1- ALLARME ROSSO IN FINMECCANICA! ORSI E C. HANNO CAPITO CIÒ CHE PER TUTTI È CHIARO: LAVITOLA HA DECISO DI FARSI ARRESTARE SULLA BASE DI UN PRESUMIBILE ACCORDO CHE LO PORTERÀ A “CANTARE” COME UN TENORE DAVANTI AI MAGISTRATI DI NAPOLI 2- COME SE NON BASTASSE C’È POI IL PROBLEMA RAPPRESENTATO DALLA RICHIESTA DI ARRESTO DEL SENATORE SERGIO DE GREGORIO, CHE NEL SUO RUOLO DI PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE DIFESA DEL SENATO E LEADER DEL MOVIMENTO “ITALIANI NEL MONDO”, HA SEMPRE SEGUITO CON PARTICOLARE ATTENZIONE LE INIZIATIVE DI AGUSTAWESTLAND 3- GIANFRANCO CARBONATO: QUESTO POTREBBE ESSERE IL PREZZO CHE SQUINZI PAGHERÀ A BOMBASSEI PER METTERE LA PAROLA FINE ALLA TELENOVELA DI CONFINDUSTRIA 4- MENTRE MARPIONNE FA IL SERBO LORO, TERMINI IMERESE E DE TOMASO VERSO IL CRAC

IL VENTO STA CAMBIANDO E I TOP MANAGER DI FINMECCANICA TEMONO CHE SI APRA UN'ALTRA PAGINA DRAMMATICA SULLA LORO AZIENDA

1- IL VENTO STA CAMBIANDO E I TOP MANAGER DI FINMECCANICA TEMONO CHE SI APRA UN'ALTRA PAGINA DRAMMATICA SULLA LORO AZIENDA
Alcuni collaboratori di Giuseppe Orsi, il comandante supremo di Finmeccanica, stanno facendo un sopralluogo al centro congressi che si trova in via Alibert a poca distanza da piazza di Spagna e dall'Accademia di Francia.

Sotto le volte della grande sala convegni si terrà il 16 maggio l'Assemblea del Gruppo, e molti sperano che prima di quella data non si scateni l'inferno. L'arrivo in Italia del faccendiere Lavitola è un segnale preoccupante perché dalla valigetta di questo ambiguo personaggio potrebbero saltare fuori sorprese sgradevoli sugli affari condotti a Panama ai tempi in cui il Gruppo era pilotato dalla coppia Guarguaglini-Grossi, mentre Orsi guidava AgustaWestland.

Alcuni giornali non esitano a chiamare in causa il povero Orsi, il manager della Lega e di Comunione&Fatturazione che da un anno ricopre la carica di presidente e amministratore delegato. È il caso di "Repubblica" che in un articolo di Carlo Bonini ripercorre le oscure vicende dietro ai contratti tra Finmeccanica e il governo panamense, e ricorda che all'epoca in cui si svolsero Orsi era l'amministratore delegato di Agusta. Scrive il giornale: "non ci vuole un indovino per prevedere nuovi, difficili giorni in piazza Monte Grappa".

Nel palazzo di vetro i top manager sono molto preoccupati perché hanno capito ciò che per tutti è chiaro: Lavitola ha deciso di farsi arrestare sulla base di un presumibile accordo che lo porterà a "cantare" come un tenore di prima grandezza davanti ai magistrati di Napoli e di altre procure.

Come se non bastasse c'è poi il problema rappresentato dalla richiesta di arresto del senatore Sergio De Gregorio, che nel suo ruolo di presidente della Commissione Difesa del Senato e leader del movimento politico "Italiani nel mondo", ha sempre seguito con particolare attenzione le iniziative industriali di AgustaWestland.

E qui il problema per i collaboratori più stretti del manager (in particolare per il mite Marco Forlani e lo staff della comunicazione) è rappresentato dalla necessità di far sparire a qualsiasi costo le notizie e le fotografie che dimostrano l'intensità dei rapporti tra il massiccio uomo politico e il manager di piazza Monte Grappa.

L'operazione è tutt'altro che facile perché anche utilizzando le tecniche più sofisticate dell'informatica che consentono di cancellare le informazioni su Google e sui blog, ancora oggi è possibile andare sul sito di De Gregorio per trovare conferma dei rapporti particolarmente intensi tra i due personaggi.

C'è una fotografia del 2007 in cui Orsi sorride in mezzo a una delegazione di senatori tra cui Paolo Guzzanti e Calogero Mannino, durante una visita a Philadelphia dove aveva sede uno stabilimento di AgustaWestland. E poi ci sono le parole entusiaste che De Gregorio ha pronunciato nel luglio dello stesso anno quando si è recato a Vergiate in visita presso gli stabilimenti della stessa società, accompagnato da Orsi. In quell'occasione era presente anche l'ambasciatore Sergio Vento al quale l'amministratore delegato regalò un modellino dell'elicottero della Casa Bianca.

