LURCH COTTARELLI ESORDISCE SUL SUO BLOG UBRIACANDOCI DI PAROLE SULLA SPENDING REVIEW: “REVISIONE DELLA SPESA NON SIGNIFICA NECESSARIAMENTE RIDUZIONE” – IN ATTESA DI PASSARE AI FATTI, GLI RICORDIAMO LO SPECIALE SUI TAGLI DI PEROTTI

1-I FIUMI DI PAROLE PER IL MOMENTO SENZA FATTI DI COTTARELLI
Carlotta Scozzari per Dagospia

Carlo Cottarelli, l'ex uomo del Fondo monetario internazionale chiamato in autunno dal premier Enrico Letta per occuparsi della "spending review", ossia di tagliare la spesa pubblica, prende tempo. E nel primo post del suo nuovo blog, all'interno del sito revisionedellaspesa.gov.it, collegato a quello del ministero dell'Economia, spende un fiume di parole per raccontarci che i processi di "revisione" della spesa non sono necessariamente processi di riduzione della stessa (ah no? Avremmo sperato di sì...).

Eh già, perché - ci racconta sempre Cottarelli - le spending review mirano in primo luogo a una "valutazione della qualità della spesa pubblica", di quello che nei paesi anglosassoni si chiama "value for money". Di più: il commissario tiene a farci sapere che "le spending review sono una componente di un nuovo approccio alla gestione della spesa pubblica che ha ormai preso piede in molti paesi avanzati" (siamo sicuri che l'Italia si oggi rientri a pieno titolo in questa categoria?) e che si chiama "performance budgeting".

E giù fiumi di inchiostro per spiegarci in cosa consiste questo performance budgeting. Il tutto con un augurio finale: "Migliorare la gestione della spesa pubblica è essenziale perché servizi pubblici di alta qualità, forniti al più basso costo possibile, sono essenziali per la crescita". In attesa di questo miglioramento e, soprattutto, che alle parole seguano i fatti, ricordiamo uno "speciale" decisamente più "pratico" scritto dal professore della Bocconi, Roberto Perotti, su "Lavoce.info".

2-SPENDERE MENO SI PUO'
Roberto Perotti per "lavoce.info" (da un articolo del primo novembre 2013, introduzione allo speciale)

Tutti vogliono ridurre le tasse. Ma per farlo bisogna tagliare la spesa pubblica. Questo è politicamente difficile e, inutile nasconderselo, socialmente doloroso. Per questo, non si può chiedere sacrifici se non si dimostra prima la volontà di attaccare i privilegi ingiustificabili della politica e degli alti dirigenti pubblici. Semplicemente, cercare di tagliare la spesa pubblica senza dimostrare che "nessuno è esente" non funzionerà mai.


Ma per farlo bisogna rispondere a due domande. Prima domanda: quanto "costa" la politica? Libri, giornali e blogs sono pieni di aneddoti, ma manca a tutt'oggi una stima sistematica e dettagliata dei costi della politica. Senza questa stima, non si può avere un'idea di quanto e dove tagliare. Seconda domanda: cosa costituisce uno stipendio o una spesa "ingiustificata"? Ovviamente nessuno sa con esattezza quale sia la "giusta" remunerazione di un deputato o di un giudice della Corte Costituzionale. Ma un buon indizio è fornito da un raffronto con altre democrazie. Una differenza del 10 percento non preoccupa, una differenza del 100 percento dovrebbe far riflettere.

LA COMMISSIONE GIOVANNINI
La Commissione Giovannini era stata nominata esattamente per fornire un confronto con gli altri paesi. Purtroppo essa ha rimesso il suo mandato senza averlo portato a termine. Questo è avvenuto in parte per buone ragioni. Il suo compito era assurdamente vasto: comportava per esempio un confronto delle remunerazioni nel consiglio della magistratura militare o nell'agenzia per la diffusione della tecnologia per l'innovazione con i loro omologhi (se esistono) in sei altri paesi europei. Il mandato era anche inevitabilmente mal definito: la remunerazione dei deputati, per esempio, è composta di tante voci, tra indennità e rimborsi spese, difficilmente confrontabili. In un paese un deputato viene rimborsato per i portaborse, in un altro gli viene assegnato un ufficio gratuito. Come confrontarli?

