UN GIOCATTOLO DA 2,5 MILIARDI DI EURO - QUESTA LA MONTAGNA DI SOLDI SPESI (O BUTTATI?) DAI “MECENATI” DAL CALCIO ITALIANO PER DIVENTARE “POPOLARI” - PRIMATO ASSOLUTO A MORATTI: PIU’ DI UN MILIARDO NELLE CASSE DELL’INTER - BERLUSCONI A QUOTA 600 MILIONI PER IL MILAN, GLI AGNELLI A 214 PER LA JUVE - SEGUONO GARRONE (SAMP, 181 MILIONI) E DELLA VALLE (FIORENTINA, 165) - I PIU’ TIRCHI? POZZO (UDINESE), LOTITO (LAZIO) E DE LAURENTIIS (NAPOLI)…

Marco Iaria per "Gazzetta.it"

Ora che il mecenatismo italiano è andato in crisi, ora che Berlusconi e Moratti si sono convertiti all'austerity, vien da tremare a sentire questa cifra: 2,5 miliardi di euro. È quanto i dieci grandi patriarchi del calcio tricolore hanno sborsato per le rispettive società, da quando hanno messo piede in questo mondo a oggi. Il calcolo preciso fa 2.483 milioni e si riferisce a tutti gli apporti in conto capitale, sotto forma di versamenti o ricapitalizzazioni, che si sono resi necessari per tenere in vita il giocattolo.

Tradotto: senza quei soldi il pallone del Belpaese, così come lo intendiamo, non ci sarebbe. Moratti nell'Inter, Berlusconi nel Milan, Agnelli nella Juventus, Garrone nella Sampdoria, Della Valle nella Fiorentina, Preziosi nel Genoa, Zamparini nel Palermo, Pozzo nell'Udinese, De Laurentiis nel Napoli, Lotito nella Lazio: la nostra ricerca si concentra su questi proprietari, in rigoroso ordine di "generosità".

Domanda d'obbligo: e la Roma? Nella capitale, sponda giallorossa, il tramonto del mecenatismo all'italiana si è già consumato, con l'addio dei Sensi e il subentro degli americani fiancheggiati da UniCredit. Il ricorso a capitali stranieri non dovrebbe chiudersi qui, a giudicare dalle dichiarazioni di intenti di questo o quel presidente, sempre più fiaccato dalla crisi, sempre più stanco di un sistema squilibrato.

OLTRE OGNI LOGICA - Bravi a macinare profitti col petrolio, le tv, la moda, i giocattoli, i supermercati, i nostri dieci super-imprenditori hanno agito fuori dalle regole del business - con le dovute eccezioni - dal momento in cui si sono spinti a diversificare le loro attività includendovi il calcio. Che è uno spettacolo bellissimo, accende le passioni, vanta un giro d'affari da colosso industriale. E tuttavia dimentica troppo speso le elementari regole dell'economia (285 milioni le perdite della Serie A nel 2010-11).

Certo, nessuno fa beneficenza. Quando il paperone di turno drizza le antenne verso un rettangolo verde, è mosso (quasi) sempre da un secondo fine. Perché il palcoscenico del più grande fenomeno di massa della penisola garantisce visibilità e privilegi, asseconda manie di grandezza, in alcuni casi (prendete il consolidato fiscale) consente pure qualche vantaggio pecuniario.

Nessuno, per esempio, riuscirà a stabilire un saldo tra il dare e l'avere dell'avventura più lunga e insieme più emblematica, quella di Silvio Berlusconi nel Milan, le cui vicende si sono intrecciate inestricabilmente con la politica e gli affari. Ma, in fin dei conti, chi compra una squadra di calcio - in Italia soprattutto - sa bene che difficilmente ci guadagnerà.

I TRE PRIMATTORI - L'ultimo quarto di secolo ha raccontato, comunque, storie differenti. Prendete le tre big. Berlusconi, che ha acquistato la società rossonera nel 1986, in 26 anni ha sborsato quasi 600 milioni di euro per assicurare la continuità aziendale del club. Gli amministratori della stragrande maggioranza dei club avvertono sempre: "Il socio di riferimento ha espresso il consueto impegno a supportare anche per il futuro, in caso di necessità, economicamente e finanziariamente la società e su tale presupposto è stato redatto il presente bilancio d'esercizio".

È così per il Milan, è così soprattutto per l'Inter: dal 1995 gli interventi dei soci sul capitale nerazzurro sono ammontati addirittura a 1.160 milioni. Massimo Moratti ha tirato fuori di tasca sua oltre un miliardo. Adesso, sia il rossonero che l'interista hanno detto basta avviando (soprattutto il primo) una pesante opera di risanamento. Per la Juventus è un po' diverso. La quotazione in Borsa del 2001 ha portato nelle casse dell'Ifi, la holding di casa Agnelli, 100 milioni, destinati a risollevare le sorti dell'allora agonizzante Fiat. Nel post-Calciopoli si è proceduto a due aumenti di capitale, per un totale di 225 milioni: 141 sono stati garantiti dalla Famiglia, il resto dal mercato e, in minima parte, dai libici. Volendo fare un confronto fra i tre grandi magnati del calcio, si scopre che, dal 1986, a fronte dei 600 milioni di Berlusconi e del miliardo di Moratti, gli Agnelli ne hanno spesi 214.

GLI ALTRI - Immediatamente sotto, due capitani d'industria come Garrone e Della Valle. In 11 anni il primo ha assecondato le ambizioni della Sampdoria al prezzo di 181 milioni, un po' di più dei 165 versati nel forziere della Fiorentina dal secondo. Non hanno mostrato il braccino corto nemmeno Enrico Preziosi (64 milioni al Genoa) e Massimo Zamparini (59 milioni al Palermo).

Ma c'è pure chi va controcorrente: presidenti che sono riusciti a tenere i conti in ordine evitando di intaccare le loro risorse personali. Il primato spetta a Claudio Lotito. Per assumere il controllo della Lazio (al 67%) ha investito 21 milioni tra il 2004 e il 2006, ma i costi di acquisizione sono esclusi dai nostri calcoli. Mai il patron biancoceleste è dovuto intervenire in conto capitale per soccorrere il club. Lo ha imitato, a parte le prime difficili stagioni, Aurelio De Laurentiis. E sostanzialmente pure Gianpaolo Pozzo (20 milioni diluiti in 26 anni). Mosche bianche.

 

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