CROPPI, IL "FASCIOCOMUNISTA" CHE FA TREMARE ROMA - MILITANTE FUAN E MSI, HA LAVORATO PER RUTELLI. ORA È L'ALTER EGO DI RETROMANNO - MAI ISCRITTO AD AN - MOTTO: ENTRARE A SINISTRA PER VINCERE A DESTRA.
Denise Pardo per "L'espresso"
Dettaglio non privo di una sua importanza: due mesi dopo lo storico ribaltone politico della Città Eterna, ancora non conosce Gianni Letta. In compenso, fa tremare Roma e la sua corte, che teme il rogo. È vero che vive fuori porta, a Palestrina, con moglie (l'americana Jennifer, conosciuta in'un ex colonia dell'Impero, l'Eritrea) e due figli. Ma è pur vero che questo la dice lunga sulle priorità del suo Pantheon e sui suoi legami con il potere temporale: "Quel sistema non esiste più".
Con quello spirituale va meglio. Il suo pater in tal senso è il vescovo della suddetta cittadina, quel monsignor Segalini, mammasantissima dell'Azione cattolica, peraltro molto vicino a Francesco Rutelli. Umberto Croppi, cristone alto e robusto, fisico da orso Yoghi secondo quelli che gli vogliono bene, da picchiatore (ma, assicura lui, non lo è mai stato) per quelli che ne diffidano, politicamente parlando è un alieno. È stato lo spin doctor della vittoria di Gianni Alemanno. Ma aveva lavorato al Campidoglio con Rutelli. L'hanno soprannominato il Karl Rove dell'onda nera. Ma in un momento della sua vita l'onda era stata Verde. Si dichiara "uno dei pochi cattolici veri, partito da posizioni lefevriane per arrivare a quella dei cattolici di sinistra alla Pietro Scoppola".
Ce n'è per tutti i gusti. Eppure, coram populo, non è un trasformista, né un voltagabbana. Più un movimentista fissato con l'apertura a sinistra. Certamente l'esponente di una nuova antropologia di politici di destra, una nouvelle vague di sangue misti, di meticci arzilli e double face. Come un Mon Cherì: neri fuori, un po' rossi dentro.
Ora, da assessore alle Politiche culturali, proprio la poltrona a cui aspirava, è il fachiro seduto sulla montagna di musei, teatri, notti bianche, estati romane, feste del cinema, e della mega macchina dell'Auditorium: una montagna più pungente di un letto di chiodi per mancanza di fondi e rosso dei bilanci. Ma al di là di questo, per la sua antica ossessione di voler rivoluzionare la destra, oltre che per il suo rapporto con il Capo, è l'uomo chiave dell'amministrazione alemanna: per qualcuno, il Goffredo Bettini di quella parte là. "Va bene", acconsente garbato, "purché si riconosca che esiste anche il Walter Veltroni della destra".
Un eretico freddo. Il sostenitore di un fascismo paradossale, quasi una decalcomania del fronte opposto. Più che un fascista, un fasciocomunista. Classe 1956, Croppi nasce missino, rautiano (Pino Rauti è il suocero di Alemanno) frondista di Giorgio Almirante ("Lo odiavo", ha confidato a Claudio Sabelli Fioretti), non proprio un fan di Gianfranco Fini ("Ora i nostri rapporti sono molto migliorati"). Ha militato nel Fuan, nel Fronte della Gioventù senza, sostiene lui, aver mai usato la parola camerata, né accarezzato con affetto nessun simbolo della buonanima di Benito. E finora, non è mai stato iscritto a An.
Punto di riferimento centrale del nuovo ecosistema politico che ha vinto a Roma, ma che si proietta con un formidabile potenziale nazionale, Croppi, secondo la leggenda, è il regista della giunta e l'alter ego di Alemanno, nonostante il carattere di entrambi non proprio alla Cip e Ciop. Il sindaco, a dir poco, è un tipo ombroso.
Croppi, per rilassarsi, impugna l'ascia e fa razzia di legna nei boschi di Palestrina. Si racconta che quando il sindaco aveva annunciato di voler dedicare una strada ad Almirante, suscitando un vespaio, Croppi fosse dedito a un relax di deforestazione. Tornato in Campidoglio, il confronto tra i due è stato piuttosto franco, come direbbe un Minculpop decente. Croppi avrebbe commentato: "Più che dedicarle, le strade vanno prima aggiustate".
Nel 1976, è uno degli ideatori dei Campi Hobbit, Woodstock di destra ispirate al 'Signore degli anelli', bivacchi di rottura con la simbologia tradizionale del partito, dove l'attenzione per i temi ecologisti, la musica e la grafica si mescolava alle truci croci celtiche. "È stato molto più facile fare l'estate romana che i Campi Hobbit alla fine degli anni Settanta" ricorda l'assessore. Nel '91, quando Fini diventa segretario, molla l'Msi. È tra i fondatori della Rete di Leoluca Orlando che raccoglie tutto, destra e sinistra.
