LO "SCIUSCIO'" DI SANTORO: "QUELLI COME ALDO GRASSO HANNO GIRATO LA TESTA DA UN'ALTRA PARTE. E TANTI COME LUI. I LIBERALI DEL SALOTTO DELLE LIBERTA'."
di Michele Santoro - Stralci della prefazione a "Sciuscò - Dal Raggio Verde a Sciuscià", libro edito da Zelig di Sandro Ruotolo con vignette di Vauro, in uscita il 22 ottobre. (testo tratto da La Stampa)
Quelli come Aldo Grasso hanno girato la testa dall'altra parte. E tanti altri con lui. Quelli che la libertà noi soltanto sappiamo cos'è veramente. I liberali del Salotto delle Libertà. Un salotto nel quale mi sono sempre rifiutato di mettere piede. Abbiamo sempre dato la parola a tutti. Soprattutto a chi non aveva altre occasioni per esprimere le proprie idee: i senza voce, i senza giornali, i pacifisti, i girotondi.
Quanti editoriali ha ospitato il Corriere della Sera contro la guerra del Kosovo? Nessuno. Ma i faziosi siamo noi. Perché se rifiuti l'ipocrisia della finta neutralità che emargina i diversi, che esclude i punti di vista alternativi, sei fazioso. Almeno Antonio Ricci potrebbe evitare di usare questa parola. Striscia la Notizia è neutrale? Figuriamoci. Chi ci accusa di essere faziosi insulta la verità. Prendiamo l'ultima campagna elettorale per le politiche.
Si concluse con due trasmissioni contrapposte. Su Canale 5 il Maurizio Costanzo Show con Silvio Berlusconi; su Rai Due Il Raggio Verde con Rutelli. Berlusconi vinse le elezioni ma quasi il doppio degli spettatori, sette milioni, scelsero di guardare noi. Ho sempre pensato che Fede ha il diritto di fare quello che vuole e il solo dovere di rispettare la legge. Ma chi paragona i nostri programmi al TG4, un telegiornale che in tutta la sua esistenza è riuscito a raccogliere sì e no metà degli ascoltatori del concorrente TG3, bestemmia.
Sciuscià è un programma leader per la quantità e la qualità dei suoi ascoltatori. E' la prima volta nella storia dell'Italia democratica che il presidente del Consiglio delibera la chiusura di un giornale prestigioso, lo smantellamento delle sue tipografie, la dispersione dei redattori e di un patrimonio editoriale. Un crimine politico.
Chi vuole nascondere la testa nella sabbia lo faccia ma eviti per lo meno di farci la predica. (...). Non ho mai interpretato il mio ruolo di conduttore come quello di un moderatore di una tribuna politica, che deve realizzare il «pluralismo perfetto» in ogni puntata. Ho invece utilizzato tutti gli elementi, tutti gli spunti, tutte le parole di una serata per costruire un racconto aperto, una storia avvincente senza finale.
Le nostre trasmissioni hanno raccontato il pericolo mafia quando i grandi giornali lo ignoravano e la corruzione quando Craxi era saldamente al potere; hanno ospitato i movimenti referendari quando erano proibiti e hanno dato la parola a Fini quando ancora veniva considerato fuori dall'arco costituzionale. Ogni volta siamo stati definiti faziosi. Ma a quale fazione avremmo fatto riferimento? Siamo stati scomodi per Andreotti e Forlani ma anche per Occhetto e D'Alema e, perfino, per Bertinotti, giornalisti indipendenti che devono esclusivamente al pubblico il loro successo.
Ora i miei ragazzi se ne stavano attaccati al muro, appollaiati sui mobili della mia stanza, con le sigarette accese e il fumo che si impastava al caldo appiccicoso. «Ci vai da Maurizio?». Forse si aspettavano da me un gesto clamoroso. Un miracolo di comunicazione che impedisse al gruppo di sfaldarsi. Pochi giorni prima avevo scritto a Costanzo che apprezzavo il suo invito: ma che non l'avrei accolto.
Mi sarei sentito come un galeotto che gode di mezz'ora d'aria sulle reti di proprietà del suo carceriere. E lui mi aveva risposto con una lettera aperta sul Corriere della Sera, dicendo che l'invito era suo e ricordando tutte le cose che avevamo fatto insieme. Telesogno e le staffette contro la mafia. La prima fu quella per Libero Grassi, l'imprenditore palermitano ammazzato per aver denunciato il pizzo e i condizionamenti mafiosi della politica. La seconda la facemmo subito dopo il suo attentato.
Lasciai il mio studio che la diretta era ancora in corso; e raggiunsi il Teatro Parioli in modo da passargli il testimone in diretta. Baldassarre mi avrebbe licenziato per abbandono del posto di lavoro. Ma non avrebbe fatto in tempo. Saccà mi avrebbe cacciato già da prima. Chi ha visto la staffetta per Libero Grassi ricorda che la conducemmo insieme, io e Costanzo. Doppia conduzione. I governi di allora tollerarono queste «scandalose» trasmissioni eppure non possedevano Tv.
E la Rai di allora le tollerò. Quei dirigenti non ci amavano ma amavano l'Azienda; e sapevano che noi rappresentavamo un legame forte con una parte importante del pubblico. «Non ci andrò al Costanzo Show. E non andrò da nessun'altra parte in televisione. Ai tempi delle staffette non ero un giornalista dimezzato. Non mi sentivo un caso umano. Non avevo bisogno di chiedere asilo politico. Ora voi dovete lavorare dove è possibile ma chi ci ha tolto il lavoro non ci ha tolto la dignità. E noi ci batteremo insieme fino a quando le nostre telecamere saranno riaccese». Sandro, Riccardo, Corrado, Maria, Paolo, Alessandra, Lello, Alessandro e tutti gli altri mi ascoltavano con attenzione.