Queste sono difficoltà oggettive. Ma la perfezione non è di questo mondo: a furia di perseguire una irraggiungibile perfezione, non si fa niente. E vi sono almeno due modi per risolvere il problema. Per confrontare le remunerazioni dei deputati, per esempio, ci si può chiedere: quanto mette in tasca un deputato, a vario titolo, indipendentemente dai rimborsi spese? E tra i rimborsi spese, quali sono forfettari (e quindi equivalenti a uno stipendio) e quali sono da giustificare? Per farlo, basta guardare alla legislazione vigente. Inoltre, i bilanci delle Camere dei vari paesi forniscono la spesa totale, disaggregata per tipo. Questo è un modo molto semplice ma infallibile per stabilire quanto spende il contribuente per fare funzionare la Camera.

TRE OBIETTIVI
In una serie di articoli, utilizzerò questa metodologia con tre obiettivi. Primo, stimare la spesa complessiva della politica in Italia, distinta per enti (Camera, Senato, Quirinale, regioni, provincie, e tanti altri enti ed agenzie) e per tipo di spesa (emolumenti ai politici, spese per il personale, per pensioni, acquisto di beni e servizi etc.). Secondo, evidenziare le aree di privilegio "ingiustificabile" agli alti livelli del settore pubblico. Per esempio, come vedremo, gli stipendi e le pensioni dei giudici della Corte Costituzionale sono più che doppi di quelli dei loro omologhi britannici e statunitensi, a parità di impegno lavorativo. Terzo, mettere in luce quelle spese totalmente inutili e addirittura dannose che si nascondono in tanti sussidi pubblici, espliciti o impliciti.
E' bene essere chiari: anche ammesso che tutte queste spese siano effettivamente tagliate, non sarà sufficiente. Ma come vedremo, i risparmi possibili sono più di quanto molti pensino. E in ogni caso, senza tagliare queste spese è impensabile di poter tagliare le altre spese, macroeconomicamente più rilevanti.

NON E' CAMBIATO QUASI NIENTE
Uno studio preliminare della Commissione Giovannini e un altro della Camera nel 2011, oltre a vari altri documenti della Camera e del Senato, hanno sostenuto che la spesa per farla funzionare non è fuori linea con quella degli altri paesi occidentali. Inoltre, è diffusa la sensazione che gli interventi degli ultimi due anni abbiano avuto un effetto sostanziale sui costi della politica. Vedremo che entrambe queste convinzioni non hanno fondamento. Le spese per la politica in Italia sono assurdamente superiori a quelle di una democrazia funzionante come la Gran Bretagna, e le misure prese dai governi Berlusconi, Monti e Letta hanno avuto un'incidenza minima. In alcuni casi, anzi, la spesa è aumentata. Per esempio, nel 2013 la Camera spenderà quasi il 12 percento in più che nel 2012; ed in alcune regioni oggi i consiglieri regionali guadagnano di più, al netto delle tasse, di quanto percepivano prima dei limiti imposti dal governo Monti.


3-SPENDING REVIEW E QUALITA' DELLA SPESA PUBBLICA: UN CHIARIMENTO
Carlo Cottarelli per il suo blog http://revisionedellaspesa.gov.it/blog.html

I processi di revisione della spesa sono spesso visti in Italia come pure operazioni di riduzione della spesa. Certo, nello specifico contesto italiano il risparmio di spesa è un obiettivo di questa revisione della spesa (visto il bisogno, reiterato dal Presidente del Consiglio Letta anche nella conferenza stampa di fine anno, di rinvenire risorse per ridurre la tassazione sul lavoro senza sfasciare i conti pubblici). Ma le spending review (mi si consenta di utilizzare, al contrario di quello che faccio solitamente, questo e altri termini in inglese visto che farò riferimento a pratiche di bilancio internazionali) mirano in primo luogo ad una valutazione della qualità della spesa pubblica, di quello che nei paesi anglosassoni si chiama "value for money", l'uso delle risorse pubbliche per produrre servizi che servano davvero al cittadino e che valgano il carico che inevitabilmente essi richiedono per il cittadino-contribuente. L'enfasi è quindi sulla qualità della spesa e non necessariamente sul suo volume.