Poi passa ai Verdi. Fino a lavorare nella prima giunta Rutelli, a fianco del portavoce del sindaco Paolo Gentiloni che poi, da ministro, lo confermerà nel Consiglio delle comunicazioni. Dopo aver vagabondato in Africa, aver risollevato da direttore editoriale le sorti della Vallecchi di Firenze (e pubblicato 'Fascisti immaginari', dizionario-cult della destra), 15 anni più tardi, e a 47 giorni dal primo turno, Alemanno lo chiama per quella che sembra un'impresa ciclopica: la campagna per il Campidoglio. Croppi mette su una macchina da guerra. L'asso nella macchina è la perfetta conoscenza di mentalità e punti deboli rutelliani. "Studiavo le mosse di Francesco. Poi andavo da Alemanno: 'Se dichiari questo, loro impazziscono'".
Un trasversale, un multiuso, si direbbe. Soprattutto un turista politico rivoluzionario, amico di Adriano Sofri e primo uomo di destra a dialogare, tra gli strali dell'ortodossia di ambo le parti, con Massimo Cacciari. Un tipo fissato su un'operazione più sopraffina. Entrare a sinistra per vincere a destra. "Voglio essere l'ambasciatore tra mondi lontani", dice ora: "Mi dovrebbero dare l'assessorato del salvataggio della sinistra in via di estinzione, quella che ha votato per noi". Quando Lawrence Ferlinghetti, il grande poeta americano, icona della cultura beat, incontra Alemanno, chiede a Croppi: "Qui c'è una rivoluzione. Com'è possibile? Voi siete di destra. Si va dunque verso la destra?". "No, si va verso il futuro", gli risponde lui. Non sempre è così lirico.
Alla presentazione del cartellone del Silvano Toti Globe Theatre non ha risparmiato una battuta a Gigi Proietti, confermato direttore artistico per un anno, reo di aver pronosticato, in un'intervista a 'l'Unità' che Alemanno e i suoi avrebbero menato: "La notizia è che non meniamo. Per ora", gli ha sorriso feroce. Al solo nominare gli uomini forti, espressione del precedente sistema di potere, si concede una smorfia: "Tutto azzerato. Chi vendeva macchine tornerà a vendere macchine. Chi costruiva tornerà a costruire". Ha stima di Andrea Mondello, presidente di Unioncamere, affettuoso fiancheggiatore di Rutelli e Veltroni. E su Gian Luigi Rondi, neo presidente della Festa del Cinema, va oltre: "È l'uomo della transizione. Mi piacerebbe trovare un Marchionne della cultura".
Intanto, agita la scure dei tagli e gli animi dei molti amministratori culturali in scadenza. Tiene in bilico la sorte dell'Auditorium, successo cittadino e mondiale bettinian-veltroniano (un milione di presenze l'anno). Annulla la Notte bianca, almeno per la data prevista. "C'è bisogno di coordinare e razionalizzare flussi finanziari e organizzazione museale e teatrale. Veltroni gestiva tutto in prima persona contando sui suoi buoni rapporti con i poteri della città". Passa da una consultazione all'altra: Giacomo Marramao, Massimiliano Fuksas, Giorgio Van Straten. Achille Bonito Oliva lo chiama al telefono 2 mila volte e si fa annunciare Benito Oliva.
Gli tocca pure un intervento per la rassegna dedicata a Gianni Minà. Scrive che da assessore della prima giunta di centrodestra prova un certo imbarazzo, visto che il giornalista è un mito di sinistra: "Potrebbe essere l'occasione per prendere le distanze e dire qualcosa di destra". Invece, sceglie di dire qualcosa di sinistra, unendosi al plauso di Piero Marrazzo, Felice Laudadio, Luis Sepúlveda. Naturalmente, il fuoco 'amico' non si è fatto aspettare. "Continuismo con la vecchia giunta", hanno accusato il 'Secolo d'Italia' e il 'Giornale'. Ma l'operazione di ecclettismo politico e culturale spericolato che ha freschi precedenti (gli intellettuali di sinistra francesi consiglieri della destra o perfino l'offerta veltroniana della candidatura a Veronica Lario) continua.
Nel 2001, in un seminario della dalemiana Fondazione Italianieuropei, Bettini segnalava il pericolo della svolta della destra romana "passata nelle mani di giovani di talento, di formazione rautiana, alcuni colti e intelligentissimi". Sei anni dopo, la presa nera di Roma è cosa fatta. E Croppi, editore dei 'fascisti immaginari' ha fatto molto per farli diventare reali e portarli al potere nel cuore del Palazzo e dell'impero.
