A.A.A. VENDESI ILVA AL MIGLIOR OFFERENTE - IL DECRETO DI RIGOR MONTIS È UN MODO PER COSTRINGERE I RIVA A VENDERE L’AZIENDA - MA CHI SAREBBE IN GRADO DI ACCOLLARSI I COSTI DI RISANAMENTO SE NON GLI STRANIERI? – IN PISTA CINESI, BRASILIANI DI VALE, I RUSSI DI SEVERSTAL, GRUPPI INDIANI E I GIAPPONESI DI NIPPON STEEL- C’È CHI DIFENDE I RIVA: L’ASSOCAMUNA LI HA NOMINATI “IMPRENDITORI DELL’ANNO”…

1 - L'AZIENDA COSTRETTA ALLA VENDITA FORZATA, GIÀ AVVIATE TRATTATIVE CON GRUPPI STRANIERI
Roberto Mania e Corrado Zunino per "La Repubblica"

La macchina che può portare all'espropriazione e alla vendita dell'Ilva è stata messa in moto. Il governo pensa che l'impianto di Taranto, con i suoi 20mila addetti - considerando anche l'indotto -, abbia un futuro ma non pensa che il profondo processo di ristrutturazione debba essere guidato dalla famiglia Riva. Anzi. Il decreto varato ieri è una sorta di avvertimento. L'ultimo. E Taranto sta diventando il nuovo campo di battaglia della guerra globale dell'acciaio. Quella che vede in difficoltà la vecchia Europa a vantaggio degli ormai ricchi paesi del "club dei Bric" (Brasile, Russia, India e Cina) che stanno conquistando la siderurgia mondiale. Solo la Cina controlla più del 40% della produzione, la grande industria di base è nelle loro mani.

Falcidiata dall'inchiesta della procura di Taranto, con due componenti agli arresti domiciliari e un latitante, la famiglia Riva apparentemente resiste. Dice che non venderà mai "il siderurgico", così crollerebbe l'impero. Ma dietro le quinte i Riva, direttamente e attraverso i legali che da Milano seguono da anni l'azienda, hanno avviato contatti con i potenziali acquirenti. Ci sono gruppi cinesi, i brasiliani di Vale (colosso che produce anche il minerale di ferro, fondamentale per l'integrazione con l'Ilva).

Qualche segnale è arrivato dai russi di Severstal, che in Italia stanno chiudendo gli ex impianti Lucchini di Piombino e Trieste (non meno di 6mila lavoratori in esubero). E gruppi indiani e i giapponesi di Nippon Steel, forti di una tecnologia all'avanguardia, tanto più necessaria in un impianto che va riorganizzato. Fonti vicine al governo parlano di un interesse del gruppo Mittal, lo stesso che vuole disfarsi dell'impianto francese di Florange, da cui è arrivato il ferro per la Torre Eiffel. Di fronte all'ipotesi di questa dismissione il presidente François Hollande è arrivato a parlare di una nazionalizzazione a tempo dello stabilimento, fino a quando non si troverà un acquirente.

È la guerra dell'acciaio. Ed è difficile oggi pensare che i Riva possano sostenere un
investimento da 3,5 miliardi di euro (solo per la bonifica) nei prossimi due anni e mezzo per migliorare altoforni e batterie usando solo le risorse prodotte a Taranto. Alcuni istituti di credito locali parlano in maniera esplicita della "soluzione cinese" e più volte i fratelli Riva hanno lamentato che con il sequestro dell'area a caldo le banche non concedevano più mutui e prestiti. Ma c'è dell'altro. Solo nell'ultima versione del decreto è stata introdotta una sanzione severa, inaspettata dagli addetti ai lavori: in caso di inadempienze, la proprietà dovrà pagare una multa pari al 10% del fatturato relativo all'ultimo bilancio approvato. Una cifra intorno ai 900 milioni.

Dunque, è un cordone sanitario quello predisposto dal governo: c'è il garante (dovrà essere una personalità sul modello Enrico Bondi capace di attenuare il conflitto con la magistratura), ci sono le sanzioni e poi l'ipotesi dell'esproprio con un richiamo esplicito non solo all'articolo 41 della Costituzione (la libertà di impresa e i relativi vincoli), ma anche all'articolo 43 che prevede il trasferimento allo Stato, "mediante espropriazione" (salvo indennizzo), di aziende che abbiano preminente interesse generale.

Il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, nega che il portato di questo decreto possa tradursi in una nazionalizzazione. Tra l'altro, non ci sarebbero le risorse. Ma la pressione sanzionatoria è il passaggio chiave che può costringere alla cessione da parte dei Riva. È l'ultima carta che il garante potrà buttare sul tavolo, nel caso l'azienda non rispettasse le prescrizioni per la bonifica, per mettere in liquidazione l'impianto e cercare acquirenti. Certo, con il decreto di ieri Mario Monti ha detto che l'Ilva non riguarda più solo la famiglia dei Riva. È un caso di "preminente interesse generale".

A Taranto è obsoleta l'organizzazione produttiva, ma nonostante questo l'impianto (il più grande a ciclo integrato d'Europa) è efficiente, ha una buona logistica, tassi di assenteismo bassi (non era così quando i Riva subentrarono all'Italsider dell'Iri). Sono tutti fattori che lo rendono appetibile. E che rischiano di portare anche l'Ilva in mani straniere.


2 - RIVA E FIGLI «IMPRENDITORI DELL'ANNO»
Da "La Stampa"

Ha il sapore della provocazione il premio «imprenditori dell'anno» che l'Assocamuna, l'associazione degli imprenditori della Valcamonica ha appena assegnato a Emilio Riva e figli (Ilva). Legambiente si dice sconcertata e si domanda «che criterio abbia usato l'Assocamuna per premiare «un capitano d'industria raggiunto da un provvedimento di arresti domiciliari e accusato di disastro ambientale». Gli ecologisti definiscono Riva e figli «protagonisti di una delle situazioni industriali e ambientali più drammatiche della storia d'Italia».

Gli industriali bresciani, tuttavia, si difendono per bocca del cofondatore di Assocamuna, Luigi Buzzi: «Sono con Riva e contro i provvedimenti della magistratura fuori tempo, dannosi e persecutori». Una presa di posizione netta che ha fatto ulteriormente infuriare Legambiente e i movimento ecologisti che si domandano quale cultura imprenditoriale abbiano associazioni di categoria che non riconoscono il valore della tutela della salute e dell'ambiente. Valori che sono ormai riconosciuti in tutto il resto del mondo. «Definire i provvedimenti della magistratura fuori tempo, dannosi e persecutori ci sembra davvero troppo».

 

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