Questi episodi del tutto irrilevanti sotto il profilo giudiziario, disturbano comunque la marcia di Orsi verso la riconferma nel doppio incarico. Eppure sia lui che i suoi collaboratori sabato avevano fatto le capriole quando Federico Rampini, giornalista di punta di "Repubblica", aveva scritto un articolo di sconcertante generosità sull'areo-elicottero che AgustaWestland metterà in commercio per i vip americani a partire dal 2016. Nessuno a Roma si sarebbe aspettato che il giornalista-scrittore genovese arrivasse al punto di sciogliersi in un peana così sfacciato nei confronti della "Ferrari dei cieli".

Il vento sta cambiando e i top manager di Finmeccanica temono che si apra un'altra pagina drammatica sulla loro azienda. Anche i politici sembrano prendere le distanze come dimostrano le dichiarazioni rilasciate alla vigilia del dibattito che si apre oggi sulle spese militari.

L'ultimo esempio di questa disaffezione è arrivato due giorni fa dal sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto che senza mezzi termini ha dichiarato: "sappiamo tutti che la galassia di Finmeccanica è un carrozzone della Prima Repubblica usato come serbatoio di consenso per collocamenti e operazioni imposte dalla politica".

Se un uomo come Crosetto parla in questo modo, che cosa mai potrà dire un faccendiere come Lavitola che ha sguazzato dentro Finmeccanica con la complicità di alcuni manager e di ballerine sudamericane?


2- GIANFRANCO CARBONATO QUESTO POTREBBE ESSERE IL PREZZO CHE SQUINZI PAGHERÀ A BOMBASSEI PER METTERE LA PAROLA FINE ALLA TELENOVELA DI CONFINDUSTRIA.
L'appuntamento è per le ore 10 di giovedì a viale dell'Astronomia. In quel giorno e a quell'ora si riunirà la Giunta di Confindustria e si chiuderanno definitivamente i giochi per la squadra del nuovo presidente Squinzi.

Come era facile prevedere non ci sarà alcuna rottura clamorosa tra i due schieramenti che si sono contrapposti per la successione alla Marcegaglia. Ieri Bombassei ha riunito all'hotel Melia di Milano gli imprenditori che lo hanno votato e uscendo dalla riunione ha rilasciato una dichiarazione che taglia corto: "stiamo cercando di trovare degli equilibri nell'interesse di Confindustria. Qualcuno ha esagerato parlando di spaccature. Non siamo su posizioni opposte e non c'è niente di personale".

I giochi stanno per chiudersi e chi tra qualche anno avrà voglia di ricostruire questa piccola battaglia non potrà comunque ignorare la sgradevole impressione provocata dalla nascita di una corrente all'interno del "partito confindustriale". Oggi però questo scivolone nella vecchia politica dei partiti e delle poltrone sembra superato e la nuova squadra del patron di Mapei è quasi fatta.

A farne parte ci saranno sicuramente personaggi come Zegna, Diana Bracco, Ivan Lo Bello, Fulvio Conti, Aurelio Regina e Carlo Pesenti che avrà il compito di guidare il Comitato per quella riforma dell'Associazione che i due contendenti hanno messo al primo punto dei loro manifesti. Scontata è anche la nomina del nuovo direttore generale Giampiero Massolo, che lascerà il ministero degli Esteri dopo aver provato la delusione della mancata designazione all'ambasciata italiana in America.

L'unico punto su cui i due schieramenti sono ancora divisi è la vicepresidenza per le relazioni industriali, un ruolo particolarmente delicato che Bombassei ha gestito negli anni con la logica del falco e che oggi è più che mai attuale.

Secondo i rumors di viale dell'Astronomia Squinzi avrebbe messo il veto sul nome di Stefano Parisi anche se sono in molti a dire che questa è stata più un'autocandidatura che un'ipotesi reale. Da parte sua Bombassei sembra riluttante nei confronti di Stefano Dolcetta, l'imprenditore vicentino che dopo la laurea all'università di Verona e un'esperienza di dieci anni fuori dall'azienda di famiglia produttrice di batterie, ha ripreso in mano le redini della società fondata dal nonno nel 1942 e gestisce un gruppo presente in 60 paesi.

