1- LA BANCAROTTA DELL’IMPERO DI DON SALVATORE TRASCINA LA GALASSIA MEDIOBANCA-GENERALI-UNICREDIT-RCS-TELECOM IN UNA GUERRA DI POTERE FEROCE 3- NEL MIRINO LE AMBIZIONI “CUCCIANE” DI NAGEL, TUTTI UNITI PER FARGLI PAGARE TUTTO: DALLA CACCIATA DI GERONZI E DI PERISSINOTTO DA GENERALI (REO DI AVER APPOGGIATO I SUOI AMICI ARPE E MENEGUZZO, CAPIFILA DELLA CORDATA SATOR-PALLADIO, SCHIERATI CONTRO UNIPOL PER LA CONQUISTA DI FONSAI) 3- I SEGNALI DI INSOFFERENZA, VERSO MEDIOBANCA, SONO ORMAI TANTI. TROPPI. DAL FALLIMENTO DELLE MIRE SU BPM E BURANI A QUELLO SU IMPREGILO

Massimo Giannini per La Repubblica

Consob-Ligresti-5/8/2012. «Una brutta pagina di storia per il capitalismo italiano». Al piano nobile della sede di Piazza Verdi della Consob (il quinto, dove «alloggiano» il presidente Giuseppe Vegas e l'intero board della Commissione) si respira un'aria pesante. Lo scandalo Ligresti è molto più che «degradante », come lo definiscono eufemisticamente i garantisti a contratto della scandaleide berlusconiana (Ferrara sul "Foglio", ndr). È invece potenzialmente devastante, per quel poco che resta del Salotto Buono che fu, ai tempi del Grande Vecchio Enrico Cuccia.

La bancarotta dell'impero di Don Salvatore, che attraversa gli ultimi quattro anni della parabola declinista dell'asfittica e autoreferenziale finanza tricolore, sta travolgendo i già precari equilibri della Galassia del Nord. Chiama pesantemente in causa Mediobanca (e di riflesso Generali e tutti i «satelliti» del sistema) che è ormai nel mirino delle indagini di Vigilanza e delle inchieste giudiziarie. Nasconde una guerra di potere feroce,
che si combatte dal 2009.

E che in un vortice di geometrie variabili vede alternarsi, nel ruolo di carnefici e vittime, i principali protagonisti di un establishment ormai compromesso: non solo Ligresti e i suoi figli, ma anche Cesare Geronzi e Vincent Bolloré, Alberto Nagel e Renato Pagliaro, Giovanni Perissinotto e Alessandro Profumo. Una partita mortale, che si è giocata e si
gioca in due tempi diversi.

L'AFFARE GROUPAMA-FONSAI
Il primo tempo della partita, sul quale stanno indagando la magistratura e la Vigilanza, si gioca tra la primavera del 2009 e l'autunno del 2010. A ricostruire quel match e' la Consob, nel documento riservato trasmesso la settimana scorsa alla Procura della Repubblica di Milano.

Un testo di 63 cartelle, più 23 pagine di allegati, firmato dal presidente Vegas, che ricostruisce per filo e per segno i passi compiuti in quell'anno dal finanziere bretone Vincent Bolloré, per «manipolare i corsi azionari» dei titoli Premafin, la holding dei Ligresti che ha in pancia Fonsai, e per consentire l'ingresso massiccio nel capitale dei francesi di Groupama.

L'atto d'accusa, sottoscritto da Vegas, recita, a pagina 62: «Sussistono elementi in base ai quali e' ragionevole concludere che Vincent Bolloré abbia posto in essere una manipolazione del mercato delle azioni Premafin, nella forma di acquisti di tali azioni effettuati tramite Financiere de l'Odet SA e Financiere du Perguet SAS nel periodo 22 settembre-22 ottobre 2010 con modalità e in tempi idonei a produrre un aumento del prezzo delle azioni Premafin da 0,8 euro a livelli prossimi a 1-1,1 euro, ottenendo l'effetto di stabilizzarlo intorno a 1 euro, nell'ambito della preparazione di un accordo tra Groupama e il gruppo Ligresti che prevedeva, tra l'altro, l'acquisizione da parte di Groupama di una partecipazione in Premafin tramite un aumento di capitale con emissione di nuove azioni al prezzo di 1,1 euro. Potrebbe essere, pertanto, configurabile l'illecito di manipolazione del mercato previsto dall'articolo 185 del decreto legislativo numero 58/1998».

La Consob documenta fino in fondo il gran lavoro di Bolloré, per raggiungere i suoi scopi. «Dal 2009 - si legge nel documento - il gruppo Ligresti ha manifestato difficoltà economiche, con connesse tensioni finanziarie, aggravatesi nel 2010». Nella sostanza, il crac della famiglia comincia lì, e il finanziere bretone ne approfitta per entrare in campo.
Comincia a rastrellare azioni Premafin, e intanto prepara il terreno per l'operazione con Groupama.