Dagospia 20 Giugno 2008
Dettaglio non privo di una sua importanza: due mesi dopo lo storico ribaltone politico della Città Eterna, ancora non conosce Gianni Letta. In compenso, fa tremare Roma e la sua corte, che teme il rogo. È vero che vive fuori porta, a Palestrina, con moglie (l'americana Jennifer, conosciuta in'un ex colonia dell'Impero, l'Eritrea) e due figli. Ma è pur vero che questo la dice lunga sulle priorità del suo Pantheon e sui suoi legami con il potere temporale: "Quel sistema non esiste più".
Con quello spirituale va meglio. Il suo pater in tal senso è il vescovo della suddetta cittadina, quel monsignor Segalini, mammasantissima dell'Azione cattolica, peraltro molto vicino a Francesco Rutelli. Umberto Croppi, cristone alto e robusto, fisico da orso Yoghi secondo quelli che gli vogliono bene, da picchiatore (ma, assicura lui, non lo è mai stato) per quelli che ne diffidano, politicamente parlando è un alieno. È stato lo spin doctor della vittoria di Gianni Alemanno. Ma aveva lavorato al Campidoglio con Rutelli. L'hanno soprannominato il Karl Rove dell'onda nera. Ma in un momento della sua vita l'onda era stata Verde. Si dichiara "uno dei pochi cattolici veri, partito da posizioni lefevriane per arrivare a quella dei cattolici di sinistra alla Pietro Scoppola".
Ce n'è per tutti i gusti. Eppure, coram populo, non è un trasformista, né un voltagabbana. Più un movimentista fissato con l'apertura a sinistra. Certamente l'esponente di una nuova antropologia di politici di destra, una nouvelle vague di sangue misti, di meticci arzilli e double face. Come un Mon Cherì: neri fuori, un po' rossi dentro.
Ora, da assessore alle Politiche culturali, proprio la poltrona a cui aspirava, è il fachiro seduto sulla montagna di musei, teatri, notti bianche, estati romane, feste del cinema, e della mega macchina dell'Auditorium: una montagna più pungente di un letto di chiodi per mancanza di fondi e rosso dei bilanci. Ma al di là di questo, per la sua antica ossessione di voler rivoluzionare la destra, oltre che per il suo rapporto con il Capo, è l'uomo chiave dell'amministrazione alemanna: per qualcuno, il Goffredo Bettini di quella parte là. "Va bene", acconsente garbato, "purché si riconosca che esiste anche il Walter Veltroni della destra".
Un eretico freddo. Il sostenitore di un fascismo paradossale, quasi una decalcomania del fronte opposto. Più che un fascista, un fasciocomunista. Classe 1956, Croppi nasce missino, rautiano (Pino Rauti è il suocero di Alemanno) frondista di Giorgio Almirante ("Lo odiavo", ha confidato a Claudio Sabelli Fioretti), non proprio un fan di Gianfranco Fini ("Ora i nostri rapporti sono molto migliorati"). Ha militato nel Fuan, nel Fronte della Gioventù senza, sostiene lui, aver mai usato la parola camerata, né accarezzato con affetto nessun simbolo della buonanima di Benito. E finora, non è mai stato iscritto a An.
Punto di riferimento centrale del nuovo ecosistema politico che ha vinto a Roma, ma che si proietta con un formidabile potenziale nazionale, Croppi, secondo la leggenda, è il regista della giunta e l'alter ego di Alemanno, nonostante il carattere di entrambi non proprio alla Cip e Ciop. Il sindaco, a dir poco, è un tipo ombroso.
Croppi, per rilassarsi, impugna l'ascia e fa razzia di legna nei boschi di Palestrina. Si racconta che quando il sindaco aveva annunciato di voler dedicare una strada ad Almirante, suscitando un vespaio, Croppi fosse dedito a un relax di deforestazione. Tornato in Campidoglio, il confronto tra i due è stato piuttosto franco, come direbbe un Minculpop decente. Croppi avrebbe commentato: "Più che dedicarle, le strade vanno prima aggiustate".
Nel 1976, è uno degli ideatori dei Campi Hobbit, Woodstock di destra ispirate al 'Signore degli anelli', bivacchi di rottura con la simbologia tradizionale del partito, dove l'attenzione per i temi ecologisti, la musica e la grafica si mescolava alle truci croci celtiche. "È stato molto più facile fare l'estate romana che i Campi Hobbit alla fine degli anni Settanta" ricorda l'assessore. Nel '91, quando Fini diventa segretario, molla l'Msi. È tra i fondatori della Rete di Leoluca Orlando che raccoglie tutto, destra e sinistra.
