IL CONGO VESTE PRADA! L’EDONISMO AFRICANO DEI ‘SAPEURS’, I DANDY DEI SOBBORGHI: FANNO LA FAME MA SI VESTONO DA GAGA’ E SPENDONO I POCHI SOLDI IN ABITI GRIFFATI – PIÙ CHE UNA MODA, LA FILOSOFIA DI UN RISCATTO SOCIALE RACCONTATA NEL NUOVO SPOT DELLA BIRRA GUINNESS (VIDEO!)

1. IL FAVOLOSO MONDO DEI SAPEURS CONGOLESI NELLO SPOT GUINNESS
Da ‘Il Giornale'
http://www.ilgiornale.it/video/spettacoli/favoloso-mondo-dei-sapeurs-congolesi-nello-spot-guinness-1006613.html


2. LA SFIDA DEI DANDY DEL CONGO
Alessandro dell'Orto per ‘Libero Quotidiano'

Polvere. Sudore. Fango. Piedi nudi. Povertà. Sporco. Il nulla intorno. Poi - come per incanto - puff spuntano due scarpe luccicanti e calze a righe e pantaloni rossi e camicie inamidate e gemelli e papillon e bretelle e giacche rosa e buffi cappelli e bastoni e sigari e pipe. Tutto griffato, ovviamente. E si apre un mondo nel Terzo mondo. Bocongo, quartiere di Brazzaville, capitale del Congo, benvenuti tra i Sapeurs, i dandy d'Africa, gli edonisti neri, i poveri eleganti che magari non mangiano e vivono nella baracche, ma che si vestono da fichi con abiti firmati fatti arrivare (e pagati a rate) dalle migliori boutique del mondo. Più che un vezzo, una moda. Più che una moda, una filosofia di vita. Più che una filosofia di vita, un riscatto sociale.

Colori e paillettes, sorrisi e sfilate, pose fotografiche e sguardi ammiccanti che ora hanno conquistato i primi piani dell'ultima pubblicità della birra Guinness (lo spot fa parte della campagna virale di Guinness "Made of More", che punta a mostrare le scene di vita quotidiana della gente comune in tutto il mondo),ma che da anni conquistano cittadini e curiosi, turisti e sociologi.

Perché i Sapeurs (dal francese "se saper", "vestirsi con cura") si definiscono "uomini dotati di una forte integrità che si caratterizzano per un codice etico emorale ben definito per i quali lo stile, l'atteggiamento e il comportamento contano più della professione svolta e del conto in banca"; e ancora, "uomini che esprimono creatività e originalità con il vestire e sono membri di una sub-cultura che prende il nome dalla sigla Sape: la Société des Ambianceurs et des Personnes Elegantes (Società delle persone eleganti che fanno atmosfera)".

Le tre regole base per essere un buon Sapeurs? Eccole. 1) I colori: benvengano i toni sgargianti, ma devono essere sposati bene, emai più di tre nello stesso outfit. 2) Bretelle: solo per pochi, se non hai un po' di pancia, evita. 3) Un buon abito richiede un buon portamento e una camminata felpata che consenta a tutti di ammirare i dettagli, calzini compresi.

E così capita - come racconta Marco Trovato in un meraviglioso reportage pubblicato sul sito www.reportafrica.it - che all'aeroporto di Kinshasa i Sapeurs atterrino da Parigi, Milano, Bruxelles indossando abiti immacolati e sfarzosi, occhiali da sole, cappelli di feltro, scarpe luccicanti e improvvisino sfilate tra il viavai frenetico di mendicanti, taxi sventrati, facchini lerci, gente fradicia di sudore. E i concittadini stiano lì, ad ammirarli come veri e propri idoli.

L'appuntamento, poi, è per ogni sera a Matonge, il quartiere modaiolo della città. Un défilé in cui ognuno - avanzando senza ciondolare, impettito e con lo sguardo aperto (c'è chi, come Gariel Lusemba, esperto di bon ton e veterano, si guadagna da vivere facendo il consulente d'immagine: «Non basta indossare un abito firmato per essere elegante. Bisogna imparare lo stile, la classe... Il portamento è un ingrediente fondamentale per essere davvero glamour»)- sfoggia abiti costosissimi con abbinamenti di colori audaci che a noi sembrano trash, ma che per loro sono un raffinato segno di riconoscimento.

E i Sapeurs più gettonati vengono ingaggiati per funerali, matrimoni, feste a tema. Già, ma perché agghindarsi così? Più che un vezzo, una moda, una filosofia di vita, qui siamo di fronte a un riscatto sociale e a una rivolta. Iniziata negli anni Settanta quando l'ex colonia belga - che allora si chiamava Zaire - era funestata da un regime sanguinario e oscurantista e il maresciallo Mobutu Sese Seko, salito al potere con la forza, impose al Paese la sua «politica dell'autenticità» che mirava a cancellare i retaggi coloniali per valorizzare le radici culturali africane.

Tradotto: vietato l'uso di giacca e cravatta, considerati inaccettabili simboli degli oppressori europei, e obbligo di indossare un'uniforme nazionale costituita da una casacca leggera e un paio di pantaloni slavati. Fin quando, però, il musicista Papa Wemba, pop star emergente della rumba zairese, iniziò a opporsi, sfidò le ire del regime, se ne fregò dell'embargo sulle importazioni di abiti occidentali e cominciò a sfoggiare in pubblico completi stravaganti acquistati durante le tournée in Europa. E così - con giacche di paillettes, cappelli in pelle, scarpe di vernice, camicie colorate e abiti al rovescio per mettere in mostra l'etichetta - fece impazzire i giovani. Che lo imitarono facendo nascere, ufficialmente, i primi Sapeurs. Uomini che ogni sera, come per incanto, si trasformano in variopinti manichini griffati. Per poi tornare nella polvere.

 

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