1- CON LA CRISI LA VITA DEGLI IMMOBILIARISTI S’È FATTA DURA. NON PER TUTTI, PERÒ. I PIÙ FURBI AVEVANO UN’ASSICURAZIONE SUGLI AFFARI, O HANNO PENSATO DI FARE AFFARI COMPRANDO UN’ASSICURAZIONE. CALTAGIRONE HA IL 2,2% DI GENERALI, E NE È VICEPRESIDENTE 2- IL COSTRUTTORE ROMANO VUOLE VENDERE PER 100 MILIONI DI EURO UN’AREA DI SVILUPPO IMMOBILIARE DI 30MILA METRI QUADRATI A ROMA. MA A CHI VENDERE? ALLE GENERALI! 3- L’OPERAZIONE NASCOSTA GRAZIE A VEICOLI FINANZIARI CHE FACEVANO DA SCHERMO TRA CALTA E LE GENERALI, E IL VALORE DI 30 MILIONI (NOMINALE, IN REALTÀ 100), SOTTO LA SOGLIA CHE IMPONE L’APPROVAZIONE DEL CDA. CHE PERÒ SAPEVA, PAROLA DI UN CONSIGLIERE

Lorenzo Dilena per http://www.linkiesta.it/

Con la crisi finanziaria la vita degli immobiliaristi s'è fatta dura. Non per tutti, però. I più furbi avevano un'assicurazione sugli affari, o hanno pensato di fare affari comprando un'assicurazione. Francesco Gaetano Caltagirone ha oggi il 2,2% delle Assicurazioni Generali, e ne è anche vicepresidente. L'investimento in sé non è stato un grande affare. Anche se ha continuato a comprare per abbassare il prezzo di carico a 11,6 euro (12 euro il prezzo corrente), il costruttore romano ed editore del Messaggero ha dovuto mettere in bilancio svalutazioni per centinaia di milioni. Ma con le assicurazioni va così: paghi per anni, e poi arriva il giorno in cui incassi qualcosa.

PAGNOTTA E CARTESIO.
Per Caltagirone questo momento è arrivato nel maggio 2010. In coincidenza con l'approdo di Cesare Geronzi alla presidenza del Leone di Trieste. Il costruttore romano vuole vendere un'area di sviluppo immobiliare di 30mila metri quadrati a Roma, il comparto convenzionato "Z3" in zona Tor Pagnotta. La Vianini Lavori, società quotata appartenente al gruppo Caltagirone, esegue le opere di costruzione di un complesso formato da 486 piccoli appartamenti, per lo più bilocali da 56 metri quadrati, 520 box, più 7 unità commerciali frazionabili.

Per il grande pubblico, il nome scelto è "Residenza Cartesio": l'ingegnere ha un debole per i nomi dei filosofi, un po' meno per l'estetica dei palazzi che costruisce. Ma a chi vendere? Il prezzo che Caltagirone intende ricavare, fra terreno, opere di urbanizzazione e costruzione, è piuttosto alto: quasi 100 milioni di euro, circa 3.300 euro al metro quadrato. Il primo tentativo, vendere direttamente alle Generali, non va in porto.

Giancarlo Scotti, responsabile operativo dell'area immobiliare della compagnia, rileva un'incongruenza fra il prezzo proposto e i parametri immobiliari della Residenza Cartesio. Le resistenze del manager, che è anche membro del comitato manageriale investimenti di gruppo, non permettono di procedere.

FINANZA COI FONDI.
Ma il 24 aprile 2010, con l'elezione di Geronzi alla presidenza Generali, le cose cambiano. Da semplice consigliere, il costruttore diventa a sorpresa vicepresidente. E viene istituito un secondo comitato per gli investimenti formato da amministratori: Caltagirone ne entra a far parte. Scatta quindi il piano B, che prevede un'operazione indiretta.

L'area di Tor Pagnotta su cui sorgerà la Residenza Cartesio viene apportata al fondo Seneca, veicolo istituito e gestito Fabrica Immobiliare, società di gestione controllata al 50,01% dai Caltagirone e per la parte restante dal Monte dei Paschi di Siena. Chi sono i sottoscrittori di questo fondo? «Familiari ed affini dello stesso F.G. Caltagirone», dirà qualche tempo dopo la Bpm per rispondere alle obiezioni sollevate dagli ispettori della Banca d'Italia. Che rilevano anche l'eccessiva incidenza (57%) del prezzo del terreno sul totale delle opere da realizzare.

Ma con Seneca le Generali non entreranno in contatto: non direttamente. Neanche a farlo apposta, la Investire Immobiliare, società di gestione controllata dalla Banca Finnat della famiglia Nattino, ha pronto un veicolo finanziario, già autorizzato ma ancora inattivo: è il fondo immobiliare di tipo chiuso Apple, riservato a investitori qualificati. Bastano 35 milioni di versamenti dai sottoscrittori, la cifra mancante si prenderà a debito. Anche i sottoscrittori del fondo Apple sono pronti: lo stesso venditore Seneca, la Banca Finnat e il gruppo Generali, all'epoca guidato dall'amministratore delegato Giovanni Perissinotto. Ma mentre i primi due mettono sul piatto complessivamente 5 milioni, la compagnia assicurativa tira fuori 30 milioni: l'85% delle quote.