Contro l'ipotesi di mettere tra le mani di Dolcetta la patata bollente delle relazioni industriali si sta facendo strada l'ipotesi di puntare su Gianfranco Carbonato, il 67enne titolare di un'azienda meccanica che nel 2008 è diventato presidente dell'Unione industriali di Torino. Anche se dopo l'8 settembre ha chiuso la filiale di Detroit della sua società, questo personaggio sposato con una donna che per anni ha seguito le pubbliche relazioni in Pininfarina, pare che non dispiaccia affatto a Sergio Marpionne e alla Fiat.

Nelle ultime ore le pressioni in suo favore si sono moltiplicate e questo potrebbe essere il prezzo che Squinzi pagherà a Bombassei per mettere la parola fine alla telenovela di Confindustria.


3- MENTRE MARPIONNE FA IL SERBO LORO, TERMINI IMERESE E DE TOMASO VERSO IL CRAC
"Noi siamo quello che facciamo". È questa la scritta che campeggia sul nuovo stabilimento inaugurato ieri in Serbia da Sergio Marpionne.

Il manager dal pullover sgualcito è dotato di robusti ingredienti culturali e lo ha dimostrato in numerose interviste ricche di colte citazioni. La scritta che campeggia nel nuovo insediamento serbo è la stessa che appare a Pomigliano e nel quartier generale di Chrysler, e pare che sia stata partorita dallo stesso Marpionne senza rendersi conto che legare l'identità della persona umana al lavoro è semplicemente un orrore e un errore da veteromarxista.

A questa forzatura si aggiungono le parole pronunciate ieri nel sito che si trova a 150 chilometri a Sud di Belgrado quando ha detto che la decisione di investire in Serbia "è un chiaro riconoscimento della capacità e dell'affidabilità di questo Paese".

Chi vuole capire capisca. Per chi stenta si tratta dell'ennesimo messaggio che esprime la distanza delle sue strategie da quell'Italia dove la guida del governo è affidata al suo carissimo amico "migliore di tutti", Mario Monti.

Così mentre i serbi plaudono all'iniziativa, nessuno si degna di capire che cosa succederà degli ultimi brandelli dell'industria automobilistica italiana. Eppure sotto gli occhi ci sono due casi clamorosi che confermano l'agonia irreversibile del settore. Il primo è quello di Termini Imerese, dove la Fiat ha ceduto per 1 euro il suo stabilimento all'imprenditore molisano Massimo Di Risio. Costui, ex-corridore automobilistico e concessionario Lancia a Macchia di Isernia, avrebbe dovuto prendere le redini dell'insediamento siciliano.

Con grandi squilli di trombe annunciò di voler produrre 60mila vetture l'anno impiegando oltre 1.300 ex-dipendenti Fiat. A dargli manforte nelle sue ambizioni è stata Invitalia, l'agenzia guidata da Domenico Arcuri, ma fino ad oggi questo Di Risio si è rivelato latitante. Sembra addirittura che non solo lascerà in braghe di tela i 1.300 dipendenti, ma che non riesca da quattro mesi a pagare nemmeno lo stipendio ai 140 lavoratori dello stabilimento di Isernia dove si trova la casa madre del suo Gruppo.

L'altro esempio è arrivato la scorsa notte da Torino dove un operaio si è incatenato per protesta davanti al cancello della villa di Gianmario Rossignolo, l'80enne manager dai capelli bianchi che nel 2009 ha rilevato il marchio glorioso de Tomaso, l'azienda fondata a Modena nel 1959 dal pilota argentino Alejandro de Tomaso.

Dopo molte peripezie e un'infinità di annunci Rossignolo che a Torino conoscono bene per le sue esperienze alla Fiat e che a Roma ricordano per la megalomania con cui nel '98 gestì la presidenza di TelecomItalia, pare intenzionato a mollare entro la fine di questo mese la partita sulla de Tomaso. Finora dice di aver perso insieme ai tre figli una decina di milioni, e ritiene che senza l'arrivo di fantomatici investitori cinesi non valga più la pena impegnarsi nell'investimento.


4- SARMI IN TILT
Avviso ai naviganti: "Si avvisano i signori naviganti che Massimo Sarmi, il manager delle Poste dalle orecchie generose, è di nuovo in crisi.

Ieri per l'ennesima volta il sistema informatico Sdp utilizzato nei 14mila uffici è andato in tilt tra le proteste di migliaia di clienti. L'episodio è la replica dei numerosi incidenti iniziati nel giugno dell'anno scorso quando l'IBM tradì Sarmi in maniera clamorosa. Per i sindacati il capo delle Poste dovrebbe a questo punto dimettersi e l'azienda essere privatizzata.

Le due cose sembrano poco probabili mentre più facile sarebbe per il manager di Malcesine cambiare il fornitore dei suoi apparati elettronici".

 

 

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