Poi passa ai Verdi. Fino a lavorare nella prima giunta Rutelli, a fianco del portavoce del sindaco Paolo Gentiloni che poi, da ministro, lo confermerà nel Consiglio delle comunicazioni. Dopo aver vagabondato in Africa, aver risollevato da direttore editoriale le sorti della Vallecchi di Firenze (e pubblicato 'Fascisti immaginari', dizionario-cult della destra), 15 anni più tardi, e a 47 giorni dal primo turno, Alemanno lo chiama per quella che sembra un'impresa ciclopica: la campagna per il Campidoglio. Croppi mette su una macchina da guerra. L'asso nella macchina è la perfetta conoscenza di mentalità e punti deboli rutelliani. "Studiavo le mosse di Francesco. Poi andavo da Alemanno: 'Se dichiari questo, loro impazziscono'".
Un trasversale, un multiuso, si direbbe. Soprattutto un turista politico rivoluzionario, amico di Adriano Sofri e primo uomo di destra a dialogare, tra gli strali dell'ortodossia di ambo le parti, con Massimo Cacciari. Un tipo fissato su un'operazione più sopraffina. Entrare a sinistra per vincere a destra. "Voglio essere l'ambasciatore tra mondi lontani", dice ora: "Mi dovrebbero dare l'assessorato del salvataggio della sinistra in via di estinzione, quella che ha votato per noi". Quando Lawrence Ferlinghetti, il grande poeta americano, icona della cultura beat, incontra Alemanno, chiede a Croppi: "Qui c'è una rivoluzione. Com'è possibile? Voi siete di destra. Si va dunque verso la destra?". "No, si va verso il futuro", gli risponde lui. Non sempre è così lirico.
Alla presentazione del cartellone del Silvano Toti Globe Theatre non ha risparmiato una battuta a Gigi Proietti, confermato direttore artistico per un anno, reo di aver pronosticato, in un'intervista a 'l'Unità' che Alemanno e i suoi avrebbero menato: "La notizia è che non meniamo. Per ora", gli ha sorriso feroce. Al solo nominare gli uomini forti, espressione del precedente sistema di potere, si concede una smorfia: "Tutto azzerato. Chi vendeva macchine tornerà a vendere macchine. Chi costruiva tornerà a costruire". Ha stima di Andrea Mondello, presidente di Unioncamere, affettuoso fiancheggiatore di Rutelli e Veltroni. E su Gian Luigi Rondi, neo presidente della Festa del Cinema, va oltre: "È l'uomo della transizione. Mi piacerebbe trovare un Marchionne della cultura".
Intanto, agita la scure dei tagli e gli animi dei molti amministratori culturali in scadenza. Tiene in bilico la sorte dell'Auditorium, successo cittadino e mondiale bettinian-veltroniano (un milione di presenze l'anno). Annulla la Notte bianca, almeno per la data prevista. "C'è bisogno di coordinare e razionalizzare flussi finanziari e organizzazione museale e teatrale. Veltroni gestiva tutto in prima persona contando sui suoi buoni rapporti con i poteri della città". Passa da una consultazione all'altra: Giacomo Marramao, Massimiliano Fuksas, Giorgio Van Straten. Achille Bonito Oliva lo chiama al telefono 2 mila volte e si fa annunciare Benito Oliva.
Gli tocca pure un intervento per la rassegna dedicata a Gianni Minà. Scrive che da assessore della prima giunta di centrodestra prova un certo imbarazzo, visto che il giornalista è un mito di sinistra: "Potrebbe essere l'occasione per prendere le distanze e dire qualcosa di destra". Invece, sceglie di dire qualcosa di sinistra, unendosi al plauso di Piero Marrazzo, Felice Laudadio, Luis Sepúlveda. Naturalmente, il fuoco 'amico' non si è fatto aspettare. "Continuismo con la vecchia giunta", hanno accusato il 'Secolo d'Italia' e il 'Giornale'. Ma l'operazione di ecclettismo politico e culturale spericolato che ha freschi precedenti (gli intellettuali di sinistra francesi consiglieri della destra o perfino l'offerta veltroniana della candidatura a Veronica Lario) continua.
Nel 2001, in un seminario della dalemiana Fondazione Italianieuropei, Bettini segnalava il pericolo della svolta della destra romana "passata nelle mani di giovani di talento, di formazione rautiana, alcuni colti e intelligentissimi". Sei anni dopo, la presa nera di Roma è cosa fatta. E Croppi, editore dei 'fascisti immaginari' ha fatto molto per farli diventare reali e portarli al potere nel cuore del Palazzo e dell'impero.
Dagospia 20 Giugno 2008