IL PRESTITO DELLA BPM.
Ignorando la contrarietà delle strutture interne, l'allora presidente della banca, Massimo Ponzellini, fa avere a Apple un mutuo trentennale da 65 milioni, più una linea da 13 milioni per il pagamento dell'Iva (quest'ultima integralmente rimborsata). L'area non ancora edificata viene ceduta dal fondo Seneca a Apple per circa 54 milioni, a lavori finiti il costo dell'intera operazione viene preventivato a 100 milioni.

«In realtà, abbiamo speso un po' meno, la cifra è più vicina a 90 che non ai 100 milioni», racconta a Linkiesta Giacomo Nigro, gestore del fondo Apple. Che sul prezzo pagato non conferma né smentisce. Ma ci tiene a precisare: «Non abbiamo comprato solo un terreno ma un'operazione, tanto che il giorno dopo abbiano iniziato a costruire: il prezzo pagato include le opere di urbanizzazione primarie e secondarie e un progetto già approvato dal Comune di Roma».

AFFARI IN CONFLITTO, MA RISERVATI.
Tutto resta sotto traccia, finché l'ispezione di Banca d'Italia sulla Bpm e la successiva indagine del pm milanese Roberto Pellicano su Ponzellini fanno venire alla luce anche l'operazione delle Generali era Geronzi-Perissinotto con il socio Caltagirone. Operazione di cui non si trova traccia nei bilanci di Trieste e che, essendo inferiore a 50 milioni, non è stata portata in cda presieduto da Gabriele Galateri, anche se molti sapevano. Operazione con parte correlata: sia pura indiretta e schermata dai fondi di investimento. «Non è un'operazione esaminata dal consiglio», conferma a Linkiesta un consigliere delle Generali, che ha chiesto di mantenere l'anonimato.

Se le Generali avessero utilizzato uno schema più trasparente, avrebbero dovuto consolidare in bilancio tanto i circa 100 milioni dell'investimento nella Residenza Cartesio, quanto il debito verso Bpm. E ovviamente portare l'operazione in cda. Tante "piccole" operazioni messe insieme ne fanno una di grande rilevanza: ce ne sono state altre con il socio Caltagirone o con altri soci?

A Trieste non forniscono spiegazioni, anche se l'imbarazzo è palpabile. C'è la convinzione che con l'arrivo del nuovo amministratore delegato Mario Greco e il nuovo assetto di governo appena varato, difficilmente un caso simile potrebbe ripetersi. Il tempo dirà se la nuova struttura e i concreti comportamenti dei manager saranno in grado di tenere testa alle pressioni che arrivano da ogni parte.

LA VERSIONE DI APPLE.
La Residenza Cartesio, a lavori finiti, è costata oltre 3mila euro al metro quadrato. Contro una media di 2.200 euro per analoghe operazioni a Roma. Gli ultimi lavori si sono conclusi a marzo, e da allora i cartelli pubblicitari della Residenza Cartesio costellano Roma. Per fare un esempio, un monolocale da 38 metri quadrati viene proposto a 600 euro, box incluso, più la possibilità di acquistarlo in futuro con uno sconto su un prezzo prestabilito (incrementato dell'inflazione).

«Stiamo procedendo alla locazione degli appartamenti a prezzi di mercato, ne abbiamo già affittato 140» su 486, aggiunge Nigro. Il manager assicura che «il fondo ha iniziato a ripagare il debito». L'obiettivo è arrivare ad affittare l'85% del volumi costruiti, il resto, invece, è in vendita. Quindi, nel 2013 Generali incasserà il primo dividendo dell'investimento? Nigro mette le mani avanti: «Siamo appena partiti». Ma non svela quando il fondo Apple staccherà la prima cedola perché «è materia riservata».

I CONTI DI CALTAGIRONE.
Secondo Nomisma, a Roma il mercato degli affitti è debole su tutti i comparti, con una stagnazione del numero dei contratti stipulati e una contrazione della redditività da locazione. Ma questo è ormai un problema del principale investitore del fondo, le Generali, e della banca creditrice, la Bpm. Sul fondo Apple il costruttore romano ha impegnato pochi milioni di euro, e in compenso ha ottenuto una bella iniezione di liquidità, fra cessione dell'area e relativi appalti.

Certo, non è un momento facile nemmeno per lui, che un tempo si vantava essere l'uomo più liquido d'Italia e adesso ha dovuto rallentare o fermare i lavori di costruzione su altre aree capitoline. Nelle casse del gruppo F.G. Caltagirone (v. organigramma), a fine 2011 c'erano 536 milioni a fronte di 876 milioni di debiti verso le banche, mentre l'esercizio si è chiuso con una perdita vicina a 400 milioni. Le avventure su Generali, Mps e Acea sono state un bagno di sangue. Appena lenito dall'operazione Cartesio.

 

 

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