Valutare se interventi di spesa producono effettivamente valore per la collettività - e non solo per qualcuno - e se sono davvero delle priorità (rispetto ad altri utilizzi, compresa la riduzione del carico fiscale) richiede una analisi attenta che deve coinvolgere l'intera gestione del bilancio delle pubbliche amministrazioni. In effetti le spending review sono una componente di un nuovo approccio alla gestione della spesa pubblica che ha ormai preso piede in molti paesi avanzati. Mi riferisco al "performance budgeting", la preparazione del bilancio sulla base della performance, cioè dei risultati che si vogliono ottenere e non semplicemente dell'allocazione dei fondi a diversi percettori pubblici e privati. Questo approccio richiede di:

-definire - in modo chiaro e trasparente - gli obiettivi che si vogliono raggiungere con i vari programmi di spesa (da qui il termine di "program budgeting" che viene pure usato per descrivere questo processo);

-chiarire perché tali obiettivi sono importanti;

-definire degli indicatori (o altri processi equivalenti) per capire ex post se gli obiettivi sono stati raggiunti e se il programma di spesa è stato effettivamente utile.
La spending review è solo l'ultima fase di questo processo di gestione della spesa pubblica. E' la fase in cui si valuta se i programmi di spesa siano stati validi, se vadano continuati o se le risorse debbano essere destinate ad un miglior uso.

Seguendo questo approccio si evitano interventi di spesa che:

-definiscano il percettore delle risorse ma di norma non i risultati che ci si vogliono ottenere;

-non siano accompagnati da alcuna analisi comparata sull'uso alternativo delle risorse;

-non facciano parte di una strategia volta a risultati significativi ma sono "episodici";
-siano troppo piccoli per fare una differenza effettiva a livello collettivo (ma, nel loro complesso possano comunque avere un peso rilevante sul bilancio pubblico).

Vista la necessità di focalizzare le decisioni di spesa su una analisi, anche complessa, degli obiettivi che si intendono raggiungere, il performance budgeting è anche tipicamente accompagnato ad una riduzione della frequenza di interventi episodici: valutare la qualità della spesa è un esercizio che obbliga ad un intervento di elevata qualità ma parsimonioso in termini di frequenza degli interventi. In altri termini, fa premio la spesa di alta qualità in progetti strategici rispetto ad un approccio di continua aggiunta di nuovi programmi di spesa.

Si noti che, in linea di principio, la legge 196 del 2009 sul bilancio dello Stato introduceva il "performance budgeting" anche in Italia (in realtà i primi tentativi di introdurre indicatori di qualità della spesa risalgono al 1999, se non prima). Ma in pratica i processi di preparazione del bilancio, e i processi di spesa in generale, non sono cambiati e seguono ancora spesso la logica dell'individuazione della destinazione della spesa piuttosto che quella dei risultati che si vogliono ottenere. Il bilancio dello Stato viene presentato in termini di programmi, ai quali sono associati indicatori di risultato. Ma programmi e indicatori sono spesso definiti in modo inadeguato. Inoltre, i principi del performance budgeting dovrebbero essere applicati ad ogni decisione di spesa, anche a quelle che vengono prese al di fuori del ciclo regolare di bilancio (che dovrebbero comunque essere minimizzate per consentire una valutazione comparata del merito di vari programmi di spesa e per garantire l'unitarietà del bilancio).

Come indicato nel mio programma di lavoro, approvato dal Comitato interministeriale per la Revisione della Spesa, l'attività di RS appena iniziata è anche volta a rendere effettiva la riforma del 2009. Non sarà facile, ma migliorare la gestione della spesa pubblica è essenziale perché servizi pubblici di alta qualità, forniti al più basso costo possibile, sono essenziali per la crescita.

 

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