Una rete fitta di incontri serve allo scopo. «Il 23 giugno 2010 ha incontrato Jean Azema, discutendo con lui della situazione finanziaria di Premafin e Fondiaria-Sai». «Il 25 giugno ha incontrato Jonella Ligresti... Cinque giorni più tardi, il 30 giugno 2010, presso la sede di Unicredit, socio rilevante di Mediobanca e finanziatore di Sinergia e Premafin, ha incontrato Alessandro Profumo, al quale ha presentato un documento» nel quale si delineava già l'operazione Groupama.

In autunno un'altra girandola di incontri, il 14, il 19 e il 20 ottobre, di nuovo con Azema, con Profumo, poi a Parigi con la famiglia Ligresti al gran completo. Il tutto, per mettere a punto il piano che, come spiega il documento Consob, gli avrebbe permesso di «affiancare Groupama, quale partner con un rapporto privilegiato, in un'operazione che consentiva a Groupama di costituire una forte posizione in funzione dell'acquisizione in futuro del controllo di Premafin e, conseguentemente, di Fondiaria-Sai».

Ma perché era importante questa acquisizione, per Bolloré e per i francesi? Questo la Consob non lo dice, ma la risposta è sempre la solita: entrare nel business traballante dei Ligresti è il passpartout per accedere al Tempio della finanza italiana, cioè la nota filiera Mediobanca-Generali-Unicredit-RCS-Telecom. In quel Risiko il finanziere bretone non gioca in proprio: c'è un sistema che, in quel momento, lavora per lui, e lui lavora per quel sistema.

Ligresti vuole farlo entrare, è Ligresti vuol dire Silvio Berlusconi, in quella fase presidente del Consiglio. Geronzi è suo amico da sempre, e in quel momento è presidente di Mediobanca. Questa ragnatela che mescola politica e finanza ha interesse a rafforzarsi e crescere sempre di più nella Galassia. Le autorità di controllo, in quel momento, lasciano fare.

Alla Consob in quel periodo c'è Lamberto Cardia, gran ciambellano della corte di Gianni Letta (Vegas arriverà solo nel novembre 2010). Cardia non vede, non sente, non parla. Tutto torna. L'operazione non va in porto, perché di lì a poco tutto cambia e tutto precipita. Ligresti tracolla, Geronzi subisce un'altra condanna e trasloca in Generali, a Mediobanca si impongono gli «alani » di Maranghi, Nagel e Pagliaro. Ma il sospetto dell'illecito resta.

Per questo venerdì scorso il direttore generale della Consob Gaetano Caputi ha firmato la contestazione di illecito amministrativo da notificare a Bolloré. Toccherà alla Procura valutare l'atto d'accusa della Commissione, e decidere se avviare
l'azione penale.

L'AFFARE FONSAI-UNIPOL
Il secondo tempo della partita è oggi. Il cratere gigantesco creato dai Ligresti è ancora aperto. Bisogna riempirlo, senza caderci dentro e senza sporcarsi le grisaglie. L'obiettivo e' quello di sempre, perseguito da Cuccia con i buoni uffici di una politica gregaria e ancillare di fronte ai cosiddetti Poteri Forti, o ai loro simulacri: blindare la cassaforte del capitalismo nazionale, possibilmente senza scucire un euro e scaricando i costi sui piccoli azionisti e sul parco buoi dell'apposita Borsetta italiana.

Ora, per raggiungere l'obiettivo, Mediobanca persegue il noto schema: Fonsai, quinta compagnia d'assicurazione italiana tecnicamente fallita grazie all'opera di sfruttamento e svuotamento massiccio operato da Don Salvatore e dai suoi picciotti, va salvata ad ogni costo perché altrimenti Mediobanca ci rimette 1 miliardo di prestiti che negli anni gli ha generosamente concesso, e Unicredit ci rimette 170 milioni per aver seguito pedissequamente la ruota.

L'Unipol di Carlo Cimbri, la stessa esecrata Unipol alla quale nell'estate dei Furbetti fu impedito ad ogni costo di scalare la Bnl, ha fatto un'offerta. Sensata, sul piano industriale, anche se unpo' accidentata sul piano finanziario.

In un Paese normale, di fronte a un crac enorme come quello di Fonsai, o si sarebbe commissariata subito la compagnia, o sarebbe arrivata un'Opa del cavaliere bianco di turno. In Italia non se ne parla neanche. Dunque, via libera a Unipol, che entra nel Salotto Buono senza disturbarne le gerarchie. Via libera a qualunque costo. Compresi i sospetti 45 milioni da liquidare ai Ligresti, per accompagnarli senza danni alla porta, e con tante grazie. Oggi Alberto Nagel, amministratore delegato di Piazzetta Cuccia, e' sulla graticola per questo. Vive le sue ore più difficili.

Martedì e' stato ascoltato per sei ore dalla Procura di Milano, ed è uscito dall'interrogatorio- fiume con la qualifica ufficiale di indagato.