Proprio come se dovessimo andare in onda il giorno dopo. Faceva caldo e la riunione di redazione era appena cominciata.
Dagospia.com 17 Ottobre 2002
Quelli come Aldo Grasso hanno girato la testa dall'altra parte. E tanti altri con lui. Quelli che la libertà noi soltanto sappiamo cos'è veramente. I liberali del Salotto delle Libertà. Un salotto nel quale mi sono sempre rifiutato di mettere piede. Abbiamo sempre dato la parola a tutti. Soprattutto a chi non aveva altre occasioni per esprimere le proprie idee: i senza voce, i senza giornali, i pacifisti, i girotondi.
Quanti editoriali ha ospitato il Corriere della Sera contro la guerra del Kosovo? Nessuno. Ma i faziosi siamo noi. Perché se rifiuti l'ipocrisia della finta neutralità che emargina i diversi, che esclude i punti di vista alternativi, sei fazioso. Almeno Antonio Ricci potrebbe evitare di usare questa parola. Striscia la Notizia è neutrale? Figuriamoci. Chi ci accusa di essere faziosi insulta la verità. Prendiamo l'ultima campagna elettorale per le politiche.
Si concluse con due trasmissioni contrapposte. Su Canale 5 il Maurizio Costanzo Show con Silvio Berlusconi; su Rai Due Il Raggio Verde con Rutelli. Berlusconi vinse le elezioni ma quasi il doppio degli spettatori, sette milioni, scelsero di guardare noi. Ho sempre pensato che Fede ha il diritto di fare quello che vuole e il solo dovere di rispettare la legge. Ma chi paragona i nostri programmi al TG4, un telegiornale che in tutta la sua esistenza è riuscito a raccogliere sì e no metà degli ascoltatori del concorrente TG3, bestemmia.
Sciuscià è un programma leader per la quantità e la qualità dei suoi ascoltatori. E' la prima volta nella storia dell'Italia democratica che il presidente del Consiglio delibera la chiusura di un giornale prestigioso, lo smantellamento delle sue tipografie, la dispersione dei redattori e di un patrimonio editoriale. Un crimine politico.
Chi vuole nascondere la testa nella sabbia lo faccia ma eviti per lo meno di farci la predica. (...). Non ho mai interpretato il mio ruolo di conduttore come quello di un moderatore di una tribuna politica, che deve realizzare il «pluralismo perfetto» in ogni puntata. Ho invece utilizzato tutti gli elementi, tutti gli spunti, tutte le parole di una serata per costruire un racconto aperto, una storia avvincente senza finale.
Le nostre trasmissioni hanno raccontato il pericolo mafia quando i grandi giornali lo ignoravano e la corruzione quando Craxi era saldamente al potere; hanno ospitato i movimenti referendari quando erano proibiti e hanno dato la parola a Fini quando ancora veniva considerato fuori dall'arco costituzionale. Ogni volta siamo stati definiti faziosi. Ma a quale fazione avremmo fatto riferimento? Siamo stati scomodi per Andreotti e Forlani ma anche per Occhetto e D'Alema e, perfino, per Bertinotti, giornalisti indipendenti che devono esclusivamente al pubblico il loro successo.
Ora i miei ragazzi se ne stavano attaccati al muro, appollaiati sui mobili della mia stanza, con le sigarette accese e il fumo che si impastava al caldo appiccicoso. «Ci vai da Maurizio?». Forse si aspettavano da me un gesto clamoroso. Un miracolo di comunicazione che impedisse al gruppo di sfaldarsi. Pochi giorni prima avevo scritto a Costanzo che apprezzavo il suo invito: ma che non l'avrei accolto.
Mi sarei sentito come un galeotto che gode di mezz'ora d'aria sulle reti di proprietà del suo carceriere. E lui mi aveva risposto con una lettera aperta sul Corriere della Sera, dicendo che l'invito era suo e ricordando tutte le cose che avevamo fatto insieme. Telesogno e le staffette contro la mafia. La prima fu quella per Libero Grassi, l'imprenditore palermitano ammazzato per aver denunciato il pizzo e i condizionamenti mafiosi della politica. La seconda la facemmo subito dopo il suo attentato.
Lasciai il mio studio che la diretta era ancora in corso; e raggiunsi il Teatro Parioli in modo da passargli il testimone in diretta. Baldassarre mi avrebbe licenziato per abbandono del posto di lavoro. Ma non avrebbe fatto in tempo. Saccà mi avrebbe cacciato già da prima. Chi ha visto la staffetta per Libero Grassi ricorda che la conducemmo insieme, io e Costanzo. Doppia conduzione. I governi di allora tollerarono queste «scandalose» trasmissioni eppure non possedevano Tv.
E la Rai di allora le tollerò. Quei dirigenti non ci amavano ma amavano l'Azienda; e sapevano che noi rappresentavamo un legame forte con una parte importante del pubblico. «Non ci andrò al Costanzo Show. E non andrò da nessun'altra parte in televisione. Ai tempi delle staffette non ero un giornalista dimezzato. Non mi sentivo un caso umano. Non avevo bisogno di chiedere asilo politico. Ora voi dovete lavorare dove è possibile ma chi ci ha tolto il lavoro non ci ha tolto la dignità. E noi ci batteremo insieme fino a quando le nostre telecamere saranno riaccese». Sandro, Riccardo, Corrado, Maria, Paolo, Alessandra, Lello, Alessandro e tutti gli altri mi ascoltavano con attenzione.
Proprio come se dovessimo andare in onda il giorno dopo. Faceva caldo e la riunione di redazione era appena cominciata.
Dagospia.com 17 Ottobre 2002