturale e di informazione (la prima volta di un programma Educational). Il Premiolino. E - ricevuto dalle mani del Presidente Ciampi - il Premio Ischia come miglior giornalista di inchiesta dell'anno. Quanto al "Grande Talk", è stato un felice esempio di collaborazione tra Raiedu e Sat 2000. Abbiamo trasformato un programma invisibile in un programma «cult». Finita la collaborazione noi abbiamo preso la nostra strada (e il successo è rimasto immutato), loro la loro.
Per descrivere i sentimenti del direttore Boffo, al momento della separazione, bastano le sue parole «Caro Giovanni... nella stagione del nostro apprendistato l'incontro con te e la tua competenza è stato davvero provvidenziale. Non lo potremo dimenticare». Quanto alla «minolizzazione» credo sia una caratteristica di ogni direttore dare un segno del suo lavoro. Forse non è capitato alla Radio con la direzione Grasso. Ma questo è un altro discorso, o forse è «il discorso»... l'invidia è una pessima consigliera.
Risponde Aldo Grasso: A volte mi lascio prendere la mano e dimentico che Minoli è il più grande, il più intelligente, il più fascinoso dirigente mai espresso dalla Rai. Non il più amato, visto che il mio pezzullo ha provocato una inaspettata messe di telefonate di consenso, specie dai piani alti di Viale Mazzini. Se altri vorranno precisare le paternità di programmi o i congedi da altri, liberi di farlo.
Per quel che mi riguarda ricordo che la mia direzione radiofonica è durata sei mesi (fin troppo per uno che alle spalle non ha nessuno e comunque molto meno dell'esperienza di Minoli a Stream, a proposito del lasciare un segno del proprio lavoro). Non sono per nulla invidioso, anzi approfitto dell'occasione per fare a Minoli i migliori auguri per la direzione generale o per qualunque altro prestigioso incarico che il nuovo esecutivo vorrà assegnargli.
PINO DANIELE CAMBIA CASA? E IO ME NE FACCIO UNA RAGIONE
Lettera di Clemente J. Mimun al "Corriere della Sera Magazine"
Leggo che Pino Daniele (Corriere Magazine n. 8) afferma di aver venduto la sua casa di Sabaudia perché era stufo di incontrarmi sulla spiaggia. Al di là della dichiarazione formale di antipatia nei miei confronti, di cui mi farò rapidamente una ragione, escludo di averlo mai incontrato nella mia vita e, da quel che egli dice, penso di non essermi perso proprio niente.
Dagospia 09 Marzo 2006
Aldo Grasso per il "Corriere della Sera Magazine"
Le vecchie zie insegnavano che non sta bene mettere becco in casa d'altri, nei loro affari di famiglia. È già così difficile occuparsi dei propri! Però quando un affare di famiglia finisce per volontà delle parti sui giornali, be', è come se la cosa ci riguardasse, specie se si tratta di vil denaro. Il conte Giannino Marzotto, classe 1928, ha annunciato al premier Silvio Berlusconi, ospite in una sua tenuta, di volergli elargire un consistente contributo elettorale, un assegno in stile signor Bonaventura da un milione di euro. Al padre ha risposto subito la figlia Margherita, con una lettera aperta pubblicata sull'inserto «Economia» del Corriere della Sera. Papà ripensaci, è il succo della missiva, invece di dare i soldi a Berlusconi perché non finanzi Emergency di Gino Strada che vuole costruire un ospedale cardiochirurgico in Africa? Pronta e piccata replica del padre: «Poiché ho già lasciato a te più di quanto basta a te stessa, mi auguro tu ne voglia liberamente e largamente disporre con calma, secondo le tue generose ma inconsistenti idee».
Fatti loro, ripeterebbero le vecchie zie. Però una tale baruffa è così inusuale, e anche divertente, che vien voglia di prendere le parti. Certo è difficile digerire una simile oblazione a favore di Berlusconi (è già così ricco di suo e può provvedere al sostentamento del partito, e anche degli alleati) ma è altrettanto difficile condividere la scelta a favore di Gino Strada. Non per le cose che fa (di fronte a cui non possiamo che inchinarci) ma per quello che dice, e soprattutto per quello che rappresenta. Gino Strada è ormai la guida carismatica (e purtroppo ideologica) di una sorta di compagnia di giro della carità esibita, in buona parte milanese, composta da comici, banchieri, calciatori, petrolieri, soubrette, politici, giornalisti, signore bene che hanno fatto di Emergency la loro buona coscienza sociale. Gente, verrebbe da dire, che ha «più di quanto basta a se stessa» e che, naturalmente, è libera di finanziare chi vuole e cosa vuole (specie se si tratta di ospedali per i più bisognosi ma che farebbe bene a non spettacolarizzare troppo la propria munificenza e, qualche volta, a interrogarsi sulle imbarazzanti contraddizioni ideologiche di Gino Strada.