«Ostacolo alle autorità di Vigilanza», è l'ipotesi accusatoria del sostituto procuratore Luigi Orsi. Deve spiegare la natura del «papiello» di due cartelle, con il quale il 17 maggio ha consentito, con tanto di sigla di suo pugno, a liquidare quella buonuscita al finanziere di Paternò e al suo clan. Il manager sostiene che si tratto' della sigla su «un foglio scritto da Jonella solo come presa di conoscenza di una serie di desiderata della famiglia». La magistratura sospetta invece che si possa trattare di un vero e proprio «patto para sociale», che come tale doveva essere comunicato entro cinque giorni al mercato in base all'articolo 122 del Testo Unico della Finanza.

Anche la Consob vorrebbe vederci chiaro. La scorsa settimana Vegas ha mandato tre suoi emissari alla Procura di Milano, per portare documenti e per acquisirne altri. Il paradosso e' che tra quelli da acquisire manca proprio il famigerato «papiello»: la Procura non può darlo, perché formalmente e' coperto da segreto istruttorio. Nel frattempo e' uscito sui giornali, ma questo fa parte delle anomalie italiane. Fatto sta che la Commissione vuole procedere, a prescindere dalle mosse della magistratura.

Fare luce su quella cartucciella siglata da Nagel e Ligresti è fondamentale. Se si accertasse che si tratta di una scrittura ufficiale e vincolante per i firmatari, per Mediobanca sarebbe un disastro. La Consob, e a Piazza Verdi questa ipotesi non si esclude affatto, potrebbe a quel punto imporre l'obbligo dell'Opa su Fonsai, che aveva escluso nei mesi scorsi proprio a condizione che non vi fosse alcun esborso a favore dei Ligresti. Se questo accadesse, salterebbe l'operazione Unipol, il commissariamento di Fonsai sarebbe inevitabile, e la filiera Mediobanca-Unicredit vedrebbe sparire d'incanto dalle sue casse 1,2 miliardi di euro.

LA MORALE DELLA FAVOLA
Anche per questo Nagel è sulle spine. Oltre che ai magistrati e alla Consob, che lo ha sentito più volte in questi mesi, potrebbe essere chiamato a riferire ai suoi consiglieri in un cda straordinario convocato a settembre. E potrebbe addirittura dover rendere conto ai suoi soci, all'assemblea già fissata per il 28 ottobre.

Ma è improbabile che questo accada. In genere cane non mangia cane. Tutti gli affari progettati o realizzati dalla Galassia, almeno un tempo, erano intrecciati e dunque vincolati in un giro micidiale di patti di sindacato e di conflitti di interesse, che oggi si definiscono, con più «fairness», operazioni «con parti correlate». Ma adesso, come questa intera vicenda dimostra, neanche i Poteri Forti sono più quelli di una volta. Sembrano piuttosto Poteri Morti, che tuttavia si disputano ancora, senza alcuna pietà, le spoglie del tesoro di un tempo.

Perché, infatti, Nagel è ora nell'occhio del ciclone? Quali oscure truppe si muovono, nell'ombra della battaglia, per ribaltare ancora una volta i vecchi equilibri? Difficile dirlo. Ma un grande banchiere mi fa notare: «Su Mediobanca si sta consumando una vendetta... ». L'impeachment di Nagel, cioè, potrebbe essere il «secondo tempo di un'altra partita», comunque collegata a quella giocata su Fonsai.

Il manager, in altre parole, potrebbe pagare il peccato di «ubris» compiuto su Generali, quando pochi mesi fa ha fatto rotolare la testa dell'amministratore delegato Perissinotto, «colpevole» di aver appoggiato i suoi amici Arpe e Meneguzzo, capifila della cordata Sator-Palladio, schierati contro Unipol per la conquista di Fonsai.

Cavalcando l'intervento della magistratura, qualche socio forte della Galassia potrebbe essere tentato di prendersi una rivincita su Nagel, troppo giovane e troppo potente. I segnali di insofferenza, verso le ambizioni «cucciane» di Mediobanca, sono ormai tanti. Troppi. Dal fallimento delle mire su Bpm e Burani a quello ancora più clamoroso su Impregilo.

Questa, in fondo, e' la morale della favola. Piazzetta Cuccia è gravemente indebolita. Come ricordava Alessandro Penati sabato scorso su questo giornale, in un anno ha perso in Borsa il 60% del suo valore. Il suo amministratore delegato e' seriamente «ferito». Presto potrebbe cominciare la caccia.

Sarebbe interessante capire cosa pensano Monti e qualche suo ministro, come Corrado Passera, di questa «brutta pagina di storia ». Ma per ora, tra i tecnici, tutto tace. L'unica cosa certa e' che la Consob, stavolta, sembra intenzionata a non mollare la presa. Tanto che a Piazza Verdi qualcuno si è meravigliato del fatto che il pm Orsi, sabato scorso, abbia salutato tutti e sia partito per le ferie. In una fase tanto calda, ci sarebbe molto da fare e molto da indagare, sulle troppe miserie del capitalismo italiano.

 

 

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