2 - UN "LIBERATE TOMMASO!" NON SI NEGA A NESSUNO.
Giampiero Mughini per "Il Foglio"
Ma smettetela con questa retorica da due soldi. Smettetela, o italiani miei coevi, di pronunciare per ogni dove un "liberate Tommaso!". Lo sapete benissimo che non serve a nulla e che non vale nulla, non certo a commuovere l'animo di quelli che gli hanno messo le grinfie addosso. Figuratevi se non vorrei che quel bambinetto violato e sequestrato tornasse alla sua vita e alla sua famiglia. Quel che trovo ributtante è questa saga paesana dove nessuno si nega un "liberate Tommaso!" da un canale televisivo o da una tribuna semistituzionale.
Certo che con il pubblico popolare funziona alla grande questo sentimentalismo a gratis, e ne viene un palese giovamento al cachet televisivo o quanto al gradimento del personaggio pubblico. Retori da due soldi che non siete altro, lasciate perdere il povero e toccante Tommaso, e lasciate lavorare la polizia che spero li becchi e li frantumi di botte quei delinquenti.
E invece magari succederà che i delinquenti verranno presi, e innanzi ai giudici e ai poliziotti racconteranno allora la loro infanzia difficile, e che a quel punto la stessa Italia coeva di Pulcinella che ha pianto per Tommaso si auguri che i delinquenti vadano agli arresti domiciliari e siano trattati con i guanti. Come già per il bambinetto massacrato a Cogne, e per il quale provo solo pudore e silenzio, fareste bene a tacere o miei connazionali fatti di cartapesta e di retorica. Per una volta.
3 - CARO GRASSO, TUTTA INVIDIA
Lettera di Giovanni Minoli al "Corriere della Sera Magazine"
Leggo l'articolo di Aldo Grasso che mi riguarda (Corriere Magazine n. 8). E colgo l'occasione per qualche precisazione. "La storia siamo noi" (il titolo è di Francesco De Gregori, non di Parascandalo) è diventato il progetto numero uno in Europa di Storia in Tv (circa 700 puntate in tre anni) con successo di critica e di ascolti. Solo quest'anno ha vinto l'Oscar Tv per il miglior programma culturale e di informazione (la prima volta di un programma Educational). Il Premiolino. E - ricevuto dalle mani del Presidente Ciampi - il Premio Ischia come miglior giornalista di inchiesta dell'anno. Quanto al "Grande Talk", è stato un felice esempio di collaborazione tra Raiedu e Sat 2000. Abbiamo trasformato un programma invisibile in un programma «cult». Finita la collaborazione noi abbiamo preso la nostra strada (e il successo è rimasto immutato), loro la loro.
Per descrivere i sentimenti del direttore Boffo, al momento della separazione, bastano le sue parole «Caro Giovanni... nella stagione del nostro apprendistato l'incontro con te e la tua competenza è stato davvero provvidenziale. Non lo potremo dimenticare». Quanto alla «minolizzazione» credo sia una caratteristica di ogni direttore dare un segno del suo lavoro. Forse non è capitato alla Radio con la direzione Grasso. Ma questo è un altro discorso, o forse è «il discorso»... l'invidia è una pessima consigliera.
Risponde Aldo Grasso: A volte mi lascio prendere la mano e dimentico che Minoli è il più grande, il più intelligente, il più fascinoso dirigente mai espresso dalla Rai. Non il più amato, visto che il mio pezzullo ha provocato una inaspettata messe di telefonate di consenso, specie dai piani alti di Viale Mazzini. Se altri vorranno precisare le paternità di programmi o i congedi da altri, liberi di farlo.
Per quel che mi riguarda ricordo che la mia direzione radiofonica è durata sei mesi (fin troppo per uno che alle spalle non ha nessuno e comunque molto meno dell'esperienza di Minoli a Stream, a proposito del lasciare un segno del proprio lavoro). Non sono per nulla invidioso, anzi approfitto dell'occasione per fare a Minoli i migliori auguri per la direzione generale o per qualunque altro prestigioso incarico che il nuovo esecutivo vorrà assegnargli.
PINO DANIELE CAMBIA CASA? E IO ME NE FACCIO UNA RAGIONE
Lettera di Clemente J. Mimun al "Corriere della Sera Magazine"
Leggo che Pino Daniele (Corriere Magazine n. 8) afferma di aver venduto la sua casa di Sabaudia perché era stufo di incontrarmi sulla spiaggia. Al di là della dichiarazione formale di antipatia nei miei confronti, di cui mi farò rapidamente una ragione, escludo di averlo mai incontrato nella mia vita e, da quel che egli dice, penso di non essermi perso proprio niente.
Dagospia 09 Marzo 2006